VITA IN LETTERE - Giugno 2009
Data: Mercoledì 01 luglio 2009
Argomento: Autori


di Roberto Sturm

Libri acquistati: Chesil Beach (McEwan), Trilogia della città di K. (Kristoff), American Psyco (Ellis), Orizzonte mobile (Del Giudice);
Libri letti: Non avevo capito niente (De Silva), Principessa di sangue (Manchette), Chesil Beach (McEwan);

Mese meno fortunato dei precedenti, in fatto di lettura. Dei tre libri letti, soltanto uno non mi ha deluso.
Diego De Silva, che ho conosciuto ai tempi del suo debutto in campo narrativo con la peQuod, circa dieci anni fa, continua a pubblicare romanzi interessanti, diversi dal punto di vista narrativo (spaziano tra il sociale, il sentimentale, la denuncia) ma sicuramente sempre validi sia sotto il profilo dello stile che del contenuto. Molto ironico, strappa risate in qualche punto, ma sempre pronto a sottolineare la complessità dei sentimenti umani e i risvolti sociali della vita odierna, Non avevo capito niente è un romanzo che si legge tutto d’un fiato, che prende il lettore con una storia ben congegnata e personaggi che a volte sfiorano le macchiette dei fumetti. E per questo, probabilmente, più credibili e veri.
Camorra, lavoro, rapporti moglie marito, genitori figli si snodano sullo sfondo di una Napoli che colora la trama e i protagonisti di una luce solare. Nonostante le loro inettitudini, la loro goffaggine, il loro capire sempre troppo tardi. Una vicenda attuale, che riesce ad esprime alcuni dei disagi più attuali.
Di tutti i romanzi letti di Manchette, questo Principessa di sangue mi sembra il più debole. Nonostante il ritmo (abbastanza) serrato, i colpi di scena (quasi) a ripetizione, i personaggi estremi, la vicenda che prende il lettore, a questo romanzo manca qualcosa. E’ l’ultimo romanzo, uscito postumo, di Manchette. Nonostante il finale abbozzato dia una chiara idea di dove volesse arrivare l’autore è il corpo del romanzo che stenta. Certi brani sembrano scritti per essere poi rivisti. Certi passaggi, se non sembrano abbozzati, danno l’idea di essere incompleti. Credo che l’autore avesse in mente un lavoro di revisione di tutto il testo che, pur non avendo bisogno di un editing troppo profondo, sembra che debba essere centrato.
Per McEwan mi lascio il beneficio del dubbio. Non tanto per le 16 pagine che mancano nell’edizione che ho appena letto (passerò presto da Feltrinelli a farmelo cambiare), ma perché, come spesso accade, il testo di McEwan non è di immediata comprensione. La trama è lineare e chiara, intendiamoci. Ma credo che nasconda sotto tutta una serie di rimandi e di considerazioni che così, a caldo, credo di non avere compreso appieno.
E’ la storia di un amore, un grande amore, che per certi motivi si conclude in un certo modo. Sono vago proprio per non togliere la soddisfazione della suspence a chi eventualmente vorrà leggerlo, e il finale stesso fa parte dell’economia della storia.
Alla fine degli anni cinquanta Florence ed Edward si innamorano e coronano il loro fidanzamento con il matrimonio nel luglio del 1962. Ma il matrimonio, in questo caso, non è un punto di arrivo ma l’avvio di una schermaglia abbastanza inconsueta. Come inconsueto sarà l’epilogo della storia, struggente ma non patetico, crudo ma non cinico. E intanto che sto scrivendo queste brevi note sto pensando che vale la pena leggerlo. Cambio di opinione in corsa.

Roberto Sturm





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