LIBRI
Vincenzo Tagliasco,
DIZIONARIO DEGLI
ESSERI UMANI FANTASTICI E ARTIFICIALI
Massimo Mongai, IL GIOCO DEGLI IMMORTALI
Pierdomenico
Baccalario, L.B.
FUMETTI
IL NUMERO CENTO, Nathan
Never 100
PAURA DAL PROFONDO,
Nathan Never 101
Vincenzo Tagliasco |
DIZIONARIO DEGLI ESSERI UMANI FANTASTICI E ARTIFICIALI |
Milano,
Mondadori, 1999 (pagine 479, L. 16.000) |
Quando esce un libro dedicato a un tema come questo, non
sembra giusto essere troppo critici. In fin dei conti, in un
settore simile qualcosa è sempre meglio di nulla,
a meno che non ci si trovi di fronte a un disastro completo.
Non è quindi il caso di esser troppo severi con il Dizionario degli esseri umani
fantastici e artificiali. Laggettivo
più adeguato per parlarne, però, è: "confuso".
Confuso a tutti i livelli, dalla spiegazione delle singole voci
fino allorganizzazione dellopera. Lautore
procede infatti a fare una "tassonomia relativa a esseri
contenenti parti biologiche o materia in grado di
auto-organizzarsi" (17 categorie) e una "tassonomia di
esseri non contenenti parti biologiche" (19 categorie),
entrambe con un aspetto molto imponente. Ma le categorie non sono
né sistematiche né applicate con rigore.
Che senso ha per esempio, creare una categoria come la 7,
"Esseri
che presentano artificialità o scostamenti
dalla norma", infilandoci poi dentro una voce
"Esseri dotati di maschera o divisa" che include non
solo Zorro, ma perfino Brick Bradford ("che ha nella
canottiera, in grado di mettere in mostra i suoi spettacolari
muscoli, la divisa che lo distingue", p. 90)? A
questo punto, perché non metterci tutti i militari e guerrieri
della letteratura occidentale?
E proseguendo, che senso ha infilare nella lista degli
"esseri [umani] dotati di superpoteri" un alieno come
Predator, dicendo che "presenta superpoteri
ragionevoli", come la capacità di vedere le radiazioni
infrarosse e di rendersi invisibile? Perché non considerare
allora tutti gli alieni della narrativa, e tutti gli animali,
esseri dotati di questi "superpoteri ragionevoli"?
Che senso, anche, dedicare una voce alla pecora "Dolly"
in un dizionario che è appunto dedicato agli "esseri
umani"? E su questo tono si potrebbe continuare a lungo.
Molte inserzioni nelle categorie sono infatti, nel migliore dei
casi, arbitrarie (come riconosce a tratti lo stesso autore). E le
stesse categorie hanno una sistematicità più apparente che
reale, culminando in categorie pot-pourri come la 7 o la 15.
Tanto per dirne una, non cè una categoria dedicata agli
esseri umani del passato o del futuro, rappresentati solo dalla
menzione di Eta Beta tra gli "Animali che assumono funzioni
e ruoli propri degli esseri umani" (!), da due voci dedicate
(in categorie diverse) a "Evoluzione accelerata", e da
una che tratta di "Evoluzione biologica umana" citando
Cavalli Sforza.
Insistiamo ulteriormente: non è un piacere accorgersi che ampie
sezioni della tassonomia "umana" e di quella
"meccanica" sono occupate da liste curiose con qualche
difetto di editing. Liste di nomi come quelli dei mutanti dei
fumetti Marvel o degli umanoidi di Star Trek sono state per
esempio evidentemente riprese in modo passivo da materiale
americano, senza il minimo tentativo di tener conto delle
traduzioni italiane; e si rimane un po perplessi di fronte
a liste di macchine e prodotti che si fermano bruscamente a date
tipo il 1987 (per i "Teleoperatori") o il 1989 (per i
robot industriali), perché le pubblicazioni da cui sono state
riprese risalgono agli anni Ottanta!
Il confronto con gli standard di scientificità di un normale
lavoro in ambito umanistico è quindi impietoso: non si parla di
testi ormai classici e di esemplare rigore come Gli oggetti desueti nelle immagini della
letteratura di Francesco Orlando (Einaudi, 1993), ma
proprio di banale serietà lavorativa e capacità di rispettare
una classificazione.
Tuttavia, nonostante tutte queste pesantissime riserve, e senza
nemmeno cominciare a parlare dei presupposti teorici del lavoro,
il giudizio su questo libro non può essere del tutto negativo.
Perché, come si diceva in apertura, in questo settore qualcosa
è meglio di nulla. E perché questo dizionario (che dizionario
non è) ha il grosso merito di essere lungo 479 pagine, inclusi
abbondanti indici. La semplice massa del materiale citato, se è
inutilizzabile per qualsiasi scopo serio, fornisce quindi
abbondanza di materiale spesso proveniente da testi e autori poco
noti, frutto di letture evidentemente a larghissimo raggio.
Il consiglio per tutti i lettori è allora quello di
leggiucchiare qua e là, saltando a piè pari i punti
"teorici" (di cui spesso è difficile comprendere il
senso) e immergendosi nella palude. Lasciare insomma che sia la
materia, sporca e imperfetta, a parlare di sé e a raccontare in
qualche modo quel che gli esseri umani hanno tirato fuori su un
tema come questo. In attesa che arrivi qualcuno a raccontarcelo
meglio.
in collaborazione con l'Enciclopedia Digitale della Fantascienza :
Mirko Tavosanis
Massimo Mongai |
IL GIOCO DEGLI IMMORTALI |
Milano,
Mondadori, Urania 1372, 1999 pagine 270, L. 5.900 |
Urania ripropone uno dei più recenti vincitori del Premio
Urania, quel Massimo Mongai che con il suo Memorie di un cuoco dastronave aveva
innescato più di un dibattito polemico allinterno degli
appassionati e addetti ai lavori.
Su consiglio caldeggiato da più di una persona di cui mi fido a
livello estetico, avevo evitato di leggere quel romanzo, ma
questa riproposizione della casa editrice milanese ha, alla fine,
stuzzicato la mia curiosità.
Il gioco degli immortali
non mi sembra un capolavoro. Nonostante la storia non sia
deprimente, niente di nuovo e niente di eclatante, direi. Devo
ammettere, però, che almeno un minimo la storia prende,
nonostante il romanzo sia condito da uno stile troppo semplice e
semplicistico e risenta di non infrequenti cadute di tono (frasi
e considerazioni sparse) che non concorrono a dare alcun spessore
al racconto. Sia da un punto di vista narrativo che scientifico e
sociale.
Risulta fastidioso, per esempio, lamore del protagonista
per le armi, le eccessive citazioni e descrizioni che fa di esse.
Esasperate, a volte.
Un romanzo, tra laltro, che come struttura può essere
ricondotto ad una antologia di racconti collegati da un filo
conduttore, il protagonista che torna innumerevoli volte a nuova
vita, che ricorda la struttura più volte usata da Farmer.
Il finale, soprattutto, non è troppo convincente. Improvvisato,
sembra che lautore cambi repentinamente marcia, velocità
narrativa, imprimendo alla storia un ritmo troppo alto rispetto
al resto del romanzo.
In definitiva unoccasione mancata su una idea che, in
qualche modo, se trattata in maniera più appropriata e
convincente, avrebbe potute destare unattenzione maggiore
del lettore che, personalmente, non ritengo mai troppo
sollecitata dallautore.
Roberto Sturm
Pierdomenico Baccalario |
L.B. |
IperLibri,
1999 L. 14.900 |
Non si tratta di un libro bensì di un libro-gioco per
ragazzi, costruito come un ipertesto su carta: contraddizione in
termini che sta a indicare un percorso non lineare, da seguire
armati di penna e pronti a balzare avanti e indietro di diverse
pagine alla ricerca di una soluzione. Largomento è
fantascienza avventurosa: lambientazione è una Hong Kong
del futuro, completamente integrata nella Cina federale, con
vasti quartieri degradati in cui per denaro si può ottenere di
tutto. Il protagonista, e il lettore con lui, si risveglia senza
memoria, costretto a lanciarsi in una pericolosa ricerca in stile
cyberpunk, anzi hard-boiled che nella versione iper-libro rende
meglio. Tutto sommato, possiamo dire che il lato avventuroso
della science fiction si adatta molto bene a questa avventura
interattiva. Chi, come il sottoscritto, ha passato la giovinezza
nei bui anni del ghetto, avrebbe pianto di gioia da ragazzo nel
trovarsi fra le mani uno strumento come questo. Per forza di
cose, poiché di essenziale cè solo la trama da seguire,
lo stile di scrittura è sbrigativo, ma linventiva viaggia
veramente a un alto numero di giri.
Franco Ricciardiello
Dalla PREFAZIONE A "L.B." DI DOMENICO BACCALARIO
Il giorno in cui mia figlia Martina, che ha 12 anni, mi ha
detto che era stanca di leggere, che aveva perso interesse nei
libri, le ho regalato liperlibro "Larchibugio di
Fermoy" che ha preceduto di qualche mese luscita di
questo "L.B."
Da quando frequentava gli ultimi anni di scuola elementare,
Martina ha sempre letto molto, almeno un libro a settimana:
però, forse perché ha praticamente esaurito i numeri della sua
collana preferita, quel giorno aveva deciso di smettere di
leggere. Io avevo per le mani "LArchibugio di
Fermoy" fresco di stampa; ho pensato che potesse risvegliare
il suo interesse, perché ha sempre trovato un certo piacere
nelle attività manuali.
Per circa 24 ore Martina non si è più staccata
dalliperlibro, interrompendosi solo per dormire,
riprendendolo in mano il mattino dopo, camminando per strada con
le pagine aperte, continuando a leggere in auto, sospendendo per
lamentarsi di avere imboccato una strada senza uscita nella
vicenda, ma continuando a immergersi poco dopo con un
atteggiamento che assomigliava molto alla smania che prende
alcuni ragazzini davanti ai videogiochi.
Io sapevo, naturalmente, che la sua disaffezione era momentanea -
una volta che si è scoperto il piacere per il mondo fantastico
che cè nei libri, non si può rinunciare per sempre - ma
mi dispiaceva che Martina si staccasse dalla lettura anche solo
per un breve periodo.
Mi pare che le ultime indagini di mercato abbiano evidenziato
come i bambini dellultima generazione, e in parte anche i
loro immediati predecessori che adesso sono quasi ragazzi,
leggano molto più di tutti quelli che sono venuti prima di loro.
Sappiamo infatti che in Italia si legge molto meno che nel resto
dEuropa: fino a qualche anno fa la media pro-capite era di
un libro a testa allanno.
Questo dato sconfortante mi suggerisce due domande:
1. chi sono gli altri 49 italiani che non leggono i 50
libri che leggo io in un anno? Vorrei proporgli di dividere,
almeno, la spesa;
2. che cosa ha prodotto questo aumento di interesse dei giovani
lettori?
Per rispondere alla prima domanda aspetto che si faccia vivo
qualcuno - so che accadrà difficilmente, visto che gli
interessati non leggono libri e dunque non leggeranno neppure
questa prefazione - mentre voglio provare a dare una risposta
alla seconda.
La mia opinione è questa: sono sicuro che, se quando ero ragazzo
io fossero stati presenti nel mercato editoriale prodotti
intelligenti come un iperlibro, molti più compagni di scuola
avrebbero passato meno tempo a giocare a pallone e più tempo a
giocare a "L.B.", riscoprendo magari un interesse per
la lettura che la scuola da sola difficilmente riesce a
trasmettere.
Perché non è avvenuto? Era davvero condizione essenziale che i
videogiochi interattivi educassero il pubblico più giovane a un
percorso di avventure che non seguisse in maniera lineare la
sequenza di pagine di un libro o le scene di un film? O piuttosto
il retaggio della letteratura seria, impegnata, didattica non
poteva concepire che un libro potesse trasformarsi in un mezzo
per giocare piuttosto che in un fine?
Liperlibro "L.B." di Pierdomenico Baccalario
segue lultima tendenza della fantascienza internazionale:
una cura attenta per lambientazione e una trama che spesso
è ricavata da quel genere "nero" che negli Stati Uniti
è conosciuto come hard boiled, vale a dire "cotto a
fuoco lento" - non si tratta di storie ambientate tra gli
antropofagi dellAfrica nera, ma di investigazioni in cui
lindagine procede lentamente, rivelando una trama
complicata e inaspettata.
Il protagonista di "L.B.", Alan Cromer, si ritrova
invischiato suo malgrado in una ricerca che riguarda la sua
stessa vita, unindagine così importante da occupare la sua
esistenza da quel momento in poi. Anche tu, immedesimandoti nelle
vicende di Alan Cromer, lo seguirai passo passo nel quartiere di
Tmin Sha Tsui, nella misteriosa Hong Kong. Avrai però su di lui
un sicuro vantaggio: Alan Cromer non può correre il rischio di
sbagliare, perché ne va della sua vita, mentre tu, lettore, se
ti ritrovi in un sudicio vicolo con una coltellata nella schiena
puoi sempre arrabbiarti, chiudere questo iperlibro per fare
merenda, e tornare poi a immergerti per salvare il povero Alan
con unaltra delle tue famose soluzioni geniali.
Franco Ricciardiello
Soggetto e
sceneggiatura: Bepi Vigna Disegni: Roberto De Angelis |
IL NUMERO CENTO -Nathan Never 100 |
Milano,
Sergio Bonelli Editore, 1999 pagg. 98, L. 3.500 |
Dopo oltre otto anni Nathan Never ha varcato la
soglia del centesimo numero.
Per festeggiare levento la Bonelli, come da tradizione, ha
preparato un numero tutto a colori; se avete esperienze con altri
albi analoghi tranquillizzatevi pure: finalmente leditore
si è deciso ad adottare una tecnica di colorazione nuova che, a
differenza della vecchia, non muta le tavole in un numero di
Topolino, ma ha una buona resa di sfumature che la avvicina più
agli albi americani che al "sorcio" della Disney. Si
nota inoltre un utilizzo del computer che migliora ulteriormente
le cose.
La copertine poi è dipinta, con un effetto veramente notevole.
Visto che siamo in tema parliamo dei disegni dellalbo: le
tavole sono opera di Roberto De Angelis, sono decisamente ben
fatte, anche se, duole dirlo, quelle del numero precedente erano
veramente di un altro livello
.. probabilmente il
disegnatore ha dato tutto se stesso in quella straordinaria
storia, mentre per questa ha risparmiato energie
..
Perché avrebbe dovuto farlo? La risposta è drammaticamente
semplice: la storia de Il
Numero Cento titolo più
immondo era difficile sceglierlo, no? è decisamente
deludente, lo è stata per me e per tutti gli altri lettori che
conosco.
Ma andiamo con calma: era da un po di numeri che Nathan
aspettava notizie da Sigmund riguardo ad un certo Shekley, un
tizio misterioso di cui nulla si sapeva. In chiusura dello scorso
numero finalmente Siggy era riuscito a rintracciarlo e aveva
spedito Nathan al Polo. La storia riprende esattamente da qui:
Nathan arriva in unistallazione di ricerca, contatta Legs
che gli dice che sta per arrivare, ma non esita ad entrare da
solo dopo aver scoperto il cadavere di un collaboratore di
Shekley che, finalmente lo apprendiamo, è uno scienziato.
Nathan entra e scopre un apparato al di sopra del quale fluttua
un inconfondibile nastro di Moebius, lo tocca e in qualche modo
il nastro lo "risucchia" per poi espellerlo.
Terrorizzato Nathan scappa, ma per la fretta ha un incidente con
la sua macchina a levitazione magnetica come faccia questa
a funzionare anche al Polo poi qualcuno me lo spiegherà.
Si sveglia in un ospedale e scopre che sua moglie è ancora viva,
Andy Havillan è il suo migliore amico ed altre cose che per lui
e per chi legge non stanno né in cielo né in
terra.
Solitamente interromperei qui la narrazione della trama, ma per
stavolta continuo, visto che qualsiasi appassionato di
fantascienza capisce cosa è successo nel giro di 5/6 tavole.
Nathan si è trovato in un universo parallelo dove è un agente
corrotto che lavora allAgenzia Alfa per conto della mafia.
Ci sono altri particolari che non quadrano, che non sto qui ad
elencare. Sappiate solo che alla fine Nathan riesce a capire cosa
gli è successo veramente, torna al Polo e tramite il nastro fa
ritorno nel suo universo. Qui decide di distruggere tutta
listallazione che ritiene possa essere troppo pericolosa.
Un giudizio su questo numero? Come già detto a livello grafico
se la cava egregiamente: anche se la maggior parte degli
appassionati Bonelli sono sostenitori assoluti del
bianco&nero, questo numero "colorato" non può che
meritatamente "passare lesame".
A livello narrativo è un vero disastro: come ho già detto si
capisce immediatamente che Nathan è finito in un universo
parallelo e per questo motivo la lettura scorre veramente lenta
fra non-colpi di scena e trovate scontatissime.
Va poi rimarcato il fatto che intitolare la storia "Il numero cento" è qualcosa di veramente
agghiacciante
Fosse stato un numero qualunque magari sarei stato un po
meno critico, ma per un numero cento, atteso dagli appassionati
da quasi un anno, avrebbero dovuto tirare fuori qualcosa di
meglio.
Giovanni Delibra
Soggetto e
sceneggiatura: Stefano Piani Disegni: Andrea Mutto |
PAURA DAL PROFONDO - Nathan Never 101 |
Milano,
Sergio Bonelli Editore, 1999 pagg. 98, L. 3.500 |
Dopo la delusione del numero cento ecco
unaltra avventura di Nathan che, secondo il mio punto di
vista risulta decisamente migliore della precedente.
Stavolta lAgente Alfa si trova costretto ad indagare su una
serie di omicidi che coinvolgono delle ragazze del sesto/settimo
livello. Le vittime vengono uccise tutte nei pressi di tombini o
passaggi di accesso alla zona fra i livelli più alti della
città, tutte quante vengono violentate prima di morire.
A prima vista potrebbe sembrare una storia
"investigativa" alla Nick Raider, ma
con il passare delle pagine tornano in scena alcuni personaggi e
alcune situazioni totalmente fantascientifiche.
Primo fra tutti va menzionato il ritorno di Aristotele Skotos,
nemico numero uno di Nathan, che avevamo lasciato alle prese con
lo sviluppo di una nuova forma di vita: i Tecnodroidi. Sembra
che, nonostante Selena gli abbia rubato molto materiale,
Aristotele sia finalmente riuscito a creare il primo organismo
tecnorganico e che lo abbia mandato in giro alla ricerca di una
"compagna" con cui procreare.
E proprio questo essere che sta facendo strage di ragazze,
andando in cerca di un"anima gemella". E cerca
qualcuna appartenente a quella ristretta cerchia di persone che
hanno sviluppato allinterno del loro organismo i prodromi
della mutazione che ha permesso la nascita dei tecnodroidi,
qualcuno come Judy Fryan per intenderci.
Ma cè dellaltro: lessere in questione
Andras ha deciso di ribellarsi ad Aristotele, cosa che,
sapendo come sono fatti i tecnodroidi, risulta terribilmente
verosimile
. Questo inoltre implica che perfino un
calcolatore come Aristotele non riesce a comprendere chiaramente
le implicazioni e i rischi della ricerca che sta portando avanti.
Apprendiamo inoltre come sta andando la gestazione di Judy Fryan
allOvelook Hospital, come Neos stia lentamente crescendo
nel suo grembo, come Aristotele sia riuscito a rintracciarla!
La storia, tirando le somme, è decisamente interessante, non un
capolavoro, ma non è assolutamente da buttare via.
Parte un po troppo sullinvestigativo, ma poi rimedia
nella parte centrale dellalbo dove torna decisamente sul
fantascientifico. Va segnalato il finale un po troppo
frettoloso, caratteristica che purtroppo contraddistingue molti
degli ultimi numeri.
Della trama ho già parlato parecchio, forse troppo
. Non
resta altro che passare alla parte grafica dellalbo:
iniziamo dalla copertina.
De Angelis ha finalmente imparato a creare unimmagine
"da copertina" e non più una "vignetta extra
large"; infatti devo dire che linquadratura è scelta
in maniera decisamente azzeccata, invoglia molto ad acquistare
lalbo caratteristica saliente della copertina,
secondo me. Forse ci sarebbe un po da ridire per quanto
riguarda la scelta dei colori, ma lasciamo stare
.. meglio
non essere troppo pignoli.
Passando alla parte grafica devo dire che Andrea Mutti mi ha
veramente sorpreso: dopo aver letto che faceva parte dello staff
di Legs stavo già disperando, memore di precedenti performance
di altri autori. Invece Mutti disegna veramente bene, con una
buonissima scelta delle inquadrature, una certa attenzione agli
sfondi e un sapiente uso dei chiaroscuri. Notevole anche la
"narrazione per immagini della storia, con le vignette
decisamente ben studiate e ricche di particolari.
Lasciano un po a desiderare le espressioni dei personaggi,
un po troppo "da fumetto" (si lo so che NN
_è_ un fumetto, ma volevo dire che mi fanno venire in mente quei
vecchi telefilm di Batman, quelli con luomo
pipistrello obeso che si muove fra SBONK, PAM, BANG e altre
onomatopee)
.. sempre fra i "contro" occorre
segnalare come una decina di tavole sembrino fatte in fretta e
furia, risultando qualitativamente inferiori al resto
dellalbo.
Un giudizio: decisamente un albo intrigante come tutti
quelli che parlano dei Tecnodroidi magari con qualche
pecca qua e là, ma che viene facilmente perdonata.
Giovanni Delibra