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Tra fumetto e cinema

Inserito Lunedì 13 dicembre 2004

Comics suggerimenti per il testo postmoderno
un saggio di Fabio Bonetti

[Il presente articolo è stato pubblicato a puntate nella rivista on-line Fucine Mute]

1. Watchmen e Batman: Il ritorno del cavaliere oscuro

 

È nota agli appassionati l’importanza delle due opere maggiormente rappresentative dello scorso decennio, in grado di riscrivere l’intero panorama del fumetto supereroistico e a porsi come inevitabile paradigma per gli autori a venire. Alan Moore appartiene alla folta schiera che costituisce la cosiddetta “British wave”, o “British invasion”, ovvero l’ondata di autori britannici approdati negli Stati Uniti di cui fanno parte, tra gli altri, Neil Gaiman, Brian Bolland, Grant Morrison, Dave McKean, Jamie Delano, David Lloyd e Warren Ellis, recentemente consacrato dalla serie Transmetropolitan.

Frank Miller è americano, ma risente, in quanto fervido lettore di produzioni straniere, di influenze europee, soprattutto per quanto riguarda una prosa debitrice nei confronti, in primo luogo, del nostro Hugo Pratt.

Senza voler prendere in considerazione tutti gli aspetti extralinguistici (tematici, storici, sociologici) che intervengono nella definizione dei due testi, e che approfondiremo nei paragrafi successivi , diamo uno sguardo complessivo al loro contesto di appartenenza. Innanzitutto l’ambientazione che fa da sfondo alle vicende: su Gotham City da un lato, e su New York dall’altro, aleggia lo spettro (siamo nel 1986, e le vicende sono ambientate uno-due anni prima) della guerra atomica, frutto, secondo gli autori, dell’arroganza di un potere politico che intende misurarsi con un’eventualità – quella della catastrofe finale – al di là della propria portata.

E non è una sorpresa, quindi, che l’ago della bilancia, ovvero il possesso del deterrente, si trovi nelle mani degli Stati Uniti per pura fatalità, per ragioni che esulano dalle possibilità decisionali delle istituzioni: quelle di un Reagan mai espressamente nominato ma efficacemente rappresentato da Miller, e di un Nixon che, vittorioso in Vietnam nella visione di Moore, ha abrogato il ventiduesimo emendamento garantendosi la possibilità di ulteriori mandati oltre il secondo.

Questo deterrente è rappresentato da due personaggi dai poteri sovrumani: Superman nel Batman di Miller e il Dr.Manhattan, al secolo Jon Osterman - uno scienziato mutato da un incidente nucleare -
in Watchmen. Se Superman accetta a denti stretti il proprio ruolo, e il fumetto si traduce nel confronto tra due diversi modi di intendere il supereroe, Osterman, al contrario, è un essere al di là di qualsiasi etica, in grado di dipanare l’intera matassa del tempo che non percepisce più linearmente, ma incapace di intervenire su eventi che pure può prevedere. Intrappolato in un’idea di predestinazione (“io sono solo un burattino che riesce a vedere i fili”, avrà modo di dire), il vero custode delle sorti dell’umanità ha perso qualsiasi interesse nei confronti della vita umana. Ma la grandezza dei due personaggi, ai limiti della divinità, è tale da aver prodotto alcuni tra i più significativi monologhi nella storia del fumetto.

I supereroi costituiscono, quindi, un problema politico, al punto che l’attività di vigilanza, oltre a dividere l’opinione pubblica, è consentita solo a chi può tornare utile in operazioni coperte dal segreto militare: da un lato (Miller) Batman è costretto al ritiro, dall’altro (Moore) gli eroi sono messi fuorilegge dal Congresso.

In entrambi i casi, la narrazione pone fondamentali interrogativi riguardo la presenza, i metodi, le motivazioni, la necessità degli eroi in maschera, e cercano di valutare se non sia il caso di considerarne superata la concezione. Così, se Batman agisce per liberarsi dalle proprie ossessioni (nonostante una salda etica di fondo ed una statura morale assoluta), sull’altro versante il vecchio modello dell’eroe è rappresentato dall’intransigenza ai limiti del fascismo di Rorschach, solo apparentemente oltrepassata dall’intelligenza visionaria di Adrian Veidt, e culminante nell’impotenza del Dr.Manhattan. Entrambe le opere si congedano con un fi nale aperto: quello di Batman concede una nota di speranza, mentre il verdetto di Watchmen consiste in una condanna senza appello, e lascia presagire un futuro incerto per l’umanità.

La ridefinizione del genere supereroistico che è conseguita all’uscita dei due fumetti non coinvolge solo i suoi archetipi e la sua mitologia: l’intera formula narrativa è soggetta ad una radicale revisione, fino a contemplare figure e strutture discorsive ad essa normalmente estranee. Il genere, quindi, supera i propri limiti tradizionali e diviene il contenitore di altri paradigmi: abbiamo rilevato lo sfondo della fantapolitica, ma con altrettanta forza si manifestano le caratteristiche del noir e del poliziesco nelle loro varianti più cupe, così come non mancano accenni alla fantascienza; Batman, in particolare, segna probabilmente il culmine dell’eroe romantico, che lascerà il passo ai vari Elektra, Class Pollak, Peter Pank. È indubbio che tali prerogative influiscano in maniera decisiva sulla struttura linguistica con cui la narrazione prende forma; entrambi i fumetti, inoltre, usufruiscono della sintassi cinematografica, con una maturità fino ad allora sconosciuta al mondo dei comics, al punto da suscitare clamori anche al di fuori del settore fumettistico.

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Francesco Paone, Watchmen e il revisionismo

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