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Inserito Martedì 16 ottobre 2007

Narrativa romanzo di Budetta Giuseppe Costantino

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Anima mia, non aspirare alla vita immortale,
ma esaurisci il campo del possibile.

Pindaro, III Pitica.



Il decesso fu in ospedale a 87 anni per emorragia cerebrale dopo aver subito vari interventi chirurgici alle carotidi e bypass coronari. La salma nella cripta di famiglia. Alla cerimonia funebre nel piccolo cimitero di paese, i familiari tra cui l’unico figlio e pochi altri.
Sulla lapide foto e dicitura:

Alterio Giorgio

Nato il 16/4/1920 e morto il 27/5/2007

Requiescat in pace.


Era iniziato il processo di decomposizione cadaverica che resuscitò in altra sede con un corpo giovanile, di certo sotto i quaranta e passa.


Giornata di pieno inverno con fogliame lungo i bordi inferiori di palazzi. Aveva preso la direzione di Piazza Grande ad ascoltare il comizio. Dalla parte opposta in Piazza Piccola, campeggiava la statua di Dante rappresentato a sfogliare un libro. Alterio Giorgio si era sollevato i baveri, aggiustato la sciarpa e spinto le mani nelle tasche del cappotto. Folate gelide lo facevano lacrimare e tirare in dentro il collo. Vasti marciapiedi ai lati della strada silenziosa e fila di platani centenari ormai spogli. Scorse una sagoma procedere in senso opposto, sullo stesso marciapiede: uno con cappello e incappottato. Camminava guardando davanti a sé. Avvicinandosi di più vide che era uno della Commissione. Era il dott. Lojacono Diacono. A pochi passi lo salutò:
“Buon giorno, sono Alterio Giorgio. Dottore, lei ha in esame la mia pratica.”
L’altro sembrò avesse fretta, ma decise di rispondere:
“Buon giorno. Per la sua pratica dovrà ancora aspettare. C’è molto lavoro arretrato.”
“Ma mi dica almeno una data di scadenza.”
Quello sembrò urtato. Disse andando via:
“Non lo so. Nessuno di noi lo sa. C’è troppo lavoro. Arrivano di continuo. Non ci assillate. Quando sarà il momento vi chiameremo. Non c’è fretta. Buongiorno.”
Alterio Giorgio fu quasi offeso e lo lasciò senza rispondere al saluto. Tempo prima era salito nell’ufficio del dott. Lojacono, ma la segretaria con toni bruschi gli aveva detto le stesse cose:
“Aspetti la chiamata. Quando verrà il suo turno la chiameremo. Molti meritano l’inferno e non lo sanno. Meglio stare in aspettativa depositati in questo limbo. Se la Commissione decidesse che lei merita l’inferno?”
“Sì, ma non potete tenerci sul lastrico ad infinitum.”
“Per alcuni è la cosa migliore. Che vi credete che è facile andare in paradiso? Tutti pensano di avere le carte in regola.”
“Sì, ma è nostro diritto sapere…”
“Qui non esiste il diritto. Non esiste il diritto così come è inteso sulla Terra. Poi, la cosa più importante…lo stipendio…lo stipendio che prendo è uno stipendio di merda. E’ già molto quello che faccio.”
Con stizza l’impiegata aveva sbattuto sulla scrivania un mazzo di carte. Alterio Giorgio aveva preferito abbandonare il campo. Un impiegato nel corridoio gli ebbe detto:
“Pazienza, è isterica. Siamo in pochi ed il lavoro è enorme. Non ci sono neanche incentivi economici.”
Titubante Alterio Giorgio ebbe risposto:
“Scusi, posso rivolgermi a lei la prossima volta?”
“Deve aspettare. Quando verrà il suo turno la chiameremo. Chiamiamo tutti. Passerà del tempo, ma stia certo che la Commissione prima o poi la chiamerà per normalizzarle la situazione. Qui non ci sono imbrogli o raccomandati. C’è solo molto lavoro arretrato.”
Aveva afferrato dalla tasca cinquanta euro e li aveva messo in mano all’impiegato dicendo:
“Mi faccia il favore, mi faccia vedere almeno dove sta la mia pratica.”
L’impiegato sospirando, stirandosi in mano il pezzo da cinquanta per controllare, guardandosi attorno e non essendoci occhi indiscreti, ebbe detto:
“Vabbè, visto che insite, venga con me.”
Si era messo in tasca i soldi e aveva lasciato su un tavolo una cartellina. Erano scesi per una scala a chiocciola al termine della quale l’impiegato aveva acceso delle luci girando la manopola di un interruttore a muro. Alterio Giorgio si era accorto di stare come in una cava, un lungo corridoio con volta a botte che si prolungava a dismisura, sia alla sua destra che a sinistra. C’era un forte tanfo di chiuso e di cartame ammuffito. Si vedeva che c’era cattiva aerazione. Lungo i muri, alti scaffali di ferro nei quali erano ammonticchiati infiniti contenitori pieni di pratiche. Era dunque quello l’archivio centrale da cui la Commissione traeva i dati da elaborare per ogni resuscitato. Chiese allarmato:
“Sono tutte pratiche da esaminare?”
“No, non si preoccupi.”
“Già. Le pratiche di quelli ricchi seguono un’altra trafila.”
“Lei che ne pensa? Ogni mondo è mondo, caro lei.”
“Il segreto sono i soldi. Valgono sempre.”
“I soldi esistono anche qui.”
Seguiva perplesso l’impiegato che camminava davanti, poco distante. Sotto le scarpe il pavimento di legno aveva sorcini cigolii. Quello chiese in tono sbrigativo: “Quando è morto?”
Alterio Giorgio disse: “Morii il 27 maggio del 2007.”
“Quest’anno quindi. E che fretta c’è? Temo che dovrà attendere ancora un annetto. Ecco lì la pratica. Ci diamo uno sguardo di pochi minuti. Devo tornare subito su altrimenti gli altri s’insospettiscono. Ci sono colleghi spioni, gente di merda che parla male di me col capo ufficio.“
L’impiegato era salito su una scala. Stando in bilico aveva esaminato le etichette sui faldoni e ne aveva estratto uno. Ridiscese e lo aprì poggiandolo su un gradino della scala. Lesse Biagio Fiume:
“Lei è Alterio Giorgio, nato il 16 aprile del 1920. Lei ha cessato di esistere appunto quest’anno il 27/5/2007. Queste vede? Sono tutte le copie dei versamenti che lei effettuò a favore di ordini religiosi e per opere di beneficenza in genere. Vediamo: duemila euro circa in tutto. Ben poco.”
“Facevo molta beneficenza.”
“Guardi, è poca. Si fidi. Non so…da uno sguardo superficiale, lei sì e no ce la fa per il purgatorio. Poi leggo qui questa nota scritta a penna dal capo ufficio.”
L’impiegato leggeva frasi scritte dietro la copertina:
“Lei è andato solo 318 volte a messa, nella sua vita. E’ poco. Questa è un’altra nota negativa.”
“Allora sono perso.”
“Non dico questo. Uno può andare a messa tutte le domeniche e pensa ad altro. Pensa ai soldi, alle donne…Mentre il prete officia, lui fa finta di seguire la messa, ma pensa ad altro. Pensa agli affari.”
L’impiegato esaminava scartabellando altri attestati. Disse:
“Non è detto. C’è da discutere. E’ una cartella corposa, vede?”
“Veda un po’ lei. Veda un po’ di metterci una buona parola. Lei che è così buono.”
“Torni tra sei mesi e ne riparliamo. Però torni con una mancia più grossa, molto più corposa. Mi raccomando.”
“Mi tolga una curiosità.”
“Le curiosità costano.”
Alterio Giorgio fu indeciso se sborsare o no un nuovo pezzo da cinquanta. Alla fine tirò il portafogli e tirò i cinquanta ultraterreni euro.
“Tenga.”
“Cos’altro vuole sapere?”
L’impiegato aveva messo al sicuro la banconota nel portafogli. Alterio Giorgio disse:
“Ma come fate a conoscere tutti i fatti della gente? Come deducete che sulla Terra io fui a messa solo per 318 volte?”
“Eh, caro mio. Le vie della Commissione sono infinite. Spiamo i computer terrestri. Rileviamo i dati in tempo reale. Possediamo i dati di tutti quelli che arrivano qui. Abbiamo collegamenti con le anagrafe municipali, colle prefetture, coi notai, le chiese… Sappiamo tutto di ogni trapassato. Rileviamo di continuo dati. Anche se non sembra, noi lavoriamo sodo. Lavoriamo solo per voi.”
L’impiegato si era auto censurato e cambiato tono:
“Non posso dirle tutto comunque. Però una cosa le dico: è possibile che l’immagine di una persona travalichi in tempo reale lo spazio ed il tempo ed arrivi fin qui purché ci siano rivelatori speciali che noi della Commissione possediamo. Ecco come possediamo i dati. Vi spiamo. A noi basta sapere il nome e cognome della persona resuscitata, il suo indirizzo terreno e pochi altri dati anagrafici ed il gioco è fatto. Stampiamo la documentazione di ogni trapassato e ci facciamo un nutrito faldone che la Commissione a tempo debito esaminerà.”
“Voi della Commissione condannate ed assolvete in base ai dati che i computer terrestri vi spediscono.”
“Sì, più o meno.”
“I condannati…quelli che la Commissione condanna ai lavori pesanti…devono produrre ricchezza.”
“Esatto. Ma non sono come gli schiavi che c’erano una volta sulla Terra. Adesso con le sofisticate tecnologie lavorano, questo sì, ma sono compiti esecutivi perché il lavoro manuale è espletato quasi interamente da robot. Poi hanno anche il fine settimana libero ed un emolumento settimanale. Però sono in stato di semilibertà, hanno rigidi obblighi lavorativi e di residenza. Si chiamano workers. C’è la speranza che si riabilitino col lavoro e non vadano più all’inferno come meriterebbero. Il lavoro nobilita l’uomo.”
“Capisco.”
“Però io non faccio parte di questa Commissione. Tutti lo sanno, lei che è un novizio non lo sa. Glielo dico. C’è una Commissione Alta che dirige e giudica e c’è una Commissione Bassa che esegue le decisioni prese dall’alto. Capito?”
“Come sulla Terra.”
“Ora andiamo se no s’insospettiscono.”
“Una ultima cosa.”
“Cosa adesso?”
“Calza un paio di scarpe in cuoio nere corvine con fibbie, marca NeroGardini, prezzo 130 euro. Come faccio a sapere ciò? Eppure lo so.”
“Lei ha nel taschino una stilografica Parker – oro, prezzo 150 euro. Come faccio a saperlo? Semplice. E’ colpa della nostra resurrezione su questo pianeta. Tutti hanno dei pallini, tendenze, manie: molti fanno collezioni di vario tipo oppure come fa lei, o io, conosciamo all’istante la marca ed il prezzo degli indumenti, cinghie e scarpe compreso. La chiamano la Sindrome Ultratombale. Tutti ne siamo affetti. La sua mania, quella di riconoscere gli indumenti che uno porta, è la più diffusa, ma ce ne sono di strane come coprire tutte le pareti della propria casa di quadri, oppure sapere che tipo e che colore è il fazzoletto uno tiene in tasca.”
L’impiegato era salito in cima alla scala a riposizionare il faldone. Ritornati ai piani superiori, Alterio Giorgio lo salutò. Quello gli disse a bassa voce: “A disposizione per qualsiasi cosa.”
Alterio Giorgio si sollevò il bavero del cappotto, si aggiustò la sciarpa di lana Burberry, si mise i guanti Malì Parmi ed uscì cercando di evitare gelide ventate. Sul massiccio palazzo che si prolungava per circa mezzo chilometro sul lato destro del corso, campeggiava sopra il cornicione, nella parte centrale dell’edificio la scritta fosforescente con smagliante luminosità:
PALAZZO DELLA COMMISSIONE GOVERNATIVA.
L’insegna visibile da tutta la città, sia per la forte luminescenza dovuta ai lantanidi, sia perché il palazzo di cinque piani stava su un rialto. L’insegna faceva contrasto con il cielo scuro.
Tutti gli impiegati del Palazzo della Commissione - uomini e donne - avevano quella specie di divisa addosso: giacchetta verde con uno stemma dorato sul taschino, pantaloni o gonne scuri. Alle maniche avevano dei ghirigori dorati che dovevano servire a distinguere un impiegato di gruppo B da uno di C, o di A. Le scarpette tutte nere, basse e con le fibbie. Alterio Giorgio pensò che somigliavano ai dipendenti Alitalia sulla Terra.


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