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Storie di un regno infelice

Inserito Sabato 22 settembre 2007

Saggistica di Danilo Santoni

La frase iniziale di un romanzo rappresenta molto spesso un segnale molto forte per l’interpretazione del romanzo stesso. Tolstòj, da buon genio della narrativa, ha voluto strafare e nell’iniziare il suo Anna Karénina ha scritto una frase che è anche una interpretazione critica della struttura di un romanzo:
Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.

Per questo se vuoi scrivere la storia di un regno che riesca ad interessare i lettori non devi andarti a cercare un regno felice perché non riusciresti a combinare niente di originale.

Di un regno infelice sto qui a parlare, un regno in cui si svolge una storia fantasy.

Una storia fantasy

Nel momento in cui nomini la parola fantasy viene in mente solo una cosa, Tolkien; un po’ perchè la sua opera rappresenta la bibbia per tutti coloro che intendono intraprendere il viaggio in quel genere letterario e un po’ anche perchè gli autori che l’hanno seguito non sono stati capaci, o non hanno voluto trovare una via alternativa ed originale per le loro realizzazioni. C’è chi ha aggiunto qualcosa, c’è chi ha modificato qualche particolare, chi ha cambiato qua chi là… ma la morale è stata sempre la stessa: Tolkien ha codificato le leggi per il suo reame e i suoi successori hanno dovuto adattarsi a queste leggi.

In fondo, che fantasy avremmo senza uno o più re, senza un ambiente medioevale fatto di castelli, locande e cavalleria; senza un mondo di ghiaccio e di fuoco; senza maghi malvagi e magie nere e maghi buoni e magie bianche; senza popoli della foresta o non morti; senza draghi o animali leggendari…

Tutto questo per dire che sembrava che non ci fosse un futuro di originalità per il fantasy… e poi venne George R.R. Martin con il suo ciclo fantasy A Song of Ice and Fire. Martin ci presenta un mondo medioevaleggiante pieno di castelli e locande e re in lotta per il potere, pieno di battaglie sanguinose, pieno di panorami gelati e assolati… una storia che si svolge su una terra popolata da razze diverse (si va dagli umani, ai giganti, ai bruti, ai non morti…) che seguono religioni particolari; un mondo in cui la magia è una realtà, in cui esistono i draghi e altri animali fantastici…

Il solito armamentario del fantasy?

Sì e no.

Se è innegabile che l’opera di Martin riconosce e accetta dettami del genere letterario che affronta è pur vero che basta leggere qualche pagina per accorgersi che ci troviamo su di un livello totalmente diverso da quello di Tolkien. Con questo non si vogliono esprimere giudizi di merito, ma si vuole sottolineare che l’opera di Martin, pur avendo la stessa materia di quella dell’opera di Tolkien, ha risultati completamente diversi.

Ma andiamo con ordine e premettiamo una cosa: nel momento in cui si sta facendo questa analisi, il ciclo di A Song of Ice and Fire (da qui in poi per brevità lo indicheremo con la sigla f&i) è ben lungi dal vedere il termine. I giudizi, quindi non possono non essere che provvisori.

Incominciamo con l’analizzare la struttura dell’opera. Un primo problema per il lettore italiano è rappresentato dalla suddivisione in volumi: l’edizione originale è composta (per ora) da quattro volumi molto corposi che in Italia la Mondadori ha spezzettato senza nessun avviso al lettore. Ci si trova di fronte, allora, a volumi che finiscono di colpo e senza motivo. Altri che iniziano al centro di avvenimenti incomprensibili (e ce n’è uno che inizia al centro di avvenimenti incomprensibili e finisce di colpo e senza motivo!)

Sarà bene riepilogare le divisioni del passaggio dalla lingua inglese a quella italiana:

1 - A Game of Thrones:

1a – Il trono di spade

1b – Il grande inverno

2 - A Clash of Kings

2a – Il regno dei lupi

2b – La regina dei draghi

3 - A Storm of Swords

3a – Tempesta di spade

3b – I fiumi della guerra

3c – Il portale delle tenebre

4 - A Feast for Crows

4a – Il dominio della regina

4b – L' ombra della profezia

5 - [previsto: A Dance with Dragons]

6 - [previsto: The Winds of Winter]

7 - [previsto: A Dream of Spring]

Esistono poi due racconti, The Hedge Knight (Il cavaliere errante) e The Sworn Sword, apparsi rispettivamente nelle antologie Legends e Legends II, curate da Robert Silverberg (solo la prima antologia è stata tradotta in Italia). Nelle due storie vivono gli stessi personaggi che sono presentati a distanza di qualche anno uno dall’altro e sono ambientati in un periodo precedente a quello di inizio del ciclo dei romanzi.

I due racconti sono apparsi anche in versione fumetto ad opera di Mike S. Miller; il primo è tradotto in Italia da Italycomics, il secondo ha iniziato le pubblicazioni (sei uscite) in America nel mese di giugno del 2007.

Un mondo fantasy

Il ciclo è ambientato in un mondo composto da una grossa isola allungata chiamata Westeros. Il suo aspetto ha un qualche cosa di familiare dato che assomiglia un po’ ad un misto di Inghilterra e Irlanda.

L’autore non si pone il problema se questa terra si trovi sul nostro mondo o no, il fantasy è fantasy anche per questo: si presenta un mondo strano che ha molti aspetti della nostra cultura del periodo medioevale e lo si ambienta in terre strane, senza bisogno di giustificare niente.

Quindi la terra di f&i potrebbe anche trovarsi sul nostro pianeta, in un periodo imprecisato del nostro passato o del nostro futuro. Ma c’è il fatto del clima a sollevare molti dubbi e a far propendere la scelta per il no. La terra di Westeros affronta un clima piuttosto bizzarro: ancora una volta Martin senza spiegare il perché ci racconta di stagioni incostanti: inverni ed estati possono durare anche decenni e, comunque, non hanno una durata prevedibile e costante. Perché succeda ciò non si sa. Succede e basta, a differenza, per esempio, del ciclo di Ellicona di Aldiss dove lì l’orbita del pianeta causava lunghi periodi di glaciazione alternati a lunghi periodi temperati e a lunghi periodi torridi.

Un altro aspetto che lascia interdetti è la dimensione del ‘mondo’. Westeros, come detto, è un’isola che si allunga nel senso dei meridiani e passa da un nord immerso nel gelo perenne ad un sud torrido. Ma, a ben guardare le mappe, le dimensioni di questa isola non sono così gigantesche da giustificare questa escursione termica, a meno che il mondo non sia di dimensioni proprio piccole e magari abbastanza schiacciato.

Gli abitanti di questo mondo hanno una cultura che presenta gli aspetti caratteristici delle culture fantasy: ad un periodo di splendore di un lontano passato è subentrato un presente decaduto che non riesce ad evolvere: per secoli ormai la civiltà su Westeros non ha fatto un passo avanti, nessuna ricerca scientifica, nessuna scoperta, nessuno dei reperti dell’antichità che riesca a risvegliare l’arguzia di qualche studioso.

Un’ultima cosa che lascia alquanto dubbiosi: mancando ogni tipo di conoscenza tecnologica, si è sviluppato sull’isola un sistema di comunicazioni basato sui corvi viaggiatori (la copia fantasy dei piccioni viaggiatori). I personaggi vengono a conoscenza di avvenimenti lontani con questo mezzo, ma troppo spesso la cosa avviene così velocemente che sembra improbabile che i volatili siano così efficienti ed affidabili, molto più efficienti e affidabili delle nostre poste. È proprio un mondo fantasy!

Un po’ di geopolitica

La parte inospitale di Westeros, quella a nord per intenderci, è quasi del tutto inesplorata ed è abitata da una serie di razze minacciose e mostruose, più o meno umane, più o meno soprannaturali. Questa parte del mondo è contenuta dalla Barriera, un muro di ghiaccio gigantesco, un vallo di Adriano fantasy che non fa che rafforzare l’impressione di una analogia tra la terra di Westeros e l’Inghilterra.

Al di sotto della barriera esistono i sette regni: sette casate che un tempo regnavano autonome e in lotta tra loro, poi conquistate da Aegon il Drago della casata dei Targaryen, una casata sfuggita al Disastro di Valyria, la grande civiltà scomparsa nel passato eroico del mondo di Westeros.

Aegon riunificò sotto il suo comando i sette regni e la sua dinastia governò per quasi trecento anni e finì col massacro della famiglia reale a seguito di una rivolta delle casate sottomesse.

Lo scettro fu preso da Robert rappresentante della casata dei Baratheon e fu il risultato dell’equilibrio fra le due casate più importanti, quella dei Lannister e quella degli Stark.

Anche qui ci troviamo di fronte ad una serie di influenze chiare e rintracciabili: non solo la guerra delle due rose tra Lancaster e York (di cui c’è una esplicita eco nei nomi delle casate di Martin) ma anche tutte le guerre europee che insanguinarono il continente tra il 1300 e il 1700.

I romanzi iniziano durante il regno di Robert, i due racconti sono ambientati durante il regno dei Targaryen.

Man mano che la narrazione avanza la conoscenza che abbiamo del mondo in cui esiste Westeros si allarga ed esistono delle mappe che mostrano l’isola principale immersa in un mare racchiuso da terre che assomiglia molto al Mediterraneo e ai paesi che lo circondano.

Un regno infelice

La situazione politica di Westeros all’inizio del ciclo presenta un precario equilibrio nella figura di re Robert.

Westeros è un mondo medioevale e Martin dimostra di conoscere benissimo lo spirito della società medioevale europea: non c’è nessuna idealizzazione e i personaggi vivono una vita gretta e difficile. I poveri sono poveri e carne da macello, i ricchi sono ricchi, poco più che semi-analfabeti e dalla visione ristretta.

Lo spirito della cavalleria e dell’onore sono forse l’unico aspetto positivo di un’umanità per altri versi abbrutita da guerre sanguinose e da una situazione sociale piuttosto primitiva.

Il giuramento è una cosa forte e ciò getta un’ombra su tutto il regno che è nato dal tradimento nei confronti del legittimo re: l’ultimo Targaryen, pur essendo un re pazzo, è stato ucciso proprio da colui che aveva fatto giuramento di difenderlo con tutte le proprie forze.

Come ogni famiglia infelice, questo regno infelice trova il modo di essere infelice a modo suo e tutti tramano contro tutti. Re Robert viene ucciso e spuntano cinque pretendenti che danno il via ad una serie di lotte sanguinose che richiamano alla mente quella che storicamente viene indicata come la Guerra dei tre Enrichi. Il fantasy in massima parte è questo, re in lotta tra loro ed epiche battaglie. I&F non è questo!

Le guerre ci sono, i re ci sono (come i draghi, la magia, gli inumani, etc, etc…) ma non sono il tema della narrazione, sono la base su cui poggia la narrazione.

Una narrazione diversa

Martin è un grande narratore e certamente si è reso conto che un basta un regno infelice a creare un’opera originale. Gira e rigira, come si è visto, il materiale fantasy non permette una grossa originalità per quanto riguarda i materiali di costruzione, quelli sono e quelli devi usare.

E allora lo scrittore da fondo alle sue abilità narrative.

Tutti romanzi del ciclo sono suddivisi un capitoli che pur essendo narrati in terza persona riflettono il punto di vista e le conoscenze di un personaggio (ogni capitolo ha come titolo il nome del personaggio di cui riporta il pdv).

Già con questo Martin riesce ad ottenere dei risultati sorprendenti: seguendo tracce narrative diverse con personaggi diversi si permette una visione a volte reticente a volte sfaccettata a volte ambigua della realtà e poi, incentrando la narrazione su un personaggio può approfondirne la psicologia e scavarne le motivazioni.

Ed ecco la prima novità: non ci troviamo di fronte alla lotta tra il Bene e il Male, scritti entrambi con la lettera maiuscola, ma di fronte alla lotta tra individui (più o meno malvagi) ma tutti con le proprie motivazioni e con le proprie idealità.

Il lettore senza dubbio parteggia per un personaggio contro l’altro, ma l’autore non entra in merito alla facendo, la sua narrazione è esterna e tutti i personaggi sono funzionali alla sua storia allo stesso modo. Non è un caso che molto spesso quello che sembra essere l’Eroe con la lettera maiuscola, quello che dovrà risolvere tutti i problemi alla fine del libro, morirà per non lasciare più traccie di se e del suo operato.

Ed ecco la seconda novità: la vita non è un romanzo dove colui che rappresenta il buono e il giusto lotta, soffre, sta per soccombere e nel momento più nero riesce a trovare il guizzo che salverà lui e il mondo intero. La vita è qualcosa fatto di successi e di sconfitte, di imponderabili situazioni che non permettono uno scorrere delle azioni lineare e chiaro.

Martin ha studiato seriamente il mondo delle guerre alla base della formazione delle nazioni europee e si è reso conto che più che i grandi condottieri e gli eserciti sterminati ha potuto il caso e per esempio è più che evidente che ha modellato il personaggio di Robb sulle figure di Gustavo II Adolfo di Svezia il re d’oro e Albrecht von Wallenstein, le due figure romantiche della guerra dei trent’anni che come meteore sono apparse e scomparse nel giro di pochissimo tempo.

Un’altra diversità

Martin, comunque, non si ferma qui. L’alternanza dei pdv dei personaggi conferisce sì movimento alla narrazione, ma a lungo andare risulterebbe sterile e appiattirebbe la narrazione in una serie di tasselli ricorrenti con un’alternanza riconosciuta dalla trama.

Secondo i canoni più accettati della narrazione seriale, ogni capitolo tende a terminare nel momento di massima attesa per il personaggio: un pericolo, una minaccia, un riconoscimento…

La ripresa dell’azione nel capitolo successivo per quel personaggio avverrà ad azione terminata e con una nuova situazione in atto, molto spesso spiazzante per il lettore, e solo con la narrazione successiva, lentamente si verrà a sapere cosa e successo realmente e come si è arrivati a quella nuova situazione.

Si capisce come il lettore venga continuamente sollecitato da ribaltamenti della trama, anche quando la trama non ha grossi sviluppi: per quando il lettore è arrivato a capire che in fondo non è successo niente (o è successo ciò che in fondo si aspettava) è in atto già una nuova azione che ne cattura l’interesse.

Un libro che non doveva esserci

La struttura di I&F era di sei volumi: i tre della guerra dei cinque re e i tre che devono ancora essere scritti. Le due parti erano divise da un arco di tempo di una decina di anni. Era intenzione di Martin di usare la tecnica descritta in precedenza: terminare un ciclo in modo non finito ed iniziare il nuovo in un punto successivo che presenta una situazione totalmente originale e raccontare lentamente gli accadimenti che hanno portato al nuovo stato. Man mano che prendeva forma il primo volume del secondo ciclo lo scrittore si è reso conto che se la cosa funziona a livello di capitolo non funziona a livello di ciclo. I flashback erano troppi e la narrazione si appesantiva.

E allora ha fatto il grande passo: ha raccolto tutto il materiale dei flashback e ha riempito quel buco nella narrazione. Il risultato è stato A Feast for Crows, il romanzo numero quattro, il romanzo che non doveva esserci. E la cosa è abbastanza visibile: nel romanzo, in fondo, non succede (apparentemente) niente, i personaggi girano e rigirano, si attraversano i percorsi pistandosi quasi i piedi, si perdono, si ritrovano, ma non arrivano da nessuna parte in quanto attendono tutti che esca il romanzo numero cinque!

E poi, alla fine, si scopre che questo romanzo quattro non fa altro che narrare la metà degli avvenimenti e quindi il romanzo cinque forse sarà un altro “romanzo che non doveva esserci”.

Con questo non voglio dire che A feast for crows sia un romanzo inutile perché, come tutti i romanzi del ciclo, la narrazione non si poggia sui grandi avvenimenti, infatti anche nel primo ciclo le grandi battaglie e gli scontri non sono quasi mai descritti direttamente, ma sono quasi sempre riferiti dai personaggi mentre la narrazione si poggia sulla vita quotidiana.

Con questo romanzo Martin ci porta in giro per Westeros, ci fa conoscere la sua strana geografia, consegnandoci posti originali e sorprendenti (un po’ mi ha ricordato il ciclo del nuovo sole di Gene Wolfe) e poi ci consegna una situazione politica totalmente trasformata portando alla ribalta l’esistenza di movimenti religiosi e pseudo scientifici.

Una attesa interminabile

E qui dobbiamo fermarci. Mentre scrivo queste cose, settembre 2007, il nuovo romanzo che doveva essere pronto ad inizio anno e pubblicato verso questo periodo è ancora in alto mare. Martin lo lima, lo riscrive, lo cambia e come per l’autobiografia di Tristram Shandy ad ogni giorno che passa, invece di essere un giorno avanti si ritrova un giorno indietro.

Se gli editor che seguono lo scrittore non glielo strapperanno di mano e lo pubblicheranno così com’è credo che dovremo aspettare ancora molto…

Per ora ci rimane la sua assicurazione nel suo blog:

Yes, yes, I'm still working on A DANCE WITH DRAGONS.

Seguita da questa immagine:

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