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Bilal, dalla carta alla pellicola

Inserito Lunedì 05 dicembre 2005

Cinema di Danilo Santoni

Immortel (ad vitam) (2004)

Linda Hardy                 Jill Bioskop

Thomas Kretschmann Alcide Nikopol

Charlotte Rampling     Elma Turner

Frédéric Pierrot            John

Thomas M. Pollard      Horus

Yann Collette                Froebe

Derrick Brenner           Jonas


Enki Bilal                      regia


Enki Bilal è un artista francese originario della ex Yugoslavia che deve la sua fama ad opere grafiche altamente immaginative. L'opera più famosa è quella che viene anche definita Trilogia di Nikopol, tre storie scritte in tempi diversi e con strutture narrative differenti (le tavole dei primi due episodi sono on line).

Se la grafica delle sue opere è accattivante ed interessante, un universo in bilico tra il tragico e il ridicolo, definito da un tratto preciso e marcato e che è capace di tagliare contorni netti ben definiti, la stessa cosa non si può dire della trama delle opere.

Il primo episodio sfiora l’infantilismo più scioccante e gli episodi successivi riescono a mascherare le incapacità narrative dell’autore mettendo in scena una storia fumosa senza ne capo ne coda.

Bilal è un personaggio anche nel mondo del cinema. E’ stato production designer per Alain Resnais (La Vie Est Un Roman), è ha diretto anche dei film per conto proprio (Tykho Moon, Bunker Palace Hotel).

La sua ultima fatica è stata proprio quella di portare sul grande schermo la sua opera grafica più famosa, la Trilogia di Kikopol, appunto sotto il titolo Immortel ad vitam.

New York, 2095: gli antichi dei egizi sono tornati sulla terra a bordo di una gigantesca astronave a forma di piramide e fluttuano sopra la città mentre Central Park è diventata una zona di intrusione, una specie di porta su mondi paralleli che crea condizioni climatiche impossibili da sopportare. All’interno della piramide/astronave Horus, il dio dalla testa di falco, è stato condannato a morte. La sua unica speranza è seguire un'antica leggenda e trovare, nei suoi ultimi sette giorni di vita, la donna dai capelli e dalle lacrime blu. Per muoversi nel mondo degli umani Horus deve trovare un corpo che lo ospiti e la scelta cade su Alcide Nikopol, un dissidente politico criogenizzato decenni prima e appena risvegliatosi. In una città divisa su tre livelli, dominata da una casta di feroci burocrati e misteriosi sacerdoti, in preda ad un caos apocalittico, il nuovo essere, al cui interno convivono conflittualmente il dio e l'umano, dovrà riuscire a salvare la divinità.

Come detto, la storia si rifà alla trilogia dello stesso autore, ma le vicende sono riprese in modo molto libero e a ben guardare la storia finisce con l’essere del tutto diversa e i personaggi sono un’altra cosa. Rimane dell’opera di partenza la confusione e la mancanza di una trama che sia degna di un racconto interessante.

L’autore spiega poco o niente, la vicenda procede come può e si arriva alla fine senza aver capito il perché di tante cose.

Per di più Bilal sfodera un’idea sorprendente per questo film: i personaggi sono di due categorie, quelli portati in scena da attori in carne ed ossa e quelli realizzati al computer. I due generi convivono sullo schermo senza uno schema preciso e nessuno spiega il perchè di questa differenziazione. Forse l’unico motivo plausibile sta nel fatto che gli attori in carne ed ossa impersonano figure umane non modificate geneticamente, mentre i personaggi realizzati con la computer grafica rappresentano umani modificati geneticamente.

La cosa non è poi così importante, narrativamente e visivamente, e si finisce col sorridere a vedere personaggi impacciati che più che camminare sembrano fluttuare, soprattutto se si è abituati ai risultati ben più sorprendenti della grafica presentata da un normalissimo videogioco.

Non credo sia un film da consigliare, a meno che non si abbia proprio niente da andare a vedere (e, purtroppo, ultimamente di cose da vedere ne girano proprio poche!)


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