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Inserito Mercoledì 29 marzo 2006

Narrativa un racconto di Andrea Aroldi

Quello che vi racconterò è il racconto esatto dei fatti accaduti quel Giorno.

Sì, proprio l’esatto racconto.

Sono state scritte molte storie su Quel Giorno, ma solo la mia, solo questa storia è quella vera: perché c’ero anch’io. Anzi, io sono stato uno dei personaggi principali, perché ero parte di Lui.

Solo adesso mi sono mosso, solo ora ho capito appieno il significato. Le molteplici storie che si sono tramandate sono false.

Vorrei poter essere creduto, ogni fabulatore lo vorrebbe, ma io non sono uno di quelli: io c’ero.

In ogni caso ho deciso di raccontarvi tutto quello che ho visto.

Non era un ragazzo facile da amare, certo, ma l’ho amato, veramente.

Non era un amore basato sul sesso, ovviamente, ma tutti sappiamo quanto profondo possa essere l’amore che si instaura tra due persone dello stesso sesso. E’ amore e basta, senza possibilità si sfociare nella coesione carnale: solo amore.

Eravamo amici, veri amici.

Era molto difficile essergli amico, amico vero, poiché lui aveva una ben precisa immagine dell’amicizia, di difficile attuazione. Aveva anche molti conoscenti, questo sì, molti coetanei e non, ma un solo vero amico: io.

Quando mi resi conto di quanto mi tenesse in considerazione ne fui felice, era, infatti, un personaggio molto esclusivo, speciale e quindi anch’io era in un qualche modo speciale quanto lui. Non avevo nulla nella vita che mi aveva reso unico o, quanto meno, particolare ed essere considerato il suo unico amico da colui che era la personificazione della stranezza mi rendeva felice, veramente felice.

Non voglio chiamarlo per nome, perché ne sminuirei tutta la sua grandezza, la sua originalità. Neanche il cognome renderebbe più chiara la sua immagine, non era, in fondo parte di lui, rappresentava solo una fantomatica appartenenza a un casato, ad una discendenza che non aveva nulla in comune con la sua… essenza.

Cosa accadde?

E’ difficile a dirsi, nonostante tutto quello che lui mi faceva sentire d’essere, io rimanevo solamente una semplice persona. Quello che compì fu così grande che io stesso faccio fatica a crederlo.

Dunque, ero nel mio solito bar quando me lo vedo entrare, scuro in volto, gli occhi bassi e una sigaretta stretta tra le labbra esangui.

- Ehi, Mec! –

Ero solito chiamarlo con quel soprannome che tanto gli piaceva.

- Vedo che non hai saputo resistere! –

Continuai alludendo alla non formulata promessa di smettere di fumare.

Lui quasi non mi sente, ma si siede al mio tavolo.

- No, non ce l’ho fatta –

Il tono della sua voce era basso, prossimo a diventare cavernoso.

- Beh, sei abbastanza grande per sapere se fumare ti conviene, no? –

- Sì, sono abbastanza grande. Mi fa bene secondo te?

- No, non ti fa bene –

- E allora perché pensi che lo faccia? –

Il dialogo si stava tramutando in discussione, seppur molto rilassata visto che tra noi non s’era mai alzata la voce. Vedevo chiaramente che aveva qualche problema e ne volevo sapere di più, senza però irritare il suo “caratterino”. Anche se era il mio più caro amico, non potevo fare a meno di non notare una sua così peculiare caratteristica.

- Mec, che c’è? Mi sembri strano. Sai che se ti posso aiutare… -

- Lo so, ma non puoi fare molto ormai –

Quell’ormai mi suonò troppo definitivo per tranquillizzarmi, mi sembrò minaccioso e sapevo bene quanto delicato fosse il suo animo, sempre in bilico tra lecito e illecito, tra pazzia e normalità.

Non era pazzo sul serio, era solo strano, di una stranezza alle volte allarmante.

- Perché non lasci giudicare a me? –

Tattica sbagliatissima, me ne accorsi immediatamente. La faccia s’incupì ancor di più e i suoi occhi si rialzarono per fissarmi, freddi.

La sua tacita domanda mi mise in imbarazzo, mi ferì più di uno schiaffo. Sapevo che se l’avessi perso, anche per un solo istante, mai l’avrei più ritrovato. Non volevo privarmi della sua fiducia, mi sentivo moralmente responsabile delle sue azioni, questo solo mi muoveva.

- Beh…, scusami, non volevo essere indiscreto. Non sono affari miei, lo so, ma vorrei che lo fossero per cercare di esserti di aiuto

- Che aiuto pensi di darmi? –

Era freddo, molto più freddo dell’ultima volta che lo vidi litigare. Mi ferì.

Forse fu questo sconforto a trapelare visibilmente, tant'è che mi chiese scusa. Lo fece nel suo solito modo, un po’ bruscamente, ma conoscendolo apprezzai il gesto. Non era solito chiedere scusa alla gente, lo aveva dovuto fare solo perché era giusto che lo facesse, ma nonostante questo ne provava vergogna.

Un silenzio pesante calò su di noi. Durò per parecchio e io cercavo di capire quando mi sarebbe toccato romperlo. Era venuto per chiedermi aiuto, l’avevo capito, ma mai l’avrebbe chiesto apertamente.

- Ti sembro strano? – mi chiese all’improvviso.

La domanda era molto pericolosa, mi chiedeva di esprimere un giudizio su di lui.

- Beh, no, non sei strano. Cioè… - mi ero incartato, non trovavo le parole giuste.

- Non ti sto chiedendo se mi consideri pazzo, ma semplicemente se mi trovi strano

- Pazzo, hai detto? Non lo sei certamente. Hai le tue particolarità, come tutti –

- Quindi ti sembro normale? –

- Sì, normale. Alle volte sei un poco nervoso, ma questo non fa certamente testo, tutti sono alle volte irritabili –

- Parli sul serio? Ti sei offerto di aiutarmi, ricordalo –

- Certamente parlo sul serio, solo non capisco dove vuoi arrivare –

- Vedi, io mi sento strano, diverso, un poco pazzo anche. Tu sei il mio migliore amico, per questo ti faccio questa confidenza –

Ero certamente arrossito, ma forse non se ne accorse.

- Mi credi cattolico? –

Questa domanda mi sconcertò, se non fosse stato per il contesto e la serietà con cui la formulò… gli avrei riso in faccia, se avessi avuto il coraggio di farlo!

Sorrisi, molto discretamente.

- Beh, non sei stato battezzato? Non hai ricevuto i sacramenti, come la Confessione e la Cresima? –

- Cosa importa! Mi credi un credente? Veramente credente? –

- Non lo so, non mi sembri credente, di certo non sei un praticante –

- E’ vero in apparenza, ma forse il mio impegno a non credere si sta frantumando, lentamente mi convinco che… che Dio esiste –

- Beh, può darsi. Certamente Lui saprà se sei un vero credente –

Immediatamente il suo viso cambiò clamorosamente, capii di aver detto una cosa a cui lui non aveva ancora pensato, qualche cosa di grande.

I suoi occhi si illuminarono, i tratti del viso si calmarono, le rughe della tensione sparirono e la piega dura delle labbra si addolcì.

Spense fermamente la sigaretta e mi squadrò.

Per la prima volta mi fece paura. Ero abituato ai suoi repentini cambiamenti di umore, ma non così , non così totali.

- Dici che lo saprà? –

- Beh, penso di sì, Lui sa tutto –

Si alzò e uscì dal locale e dalla mia vita senza dire una parola, senza degnarmi di uno sguardo, di un saluto o di un ringraziamento.

Non lo vidi più.

Cos’era accaduto quel giorno di preciso non lo so. Tramite la sua famiglia riuscii a ricostruire quello che forse era accaduto. Come sempre nulla di veramente importante, per noi forse, ma per lui lo era stato. Ancora una volta le sue azioni erano state giudicate senza compiere lo sforzo di capirlo. Nella sua mente questo era un torto molto grande ed era venuto da me in cerca di aiuto.

Aveva trovato molto di più.

Ho detto di non averlo più rivisto.

E’ vero, non in quelle vesti almeno, ma aveva deciso di cambiarle e io fui l’unico che lo vide dopo.

Quel giorno fece esattamente quello che gli avevo consigliato. Probabilmente il tutto avvenne in qualche sperduta chiesa di città o direttamente a casa sua.

Eseguì il mio consiglio alla lettera: chiese udienza a Dio.

E l’ottenne!

Ho pensato molto a quello che si saranno detti, è certo che ebbe la sua risposta: era un credente!

Anni di rigetto del Credo lo avevano reso fanatico e la sua smisurata volontà lo aveva aiutato, come sempre. Giunse probabilmente ad una conclusione: essendo credente accoglieva Dio entro di se, quando giunse a questa conclusione non rese più a Dio la sua libertà.

Cercate di capirmi: la sua mente era forte, temprata da difficoltà e da delusioni che, forse, solo lui aveva immaginato, ma che lo avevano segnato profondamente. In fondo non era diverso da noi, ma lui si credeva diverso e quindi lo era.

Uccise Dio, anzi, lo ingoiò in un sol boccone e ne assorbì tutta la forza.

Perché?

Perché Dio è Giudice e non imputato e lui era stufo di essere giudicato.

Non mi credete, lo so, ma Lui mi ascolta e so che apprezza il mio sforzo.

Non mi si manifesta più, non è necessario, perché so di aver ragione.

Ormai non si preoccupa più di nulla: ora è Dio.

Come dite? Farebbe bene a preoccuparsi invece? E perché? Perché qualcuno potrebbe ingoiare lui… un credente potrebbe arrivare a Lui e destituirlo a forza.

No, non è possibile, dite così perchè non avete ancora capito. Dovrebbe credermi per farlo, credermi veramente.

Perché tanta brava gente muore, ultimamente?

Perché sono cattolici, cattolici credenti! Il Diavolo è dalla sua parte, lo aiuta a preservare la sua… sì, la sua Santa Incolumità.

Ridete, ridete pure.

Lui non si farà ingoiare da nessuno, perché non si fida di nessuno di noi, altri dei poi non ce ne sono più.

Dio non era forse l’Unico?

E poi, quando ho rifiutato di seguirlo e di diventare il suo Arcangelo, con la sua voce divina aveva tuonato: “E allora vai all’Inferno?”

Beh, credete che Satana fosse poi un grand’uomo?


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