VITA IN LETTERE (ottobre)
Inserito Giovedì 22 novembre 2007
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di Danilo Santoni
(ottobre)
acquistati |
letti |
John Twelve Hawks - Il viaggiatore |
Stephen King, L'ultimo cavaliere
Bradley Denton - Una
voce da Ganimede
Ron Marz - Sojourn |
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L’uomo in nero fuggì nel deserto e il
cavaliere lo seguì.
Il deserto era l’apoteosi
di tutti i deserti, sconfinato, vasto fino a traboccare nel cielo per quella che
sembrava un’eternità in tutte le direzioni. Era bianco e accecante e arido,
amorfo salvo che per l’abbozzo labile e nebuloso delle montagne all’orizzonte e
per l’erba diavola che portava dolci sogni, incubi, morte. A indicare la via
appariva di tanto in tanto una lapide, perché un tempo la pista semicancellata
scavata nella spessa crosta alcalina era stata una strada importante, percorsa
da carri e corriere. Da allora il mondo era andato avanti. Il mondo si era
svuotato.
E il cavaliere insegue l’uomo in nero per cinque racconti
pubblicati da The Magazine of Fantasy
& Science Fiction tra il 1978 e il 1981, racconti che poi diventeranno
un romanzo, L’ultimo cavaliere, che
sarà il primo tassello di un ciclo di sette romanzi, il ciclo della Torre Nera,
laddove Roland Deschain, il personaggio principale, compirà la sua ricerca
monomaniaca ed ossessiva della Torre Nera, il punto centrale di un sistema di
universi paralleli.
Il personaggio è costruito sull’ossatura di un altro Roland
letterario, quel Roland di Robert Browning nel suo poema Childe Roland to the Dark Tower Came (si veda la versione italiana di Vittorio Baccelli), un Robert
Browning che, a sua volta, si è ispirato alla canzone di Edgar nel Re Lear di Shakespeare (atto terzo,
scena quarta). Gli universi paralleli sono infiniti nella letteratura. King,
nella prefazione, fa omaggio ai romanzi di Tolkien (I romanzi della Torre Nera, come la maggior
parte delle saghe fantasy scritte da quelli della mia generazione[…], sono figli
di quei libri) e poi afferma che se Tolkien gli ha dato l’ispirazione è
stato Sergio Leone col suo Il buono, il
brutto, il cattivo a dargli l’ambientazione… quello stesso Leone che aveva
tratto ispirazione in Kurosawa… e così il giovane Roland alla torre nera
giunse!
Il libro è l’unione di cinque racconti e si sente, è la base del
ciclo e ci si aspetta bel altro, ha le illustrazioni di Michael Whelan… e non è
poco!
Sistemando alcuni libri mi è venuto in mano Una voce da Ganimede di Bradley Denton,
un libro che avevo letto alcuni anni fa e che mi era piaciuto molto. Volevo
parlarne qui, ma qui parlo solo dei libri letti nel mese precedente e quindi,
per correttezza, l’ho riletto!
Sono stato concepito in
circostanze a dir poco gelide, sul sedile anteriore di una Chevrolet quattro
porte del 1955, nei pressi di Des Moines, nello stato dell’Iowa. Erano le prime
ore del mattino di martedì 3 febbraio 1959. Ho letto tutto ciò nel Volume I del
diario di mia madre quando avevo nove anni. Mentre leggevo, ero terrorizzato dal
fatto che mia madre potesse scoprirmi, anche se in realtà non avevo nulla di cui
preoccuparmi. Mamma infatti era occupata a scrivere il Volume IV in quel
periodo, e non rileggeva mai i suoi vecchi scritti.
Nello stesso passaggio del
Volume I si fa notare che, nel momento cruciale, l’autoradio stava diffondendo
le note di Heartbeat, di Buddy Holly.
Mamma scrisse: “Sono perfettamente consapevole del fatto che quella è sempre
stata e sempre sarà la ‘nostra’ canzone. Ora mi trovo a casa, a letto. Ho
litigato con la mamma perché C. mi ha riportata a casa tardi in una notte di
neve, ‘e domani devi anche andare a scuola!’ Non riesco a dormire, soprattutto
perché continuo a sentire quella canzone che si ripete nel mio cervello, come se
avessi una radio dietro la fronte. Prego Dio di non essere incinta. Comunque non
credo proprio di esserlo, poiché la prima volta non si rimane mai incinte, o
almeno questo è quanto dicono in giro. Inoltre, è gocciolato tutto sul sedile.
Se per caso leggi queste parole, cara mamma, te ne puoi pure andare al diavolo,
perché, tanto per cominciare, nessuno ti ha mai dato il permesso di ficcare il
naso nel mio diario.”
Quando lessi questo
passaggio, rimasi terribilmente confuso. Il giorno dopo, a scuola, chiesi
spiegazioni a uno dei miei compagni di classe. Fu in quell’occasione che feci a
botte per la prima volta, rimediando il mio primo labbro
spaccato.
Nel corso della mia vita con
mamma, fino al giorno della sua morte, ho sempre cercato di non farle presente
che consideravo Heartbeat una pessima
canzone.
Nella pagina successiva
del Volume I è scritto che mio padre, il misterioso “C.”, si tolse la vita meno
di 12 ore dopo aver messo incinta mia madre…
Un romanzo che inizia a questo modo non può non entrarti nella
testa, come la canzone di Buddy Holly. Nonostante le apparenze di questo incipit
si tratta di un romanzo di fantascienza, anche se di una fantascienza che tende
all’assurdo e all’ironico. La trama, comunque, regge e alla fine del libro tutte
le fila del discorso vengono raccolte e si chiude il libro
soddisfatti.
La trama si alterna tra la parte fantascientifica e i volumi dei
diari di mamma… e quei volumi sono veramente eccezionali: descrivono il clima e
la cultura di un’intera generazione… credo, comunque di essere un po’ di parte,
perché quella di cui si parla è la generazione da cui sono nato.
Ma qui vorrei parlare di un’altra cosa: come dicevo avevo già letto
il libro e nel rileggerlo mi sono chiesto se ci fosse e, in caso affermativo
quale fosse, la differenza tra il leggere
e il rileggere un libro. Ricordo che la prima
volta rimasi impressionato, come in seguito, dell’inizio scoppiettante e andai
avanti chiedendomi se ci fossero altre parti come quella, e il leggere, allora,
diventava una scoperta, un seguire una pista che forse ci poteva essere ma che
forse poteva anche non esistere. La seconda volta sapevo già che c’era e
procedevo tranquillo perché sapevo già che a destra c’era una curva e poi un
incrocio e poi si va a sinistra e si scende… La seconda volta hai più tempo di
osservare i particolari, di gustare qualche piccolo sapore prezioso, ma ti manca
quel desiderio di scoprire, quell’ansia che viene dall’attesa della pagine
successiva. E poi sono arrivato alla fine del libro: Un’ultima cosa. Ho finalmente deciso che ero
stanco di indossare lenti a contatto, quindi sono tornato ai miei affidabili
occhiali dalla montatura di plastica nera. È vero che ho perso qualcosa dal
punto di vista della visione periferica… ma come abbiamo scoperto io e la mia
Ariel, la visione periferica non ha nessuna importanza quando si viaggia ad alta
velocità. Si riesce a vedere benissimo, chiaro e limpido, sempre e comunque,
sulla strada per la Terra degli Spiriti. Ci vediamo là,
mamma.
Al diavolo la vista periferica, un libro è più bello la prima
volta!
Credo che da alcuni anni la fantascienza più interessante e quella
più avanti nella ricerca di soluzioni nuove ed originali si possa trovare quasi
esclusivamente nei fumetti. Anche per questo mi sono messo a leggere Sojourn una serie in 35 fascicoli
ideata da Ron Marz e pubblicata originalmente dalla CrossGen tra il 2001 e il
2004. L’edizione italiana è della Dream Colours (2003) e in quarta di copertina
riporta ‘Sojourn 1’. Mi sono messo a leggere e inizia subito con un lungo
articolo di presentazione delle vicende precedenti perché se si va a leggere il
copyright si scopre che nel fascicolo sono tradotti tre episodi della serie, il
n° 12, il 13 e il 14.
Cominciamo bene!
Naturalmente non ho sofferto scompensi durante la lettura: le serie
sono strutturate in modo tale che chi si avvicina durante il percorso deve avere
la possibilità di non essere tagliato fuori e tra riassunti, riepiloghi,
spiegazioni e ricordi… cosa non si inventano gli sceneggiatori per tenere
informato il caro lettore.
Sojourn mi incuriosiva
anche perché dalla trama mi sembrava di cogliere alcune analogie con i romanzi
di Martin del ciclo del ‘ghiaccio e del fuoco’ (cinque regni che passano dal
gelo al caldo torrido, razze non umane, draghi…).
Be’, che dire? Prima di tutto che l’originalità non abita qui:
classica storia del cattivo che va sconfitto con una freccia magica che è stata
divisa in cinque parti e ogni pezzo nascosto in un regno. La bella della storia,
vestita come ogni bella della storia deve fare, assieme al bello e tenebroso e
imbranato che poi tanto imbranato non è, se ne va in giro per i cinque regni a
raccoglierli inseguita dall’emissario del cattivo che però tutto cattivo non è e
che comunque arriva sempre un po’ troppo tardi.
Anche le culture dei cinque regni non sono per niente originali:
una è presa di sana pianta dall’antico Egitto, una è presa senza pudori dai
vichinghi, un’altra, senza vergogne, dal mondo delle Mille e Una Notte… e poi
reminiscenze di ambienti gotici e il buon vecchio Robinson Crusoe… ed esseri
come le divinità di Zelazny… e chi più ne ha più ne metta. I fascicoli,
comunque, si leggono bene, disegno pulito, colori netti, dialoghi tutt’altro che
impegnati.
Ma niente altro.
Questo fumetto, comunque, mi da l’occasione di fare una riflessione
su una cosa che non concepisco.
Attualmente il termine fumetto tende ad andare in disuso,
soppiantato da ben più onorevole graphic
novel. La parola novel è entrata nell’inglese dal latino e indicava qualcosa
di nuovo, poi passò ad indicare la novella ma poi, con la nascita, grazie a De
Foe, Richardson e Fielding di un nuovo genere letterario nell’occidente, fu
usata per indicare il romanzo ed
attualmente quello sta ad indicare. Per la novella (con molta originalità) gli
inglesi usano la parola… novella!
Si guardi per esempio la suddivisione delle categorie del premio
Hugo: short story, novellette, novella, novel.
In italiano, adottando il termine straniero, si è cercato di
lasciare il genere della traduzione in quanto le parole inglesi non hanno un
genere. Story, per esempio, è un termine neutro, in inglese, in Italia,
indicando storia diventa femminile e
quindi short story che dovrebbe
indicare racconto è femminile (una short story).
Ora sento tutti parlare di una graphic novel e la cosa non mi piace
proprio perché non capisco, trattandosi di romanzo grafico, perché sia uscito fuori
questo femminile.
Non mi piace ed è un genere che non userò mai e continuerò a dire
il graphic novel.
Da che cosa è venuto fuori tutto ciò? Non lo so. Credo che ci
troviamo di fronte ad un esempio classico di etimologia popolare, la parola è nata
come travisamento dell’originale, prendendo per novella e non per romanzo il termine originale novel.
Si è fatto un po’ come il famoso verso del Trovatore di Verdi:
Ah! l'amor, l'amore
ond'ardo le favelli in mio favore, sperda il sole d'un suo sguardo
la tempesta del mio cor. Ah! l'amor, l'amore ond'ardo le favelli in
mio favor, sperda il sole d'un suo sguardo la tempesta, ah! la tempesta
del mio cor.
Laddove quel l’amore ond’ardo in bocca al pubblico
che canticchiava l’opera diventò per assonanza l’amore è un dardo!
L’amore sarà pure un dardo, ma se devo amare un fumetto mi va di
amarlo come oggetto maschile e non come oggetto femminile! E se volete un
consiglio leggete Le origini del romanzo borghese : Studi su Defoe,
Richardson e Fielding di Ian Watt e
se potete dite un graphic novel, un graphic novel, un graphic
novel…..
vita in lettere del
mese di settembre
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