Tutte
le storie grandi ed importanti nascono dal racconto che in una notte buia
inizia attorno ad un fuoco. In quel cerchio di luce e di calore prendono
forma le visione più fantastiche, sollecitate dalle parole del narratore:
colui che sa, colui che ricorda, colui che tramanda. In tempi più
moderni i grandi racconti non necessitano più di quella sfera di
raccoglimento per nascere e svilupparsi, ma il grande narratore è
insostituibile perchè solo lui riesce a trasfigurare nella parole
un avvenimento quotidiano e dargli una nuova dimensione, perchè
solo lui, con il ritmo del suo parlare, riesce a dare una portata universale
a tale avvenimento.
Raccolti
intorno al nuovo fuoco di internet ci accostiamo anche noi al grande narratore,
a colui che ha visto e a colui che con le sue parole riesce a far rivevere
un mondo passato.
Intercom
compie venti anni, venti anni di vita all'interno del mondo degli appassionati
di fantascienza. Di tutti gli attuali collaboratori della pubblicazione
solo Domenico Gallo può dire di aver seguito l'intero percorso di
questa avventura. Ascoltiamo quindi il suo racconto, il racconto del più
vecchio redattore di Intercom. Iniziò la sua collaborazione
con il primo numero, nel 1979, e da allora ha seguito tutte le metamorfosi
della rivista, dal ciclostile al web. Con lui cerchiamo di ricostruire
l’atmosfera, la storia, il divertimento, le illusioni di un’iniziativa
che, unica, ha attraversato la fantascienza italiana.
Come
è nata Intercom?
Intercom nasce nell’ottobre
del 1979, a opera di un gruppo palermitano allora molto attivo nella fantascienza
italiana. Si trattava di Pippo Marcianò e Gianfilippo Pizzo, ovvero
la redazione di Astralia, una fanzine molto interessante. Queste
fanzine erano, nella maggior parte dei casi, ciclostilate e avevano una
qualità pessima. Le fotocopie, in quegli anni, costavano 100 lire,
ovvero più di adesso, erano ancora su carta chimica e si trattava
di una tecnologia inavvicinabile. Chi se lo poteva permettere usava l’offset,
come Kronos o Il re in giallo (curata da Giuseppe Lippi e,
a oggi, la migliore iniziativa editoriale sul fantastico), gli altri usavano
il ciclostile, la macchina da scrivere e le fanzine erano di fatto simili
ai volantini politici. In quel periodo c’erano in Italia moltissime fanzine,
alcune bellissime come Alternativa (curata da Giuseppe Caimmi e
Piergiorgio Nicolazzini), The Time Machine (curata da Mauro Gaffo),
Ubik
(di un gruppo pescarese che vantava la presenza di uno straordinario disegnatore
come Domenico D’Amico), FaMzine (di Dionisio Castello e Roldano
Romanelli) e Lucifero (curata da Bruno Baccelli, Daniele Brolli
e Daniele Ganapini). Il livello critico era davvero elevato e molti di
quegli interventi potrebbero essere letti ancora oggi. In questo marasma
di cartaccia da ciclostile, Mauro Gaffo decide di stampare a Padova un
quindicinale: Quark. Era la Padova del 7 aprile e del coprifuoco,
ma un eroico appassionato di fantascienza riuscì comunque ad andare
avanti per circa sei mesi, fino a quando non venne interrotto dalla partenza
per il servizio militare. Si trattava di un A4 ripiegato contente trafiletti
d’informazione sulla fantascienza, le segnalazioni d’uscita delle altre
fanzine e brevi articoli. Su uno dei primi numeri di Quark si consumò
il mio esordio nel mondo della fantascienza, con una breve storia della
fantascienza in TV. Era davvero un’iniziativa ben fatta, sobria, corretta,
puntuale. Con la chiusura di Quark, l’iniziativa di un bollettino
periodico riparte con Pippò Marciano che propone il mensile Intercom.
Con questo nome era apparsa una rubrica d’informazione proprio su Astralia.
Dunque,
cosa c’era sul primo numero di quella newzine che diventerà la rivista
amatoriale più longeva d’Italia?
Innanzitutto un resoconto
della convention mondiale di Brighton e un articolo di Domenico D’amico
(un eccezionale artista figurativo, come ho già detto) intitolato
"Fanzine: la chiave della soggettività" molto polemico verso il
fandom. Pensate a cosa era già Intercom, in questo intervento
D’amico asseriva che "Luminati è analfabeta", mentre lo stesso Luigi
Luminati firmava una rubrica nella pagina seguente. Ancora, Marcianò
interveniva a proposito di un progetto di tale Michele Martino di unire
il fandom italiano in un’unica testata diretta da lui stesso. A Martino,
Pippo Marcianò rispondeva che era meglio starsene divisi, ognuno
con le proprie idee. E poi centinaia di notizie e molti collaboratori.
Oltre a me comparivano Bruno D’agostino, Luigi Luminati, Lino Aldani, Sandro
Pergameno, Gianfilippo Pizzo, Giuseppe Caimmi, Ugo Malaguti, Bruno Baccelli
e Gianfranco De Turris.
Ma
non ti sembra che ci fossero alcune contraddizioni in questa compagine?
Sicuramente. Pensate che
in una pagina si ringraziava De Turris per la collaborazione e in un’altra
si scriveva: "Martino, Fusco e De Turris, Tarchi e Voglino scrivete su
un quadernetto a righe (tipo V elementare) 500 volte questa frase e poi
riscrivete i vostri articoli su Tolkien". Credo che le parti più
polemiche di Intercom siano nate proprio da parte di Marcianò, anche
se dal secondo numero appaiono Mimmo Cammarota e Claudio Asciuti, due assoluti
leader nel rompimento di coglioni. Ciò che caratterizzava la prima
Intercom
era soprattutto una certa goliardia che era latente nel fandom, sommata
a un marcato spirito di libertà che caratterizzava Marcianò
e che raccoglieva i collaboratori più disparati e, soprattutto,
un’innata autoironia (qualità che mancava nel mondo della sf italiana).
Nel numero 2, Marcianò scriveva: "Posso considerare positive le
reazioni a Intercom 1 perché ho ricevuto solo insulti per
posta e nessuno è venuto a trovarmi per dirmele di persona. Alcuni
lettori lamentano la mancanza dello strappo che rende Intercom poco
funzionale per scopi igienici". Nel numero 3 arriva Daniele Brolli con
"Italiani brava gente" in cui attacca Inisero Cremaschi e le allucinanti
scelte della collana Cosmo Argento come Menghini, Piegai e Marafante.
Tenete conto che solo pochi anni prima in quella collana erano stati pubblicati,
Spinrad, Dick, Lafferty, Farmer e Delany: un confronto impietoso. Comunque,
sempre nell’ottica del casino, poche pagine dopo l’intervento di Brolli
appariva un’intervista stucchevole a Cremaschi.
Cremaschi risponderà
a Brolli con queste parole: " Italiani brava gente lo trovo spassoso
perché inesatto da cima a fondo; ma lo trovo anche rivelatore di
una condizione psicologica abbastanza infelice, che ha le sue giustificazioni
nell’evidente isolamento del suo autore".
Sembrano
argomenti usati ancora recentemente durante le varie polemiche sulla fantascienza
italiana...
È vero. Tra l’altro
anche Daniele aveva citato autori, come Horrak e Zuddas, a suo parere più
meritevoli di pubblicazione dei prescelti, e Cremaschi rispondeva in maniera
abbastanza poco convincente all’accusa di dirigere una sorta di clan in
cui ci si pubblica e recensisce a vicenda. Comunque l’anatema di Cremaschi
mi sembra andato abbastanza male, ora Daniele Brolli, scrittore, sceneggiatore,
disegnatore, editore, traduttore, curatore di Bompiani ed Einaudi mi sembra
molto diverso da una persona culturalmente isolata. Un buon auspicio anche
per Claudio Asciuti, immancabile polemista.
Ma le polemiche erano destinate
a continuare. Mimmo Cammarota, il vero genio del male di Intercom,
inizia a tenere la rubrica "Il cuore rivelatore", un’impietosa rassegna
stampa sulla fantascienza , una "Paperissima" ante litteram. In questo
spazio Mimmo riportava notizie sparse sputtanando i personaggi della fantascienza
a destra e a manca, prendendo posizione pubblica contro la destra, contro
il centro e contro la sinistra (specialmente PCI e le espressioni filosovietiche
varie che resistevano ai quei tempi).
Allora
non esisteva un progetto ben delineato, ma interventi lunatici e disorganici?
Già, un’iniziativa
lunatica. Intercom era il forum di una banda di screanzati, saccenti,
intellettualoidi, maligni, irriverenti, impuniti, sediziosi. Oltre a me,
si trattava di Asciuti, Baccelli, Brolli, D’Amico, Cammarota, Loffredo
e Marcianò. Il progetto Intercom viene fuori all’Eurocon
di Stresa quando il gruppo si incontra fisicamente e fa banda a parte.
Ognuno aveva la sua rivista amatoriale, ma Intercom costituì
una sorta di internazionale del terrore fantascientifico. Io e un nutrito
gruppo di genovesi avevamo stampato Crash, Cammarota e Loffredo
venivano da Pianeta Rosso (da cui, credo, vennero espulsi per estremismo),
Asciuti aveva fondato il Collettivo delle Ombre e faceva parte di
Un’Ambigua
Utopia, Baccelli e Brolli lavoravano a Lucifero. Inoltre l’Eurocon
di Stresa ha segnato l’entrata ufficiale della politica nel mondo della
fantascienza. Il giorno dell’inaugurazione, il primo maggio 1980, Asciuti
viene fermato dai carabinieri all’entrata del palazzo dei congressi perché
sventolava una bandiera rossa. L’intervento di De Turris viene contestato
e distribuito un volantino che ne denuncia la matrice di destra. Intercom
si fa promotrice di una raccolta di firme a favore di un dissidente sovietico.
Alcuni facinorosi si autoriducono l’entrata e fanno man bassa dei libri
esposti. Ma in mezzo a questo casino, in cui i fantascientisti dormivano
sulle panchine e assaltavano i buffet, si forma un’idea di Intercom
più precisa. Ovvero un progetto antagonista che guarda alla provocazione
come metodo. Sicuramente Cammarota e D’amico sono stati quelli con le idee
più chiare e, a lato della rivista, iniziano una serie di attività
che costituiscono un crocevia tra politica, arte e fantascienza. Un’idea
tra tutte il Movimento Ubikuo.
Cosa
sarebbe questo movimento?
Il movimento si ispirava
a Ubik di Philip Dick. Tenete conto che, all’inizio degli anni Ottanta,
Dick era uno scemo qualunque ed era ancora da venire la moda orrenda che
vedrà uno spartirsi di carni dickiane tra Benni, Salvatores, Fofi
Cofferati. Solo intellettuali come Caronia e Pagetti si battevano per attribuire
il giusto valore a questo scrittore. Poi c’eravamo noi di Intercom a cui
piaceva fare casino, ma anche, come propugnavano, Cammarota e D’amico,
mescola certa sf con Bataille, il surrealismo, le arti figurative, la cronaca
criminale. A distanza di anni devo ammettere che si trattò di fulminanti
intuizioni. Cammarota scriveva "La nostra è una società dove
è stato ucciso il senso. Se vogliamo produrre fantascienza - e quindi
senso - dobbiamo compiere un’azione antagonista alla società e quindi
al regime, e sinceramente non ce ne frega niente". Era una proposta di
vivere la fantascienza in maniera estrema e vitalistica, e non di proporre
una qualche visione letteraria. Una sorta di crocevia tra nichilismo, sense
of wonder, fallimento dei movimenti di massa e autoritari.
Che
rapporti aveva Intercom con il resto del fandom?
Direi pessimi. O eri in
Intercom
o eri fuori, come da una setta. Nella rivista, rapidamente, si perse ogni
tipo di opportunismo. Nel fandom era in uso asservirsi agli editori e ai
curatori, prostrarsi ai professionisti (cioè a chi aveva pubblicato
almeno una volta su una pubblicazione tirata a stampa), leccare tutto e
tutti. Improvvisamente un gruppo di persone, Marcianò in testa,
incominciò a fregarsi di tutto questo e fu guerra e guerriglia.
Sul numero 10 di Intercom appare questo annuncio: " Si cercano notizie
documentate, pareri, opinioni, voci di corridoio sulle mafie e i nepotismi
nel mondo della fantascienza italiana. A richiesta i contributi possono
essere anonimi"; naturalmente era firmato Claudio Asciuti! Poi iniziò
la desacralizzazione di Aliens, la brutta copia di Robot. Cammarota parla
di "Fattoria degli animaliens" e Brolli, senza mezzi termini, parla Jack
Williamson come di "un povero idiota che deve ringraziare l’esistenza di
una letteratura di merda come la sf se è riuscito a scrivere, vendere,
sopravvivere dignitosamente mentre si sarebbe meritato di finire in qualche
azienda municipalizzata o a raccogliere cartoni sulle provinciali". Ai
Premi Italia rispondemmo con il Premio Hug, ovvero un insigne segnalazione
del peggiore autore italiano, della peggiore rivista, del peggior disegnatore.
Il premio consisteva in una serie di stronzi di plastica verniciati al
nitro d’oro, d’argento e di bronzo. Alla convention di Modena, nel 1981,
tentammo di consegnarli ai vincitori, ma tutti si rifiutarono.
E
chi furono i fortunati vincitori?
Allora, la categoria Peggior
autore italiano di sf di tutti i tempi venne vinta da Luigi Naviglio,
Fabio Calabrese divenne il Peggior autore fan, Dimensione Cosmica
la Peggiore fanzine. Ovviamente Calabrese se la prese e scrisse
a Marcianò dubitando della democraticità del voto, così
Pippo gli elencò i nomi dei votanti (tra cui io, Asciuti, Pizzo,
Valle, Brolli, Gaffo, Fabozzi, Romanelli, ...) , tanto per quieto vivere.
Che
tipo era Marcianò e quanto di lui c’era in Intercom?
Marcianò era un tipo
davvero strano. Intanto non credo che sia mai stato di sinistra, qualcuno
lo dava per democristiano e pare che l’edizione palermitana venisse stampata
in un parrocchia. Eppure Intercom è stata, fino ad oggi,
la sede storica della cultura di sinistra che si occupava di fantascienza.
Credo che, soprattutto, gli piacesse molto fare casino. Non era un intellettuale,
mentre tutti noi eravamo degli aspiranti tali. Disadattati ma universitari:
fisica, lettere, DAMS, e così via. Però l’anima originale
era sua.
In
che misura l’atmosfera politica che c’era in Italia vent’anni fa influenzò
i contenuti di Intercom?
L’atmosfera era davvero
brutta. Eravamo tutti più o meno sui vent’anni, cioè non
avevamo fatto il mitico 68. Quindi niente liberazione sessuale, euforia,
utopismo. Dopo era stato tutto guerriglia, sospetto, frustrazione, delusione;
almeno per qualche anno. La maggior parte dei collaboratori di Intercom
vedeva chiudersi attorno tutti gli spazi politici e la fantascienza rischiava
di configurarsi un’alternativa alla droga, all’integrazione o al suicidio.
Quindi c’era, nei 27 numeri curati da Marcianò, una miscela di insofferenza
incosciente. Credo che tutti noi cercassimo una via d’uscita politica alla
stagnazione del movimento e la fantascienza (ovvero la deformazione del
presente) era una strada come un’altra. Paradossalmente molti sperimentavano
le prime forme di irrazionalismo di massa che oggi hanno un prodigioso
successo come la New Age e altre cazzate.
Perché
sobbarcarsi l’onere di continuare una rivista come Intercom dopo
la gestione di Pippo Marcianò e non iniziare un progetto politicamente
"puro"?
Marcianò iniziò
a dare segni di cedimento già all’inizio del 1981. Intercom
iniziò a degradarsi e si rarefecero i contributi originali. Alcuni
collaboratori fondamentali come Daniele Brolli e Claudio Asciuti si diradarono
dall’iniziativa. Improvvisamente, almeno per me, Bruno Valle mi propose
di continuare Intercom assieme. Io e Bruno eravamo reduci dai due
numeri di Crash e avevamo lavorato bene. Inoltre ci eravamo fatti
un’esperienza di carta, inchiostro e ciclostile. L’idea trovò Marcianò
favorevole, e da quel giorno non ebbi più sue notizie, e fu avvallata
da Cammarota, D’Amico e dalla cerchia di collaboratori regolari. Cammarota
scrisse "La gestione avanzata da Bruno Valle la confermo, specialmente
se di Intercom si occuperà tutta la banda genovese, ed in specialmodo
i suoi capi più temibili, Nico & Claudio. Una mia gestione diretta
di Intercom è per il momento impossibile, oltre che per la
cronica mancanza di tempo, per la mia sanguinaria accidia, che potrebbe
portare Intercom dal bolletino di SF che è, a diventare una via
di mezzo tra il bollettino di Al Fatah e gli annali della facoltà
di Gottinga." E conclude: Comunque vadano le cose, Intercom non
morirà, questo è certo"
Parole
profetiche...
Sì, anche se Intercom
versione ligure fu, da subito, molto diversa. Del resto, anche quando Danilo
Santoni la recuperò al numero 100, introdusse alcune modifiche molto
importanti. Comunque la rivista fu un rigoroso mensile a partire dal numero
28, uscito nel gennaio 1982, fino al numero 99 del marzo 1988, compresi
alcuni numeri speciali e una rivista collaterale intitolata International
Science Fiction. Il merito, credetemi, fu tutto di Bruno Valle. Se
fosse stato per me Intercom non sarebbe arrivata al numero 30. Bruno
faceva letteralmente tutto: batteva le matrici, stampava, impaginava, spediva,
faceva gli acquisti, teneva i conti, traduceva da tre lingue, rispondeva
ai lettori, faceva la redazione. Io collaboravo nel senso che proponevo
i miei interventi e leggevo quelli che venivano inviati. Come Bruno Valle
abbia potuto andare avanti con questo ritmo per quasi 7 anni è un
mistero anche per me. Comunque la seconda serie risultò nettamente
più seriosa e impegnata, anche le provocazioni di Cammarota vennero
ingabbiate
in contributi critici strutturati. In realtà Intercom diventò
una pubblicazione di recensioni e di saggistica con qualche spazio all’informazione,
ma rigorosamente asettica.
Avevate
perso il pungiglione?
Forse sì, anche se
si colpiva in maniera differente. Indubbiamente io e Bruno Valle venendo
da un’esperienza come Crash, cioè critica pura, finimmo con
il presentare una rivista che vedeva a esperienze passate come Alternativa
e Ubik e a iniziative universitarie come La città e le
stelle di Carlo Pagetti. Le polemiche furono rare ma decise. Per esempio
tentammo un’intervista alla destra, intitolata "Dare la parola a chi" sui
rapporti tra fantastico e ideologia, ma nessuno dei destinatari rispose.
Chi
avevate tentato di coinvolgere?
Gianfranco De Turris, Sebastiano
Fusco, Alex Voglino, Adolfo Morganti... Mi sembra anche Tullio Bologna.
Cioè quelli che, dal contenuto dei loro scritti, sembravano appartenere
alla destra. Peccato che non abbiano risposto; pur essendo rigorosamente
antifascisti, eravamo interessati ai contenuti che potevano uscirne. Poi
quello era il periodo della Nuova Destra e sembrava che stesse per manifestarsi
una cultura anticonformista. Invece, in fantascienza come in politica,
non accadde niente di tutto ciò. Comunque avremmo pubblicato integralmente
le loro risposte, e finimmo per pubblicare solo le domande. Poi, tornando
alle polemiche, ci fu un’intervista a Claudio Asciuti, che anche voi ricorderete
perché apparve sul 98, che era vetriolo fumante.
Quale
è stata la parabola di Intercom, da tuo punto di vista?
Più che una parabola,
direi che questi 20 anni di fantascienza amatoriale siano stati una sinusoide.
L’iniziativa ha avuto alti e bassi, ma ha avuto momenti decisamente alti.
Intanto sono stati davvero in molti a pubblicare su Intercom, anche
autori che hanno avuto un grande successo. Abbiamo già citato Daniele
Brolli, ma ricordo Nicoletta Vallorani, che oggi è una delle voci
più importanti del noir italiano, Antonio Caronia, forse l’unico
studioso brillante e originale del mondo tecnologico, per non parlare di
Lino Aldani, Luce D’Eramo, Renato Petriniero e Vittorio Catani, o di critici
straordinari come Silvio Migliaccio e Mario Fabiani, redattori di Arcon,
poi Maurizia Rossella, Sergio Fabbri, Roldano Romanelli, Bruno Baccelli,
Gianfilippo Pizzo, Aldo Trivellato, Lucio Rainusso, Claudio D’Ettorre,
Daniele Cerchi, Michele Loffredo, Fabio Zucchella. E come non ricordare
che Danilo Santoni è stato il primo in assoluto a parlare in Italia
del cyberpunk e a tradurre i loro racconti...
In
tutti questi anni non ci sono state polemiche interne?
Qualcuna ci è stata.
Sicuramente Mimmo Cammarota si è trovato sempre meno a proprio agio
in una rivista abbastanza rigorosa nell’essere orientata alla critica della
fantascienza. Un confine che, come dimostreranno i suoi interventi con
l’editore Fanucci, certo gli andava stretto. Forse l’unica contrapposizione
decisa l’abbiamo avuta con Mariella Bernacchi che, da collaboratrice fissa,
uscì dalla rivista e non vi rientrò più. Fu soprattutto
una ragione di politica editoriale.
Perché
abbandonaste con il numero 99?
Il motivo scatenante fu
la rottura del ciclostile, ma alla base c’era una stanchezza e una disaffezione
dei lettori. Credo che il modello di allora, quella della critica militante,
avesse reso il possibile e oltre non si potesse andare. I risultati ottenuti
da Danilo Santoni, presto appoggiato da Roberto Sturm, parlano da soli.
Nuove idee, introduzione di narrativa italiana e straniera, un salto grafico,
anche grazie ad Antonio Folli, incredibile, il concorso letterario. Non
per farci i complimenti a vicenda, ma io stesso ritrovai nella nuova Intercom
un rinnovato entusiasmo e fu l’occasione per scrivere nuove cose.
Perché,
secondo te, nonostante i continui rinnovamenti, la qualità, lo stuolo
di collaboratori,
Intercom ha sempre avuto dei problemi di diffusione?
Questo è un problema
cronico delle fanzine. Inoltre più sono belle e peggio vanno. La
causa sta in una crisi generale della fantascienza che è iniziata
alla fine degli anni Settanta. Pensate che chiusero Galassia e Robot
e collane come SFBC. Io credo che le fanzine servano solo agli autori per
pubblicare l’impubblicabile, nel bene e nel male, e che non abbiano un
pubblico di lettori. In questo senso hanno sempre funzionato, per sgrossare
gli autori o per creare mostri che esistono ed esisteranno solo sulle fanzine.
In ogni caso non sono solo le fanzine a essere iniziative amatoriali, ma
anche alcune case editrici, come fu Solfanelli, non avevano certo uno scopo
di lucro. Si tratta, come notava Domenico D’Amico su numero quattro di
Intercom,
di un gioco. Ormai è stabilito, anche gli adulti giocano, e con
la stessa gioia dei bambini.
Perché
hai giocato vent’anni con Intercom?
Non lo so. E voi, seppure
per meno tempo, perché lo avete fatto?
Domenico Cammarota, Intercom Story Danilo Santoni, Intercom - the next generation Domenico Gallo intervista Claudio Asciuti, Io sono contrario a tutto ciò che è futuro Galleria Storica Come Eravamo