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UN GIOCO DA BAMBINI, di JAMES GRAHAM BALLARD

Inserito Martedì 25 gennaio 2005

Saggistica Una analisi di Simone Buttazzi

UN GIOCO DA BAMBINI, di JAMES GRAHAM BALLARD
 CHILDREN OF THE REVOLUTION
 
(il presente testo è apparso in Lankelot )
Ballard, o dell’agorafobia. Nel 1988, molto prima delle rivoluzioni implosive di Estrella del Mar, Super Cannes e Chelsea Marina raccontate nei suoi romanzi dal 1996 al 2004, lo scrittore inglese prende un piccolo villaggio residenziale, Pangbourne Village, e vi ambienta un massacro.

Superfluo dire che a Pangbourne andava tutto per il meglio. Tutti erano ricchi e felici. Le abitazioni erano collegate da una Intranet amicale che faceva rimbalzare messaggi sugli schermi dei computer. Da casa a casa. Dal piano di sopra al piano di sotto: “Oggi 47 vasche!” – “Bravissimo Jeremy!”. Jeremy è uno dei tredici ragazzi di Pangbourne Village. I genitori vivono fianco a fianco con i figli, ne organizzano le giornate seguendo le più moderne teorie pedagogiche. A nessuno manca niente. Ovunque il sorriso, l’abbondanza, la continenza. La sicurezza.

Running wild è un Kammerspiel a orologeria, un ordigno appena esploso che ci ha lasciato un panorama da ricomporre. È la ricostruzione di una strage consumata in dieci minuti. Anch’essa, come il luogo, perfetta. Senza sbavature. Noi lettori la esperiamo con gli occhi del dottor Richard Greville, consulente psichiatrico della Polizia Metropolitana. Greville ha il compito ingrato di fare chiarezza. Ci riuscirà, ma la verità sarà così atroce che nessuno vorrà credergli.
 
La “verità”: non vogliamo più sopportarne il peso, né esserne vittime o complici. Sogno un mondo dove si morirebbe per una virgola.
E.M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, Adelphi, Torino, 1993, pag. 12.
 
Greville sfoglia il massacro come un libricino di istruzioni, e noi con lui. Ballard ci ha consegnato un romanzo incredibilmente conciso – poco più di cento pagine – asciugato fino a raggiungere un’essenzialità di rara efficacia. Comincia con un video girato dalla polizia, prosegue con la lista dettagliata delle vittime e con una batteria di ipotesi, alterna sopralluoghi a nuovi sviluppi nelle indagini e offre una lunga ricostruzione cronometrica di quanto accaduto. Con un epilogo in prolessi.
 
Greville si tuffa nelle vicende alla ricerca del bandolo della matassa, le riavvolge e le riproduce a doppia velocità come una videocassetta. Come in ogni romanzo ballardiano che si rispetti, l’audiovisivo irrompe prepotentemente. È grazie al video girato dalla polizia che facciamo una prima passeggiata a Pangbourne: un lungo piano sequenza dalle ambizioni filmiche.
Un’esplorazione, camera a spalla, in un mondo perfetto dove tutto è al suo posto, eccezion fatta per trentadue corpi, uccisi nelle maniere più disparate. Pangbourne, quel 25 giugno 1988, era comunque destinata a pavoneggiarsi davanti ad un occhio meccanico che non fosse quello delle tante videocamere di sorveglianza. Il massacro si consuma lo stesso giorno in cui una troupe della BBC si sarebbe dovuta recare sul posto per girarvi un documentario. Per rubare l’anima di quella coabitazione perfetta. In realtà la stranezza di Pangbourne è quella di un’arancia meccanica: queer as a clockwork orange.
 
Se vuole trovare il vero porno, guardi un po’ più sotto, dottore” (pag. 43)
 
A Pangbourne c’è una verità grande un elefante, ma che nessuno vuole vedere. Sotto i Playboy, Jeremy tiene una nutrita collezione di Guns and Ammo, Commando Small Arms, The Rifleman, Combat Weapons of the Waffen SS. I ragazzi di Pangbourne sono belli ed educati come i bambini del Villaggio dei dannati (Wolf Rilla, 1960), sono carne da copertina come i protagonisti di Elephant (2003) di Gus Van Sant. Un gioco da bambini si ricollega al film di Van Sant (come l’agnello che sporca l’acqua al lupo) anche per come rigira gli eventi con insistenza, offrendo sempre nuove prospettive su fatti già noti. Reiterando le immagini. Ribaltando il tempo come un guanto, in preda all’ansia dell’incredulità.
 
I ragazzi di Pangbourne hanno le loro vittorie sportive, i loro hobbies creativi, il loro giornaletto, girano addirittura piccoli film amatoriali in cui riprendono le gesta quotidiane dei genitori. Salvo poi montare le immagini inframmezzate a scontri automobilistici, esecuzioni nella camera a gas, scene dei lager nazisti.
 
Incapaci di manifestare i propri sentimenti o di reagire a quelli altrui, soffocati sotto una coltre di elogi e approvazioni, si sentivano imprigionati per sempre in un universo perfetto. In una società totalmente sana, l’unica libertà è la follia. (pag. 86)
 
Come alla scuola Columbine, la violenza esplode in una cornice innocua. Effetto sorpresa. La differenza – questa è finzione, o meglio: un’ennesima profezia ballardiana – sta da un lato nella premeditazione millimetrica, dall’altro nella proiezione nel lungo periodo. Oltre che, ovviamente, nell’identificazione delle vittime. A morire sono solo gli adulti, tutti. Ed è solo un inizio, perché l’epilogo del libro, ambientato cinque anni dopo, narra di un attentato ad un primo ministro in pensione – un premier “di ferro”… - ad opera dello stesso gruppo terroristico. Un esempio di quanto Ballard sappia coniugare saggistica e kitsch, ossessioni personali e riflessioni denudanti su quanto ci circonda. Da decenni gioca sul filo di lama che separa il mortalmente serio dal demenziale, maciulla i generi letterari per metterci di fronte al declino del nostro impero ideologico, il castello di carta delle nostre sicurezze. In Ballard, libertà arriva sempre a rimare con psicopatia.
 
Il regime indulgente e protettivo instaurato con le migliori intenzioni al Pangbourne Village ed entusiasticamente imitato nei lussuosi complessi residenziali dell’Inghilterra meridionale, nonché nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, ha generato una stirpe di vendicatori, e li ha mandati a sfidare il mondo che li amava. (pag. 109)
 
Un massacro motivato, ordito ai danni di un regime tirannico: il dispotismo della bontà. Ballard riesce a gelare il sangue senza calcare la mano. Sacrifica la plausibilità sull’altare di una visione più ampia della società che ci accoglie. Running wild è un romanzo che si lascia divorare e che ti scava dentro. Parla di benessere, di ingratitudine, di prigionia, della ribellione più elementare. Quella di chi ha tutto, e quindi non gli resta che distruggerlo. Ma non vi allarmate. È solo finzione.
 
Il massacro: varie teorie
1)     Il killer solitario
2)     Un gruppo di psicopatici
3)     Esercitazione militare con obiettivo errato
4)     L’ipotesi politica: intervento di potenze    straniere
5)     Terrorismo internazionale
6)     Criminalità organizzata
7)     Gli assassini sono i genitori
8)     I dipendenti
9)     Teorie stravaganti:

a) ipotesi Spetnaz Commando della NATO
b) ipotesi aereo della RAF o dell’USAF
c) genitori e figli erano agenti supersegreti
d) i genitori sono stati uccisi da extraterrestri
e) i genitori sono stati uccisi dai propri figli
 
 


EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
           James Graham Ballard (1930, Shangai), romanziere britannico.
Approfondimento in rete:
http://www.intercom.publinet.it/2000/ballard0.htm
http://www.fantasticfiction.co.uk/authors/J_G_Ballard.htm
http://www.lankelot.com/romanzi-recensione-ballard-trilogia.html
           Un gioco da bambini, Anabasi, Milano 1992
           (ristampato nel 1999 da Baldini & Castoldi)
Running wild, Hutchinson, London, 1988
(attuale edizione paperback: Flamingo, London, 1997)
 

30.12.2004


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