1:
Era una notte... Fino all'età di quarant'anni non
avevo alcuna intenzione di scrivere fantascienza né,
comunque, di scrivere narrativa di qualsiasi altro
genere. E poi lo scrivere arrivò più che altro per
caso.
Ero stato un avido
lettore di fantascienza da adolescente (come tutti a
quell'età), ma dopo aver lasciato il college mi sposai,
ottenni un lavoro, misi su famiglia e divenni un pilastro
della società e un modello di rispettabilità.
Abbandonai completamente la fantascienza. E poi...
All'inizio degli
anno '70 mi trovavo in Inghilterra, in partenza per
l'Iran per alcuni incontri collegati al mio lavoro (che
consisteva nel ricercare risorse terrestri di vario tipo
usando immagini dallo spazio). L'Iranair è nota per la
sua inattendibilità in fatto di puntualità così mi
ritrovai costretto a passare una nottata all'aeroporto
londinese. A volte questo fatto può portare ad
incredibili party allo Skyway Hotel, ma questa è
un'altra storia e, comunque, non si applica a questo
caso. Qualche altro passeggero sperduto e nessun party.
Per passare il tempo qualcuno mi prestò una copia di Ringworld
di Larry Niven. Lo lessi e pensai, "Ehi, è roba
buona. Non sapevo che si scrivessero ancora storie
così." Quando fui di ritorno negli Stati Uniti,
andai nelle librerie in cerca di altre cose come Ringworld.
Non ne trovai molte. Più che altro trovai roba da
fognatura, a volte ben scritta ma essenzialmente priva di
contenuto (per questo accuso la New Wave, anche se mia
moglie non è d'accordo). Odiavo quello che riuscivo a
trovare e dopo un po' mi venne il pericolosissimo
pensiero, "Vedi, probabilmente posso scrivere
anch'io qualcosa di così brutto."
Ci provai. Mi resi
conto immediatamente che non solo potevo produrre
qualcosa brutto quanto le cose che stavo leggendo, ma che
potevo scrivere cose che erano molto più brutte. I
curatori editoriali erano pienamente d'accordo. Iniziai a
collezionare una grossa quantità di lettere di rifiuto.
A quel punto divenni ostinato. Decisi che avrei
continuato a scrivere fino a che non avessi pubblicato
tre storie, una quantità sufficiente a provare che
sapevo scrivere. E poi mi sarei fermato per tornare alla
mondanità dei grossi progetti governativi e degli
incontri di amministrazione.
Cos'è che è
andato storto? La risposta alla domanda chiama in causa
Jim Baen, attualmente possessore di una casa editrice
propria e una potenza nel campo, ma a quel tempo editore
della rivista Galaxy.
2:
Cosa è andato storto
Ho detto della
mia intenzione di vendere tre storie, solo per provare
che ci riuscivo e poi di fermarmi per sempre. I miei
piani non andarono per il verso giusto a causa della
rivista Galaxy, che a quel tempo aveva come
curatore Jim Baen.
Curare una rivista
non è mai facile, ma Jim lavorava con un'insolita
limitazione aggiuntiva: per dirla in breve, la rivista
non pagava i suoi collaboratori. L'editore (non Jim, che
era solo il curatore) sembrava dell'idea che il lavoro
editoriale sarebbe stato molto più semplice se gli
scrittori non vi fossero immischiati. Gli scrittori sono
inaffidabili, gli scrittori hanno spesso degli stili di
vita decadenti e, peggio di tutto, gli scrittori si
aspettano d'essere pagati.
Gli scrittori
affermati erano coscienti di questo ed evitavano di
spedire i loro racconti a Galaxy, a meno che non
rappresentasse l'ultima spiaggia. Io, nella mia
innocenza, non sapevo niente dei problemi della rivista.
Spedii delle storie a Jim e con grande gioia da parte mia
ne accettò una (per chiunque sia interessato, si
trattava di What Song the Sirens Sang). Jim mi
offrì 105 dollari. In verità non li pagò, dato che non
aveva soldi, ma a quel tempo questo era meno importante
per me della vendita. Subito gli mandai altre storie che
avevo scritto, quasi tutte, e lui le 'comprò' tutte.
Immediatamente mi ritrovai al di là della meta delle tre
storie. Pensai di essere sull'orlo della fama e della
fortuna nel campo della fantascienza, anche se, in
verità, non avevo ricevuto neanche una lira.
Ancora non mi
rendevo conto che Jim era disperatamente a corto di
materiale pubblicabile. Quando fece uscire miei racconti
per cinque numeri di fila fui al massimo della gioia.
Anche quando ci fu un lettore che scrisse per lamentarsi
della cosa, non ci feci caso. Solo quando Jim pubblicò
quella lettera nella rivista (ve l'ho detto, era proprio
a corto di materiale) incominciai un po' a preoccuparmi.
Non ricevevo altro
che rifiuti dalle altre riviste, così devo aver pensato
di essere un "autore alla Galaxy", per
tutto ciò che può significare. Ma poi Analog
accettò un racconto e mi mandarono veramente dei soldi.
Si pensa che uno incornici il primo assegno. Io feci una
copia del mio e incorniciai quella. E mi ritrovai a
questo punto: un autore che veniva pubblicato, che aveva
venduto quasi una dozzina di racconti anche se era ben
lungi dall'essere pagato per quasi tutti.
Non avevo nessun
desiderio di scrivere un romanzo, dato che tutte le mie
storie, non importa cosa avessi da dire, sembrava che non
potessero andare oltre le 10.000 parole. Di fatto ero
proprio sicuro che non avrei potuto e non avrei voluto
mai scrivere un romanzo.
Cos'è che m'ha
cambiato? Be', ancora una volta è stata colpa di Jim
Baen.
3:
Primo romanzo e primo contatto con Jerry Pournelle
Pur essendo
abituato a scrivere racconti, non avevo mai pensato a
scrivere un romanzo e pensavo che non ci sarei riuscito.
Cos'è che ha
cambiato la situazione?
A cambiarla fu Jim
Baen. Aveva continuato a comprare miei racconti per la
rivista Galaxy, a pubblicarle e, occasionalmente,
quando c'erano un po' di soldi, a pagarli.
Un giorno mi
chiamò per dirmi che aveva lasciato Galaxy e che
ora era con la ACE Books. Ero interessato a scrivere
qualcosa per lui?
Io risposi, sì,
proprio in quel momento stavo scrivendo un racconto
lungo.
No, fece Jim. Alla
ACE io compro romanzi. Li conosci, libri, un sacco di
parole.
Risposi che non
sapevo come si scriveva un romanzo.
Jim allora i offrì
quello che penso sia il peggior consiglio nella storia
dell'approccio letterario alla scrittura di un romanzo.
E' facile, disse, basta scrivere una manciata di racconti
e legarli assieme.
Ammisi che quello
con ogni probabilità sapevo farlo.
Bene, disse.
Perché non mi scrivi un romanzo? Anzi, perché non
firmiamo un contratto per due romanzi e anche
un'antologia di racconti?
A quel tempo non
avevo un agente, ma ne parlavo con Eleonor Wood.
Menzionai la cosa a Jim Baen.
Rispose, Oh, no,
odio trattare con lei.
La cosa per me era
piuttosto buona. Volevo un agente che gli editori
ritenessero duro. Eleonor divenne la mia agente e rimane
la mia agente a tutt'oggi.
Naturalmente
dovevo ancora scrivere il romanzo. Feci a quel modo e lo
chiamai Sight of Proteus. Questo, come Eleonor mi
ha sottolineato con frequenza, riflette la mia debolezza
per titoli letterari oscuri. Comunque, il libro è ancora
in commercio come parte di un'edizione Proteus
Combined (della Baen Book) che comprende Sight of
Proteus e un romanzo successivo, Proteus Unbound.
Se esaminate Sight of Proteus, vedrete che si
divide precisamente in tre parti distinte. Avevo seguito
il consiglio di Jim. Le legature si notano, ma la maggior
parte della gente sembra non preoccuparsene.
Per quel tempo mi
ero iscritto alla Science Fiction Writers od America
(SFWA). Avendo letto le regole per l'iscrizione pensai
che fossero illogiche. C'erano restrizioni su riviste
ammissibili che un membro potenziale non aveva
possibilità di conoscere in anticipo.
Scrissi al
Segretario dello SFWA sottolineando la cosa e chiedendo,
in pratica, quale idiota ha scritto quelle regole? Invece
di rispondere direttamente, il Segretario, con notevole
mancanza di capacità diplomatiche, mandò avanti la mia
lettera. Subito ricevetti notizie da Jerry Pournelle che
diceva, l'idiota che ha scritto le regole sono io.
Aggiunse altre frasi di natura più concitata e io
risposi a tono. Andammo avanti per una lettera o due, poi
Jerry scrisse per chiedermi se avevo un racconto per
un'antologia sui buchi neri che stava curando.
Io lo scrissi (era Killing
Vector) e lui lo comprò. Più importante della
vendita è che imparai qualcosa del mondo degli scrittori
di fantascienza. E' come una famiglia, puoi dirti cose
atroci, ma rimane una famiglia. Questo è bello.
4:
Qualche nome e incontri con gente famosa
Dove ero
arrivato? Al 1979, un anno iniziato in modo semplice ma
che poi non è rimasto tale. Prima che l'anno finisse
avrei incontrato tre superstar della fantascienza, una
delle quali (Frank Herbert) nel modo più mortificante
che si possa immaginare. Con un po' di fortuna riuscirò
a raggiungere il limite che mi sono posto di 500 parole
per ogni brano di questa biografia prima di arrivarci e
riuscire così a rimandare la debacle con Frank Herbert
alla prossima volta.
Il 1979 veramente
iniziò verso il Natale del 1978, allorchè terminai di
scrivere il mio secondo romanzo, The Web Between the
Worlds, e lo spedii a Jim Baen alla ACE Books.
Diversamente dal mio primo romanzo, questo non era un
gruppo di racconti legati assieme anche se aveva altri
problemi strutturali di cui mi accorsi solo anni dopo.
Subito dopo aver
spedito il manoscritto mi capitò di discutere con Steve
Brown l'idea principale della trama del libro,
l'elevatore spaziale (che io preferisco chiamare beanstalk,
stelo di fagiolo). Steve ora è il curatore di Science
Fiction Eye e vive nel North Carolina, ma a quel
tempo era un vicino di Washington e un membro di un
gruppo locale di scrittori chiamato The Vicious Circle,
che meriterebbe di essere discusso ma non voglio farlo
qui. Steve mi disse che un libro che impiegava un
elevatore spaziale era stato presentato recentemente da
Arthur Clarke. La mia prima reazione ("Oh no! E' una
parola proprio brutta!") fu seguita da un problema
molto più pratico. Cosa avrei dovuto fare? Se il mio
libro fosse uscito qualche mese dopo quello di Clarke,
come sembrava probabile, c'era la possibilità che tutti
mi accusassero di plagio. E di un plagio neppure tanto
intelligente, dato che se vuoi rubare devi farlo da
qualcuno che è morto o che è sconosciuto. Clarke non
era nessuna delle due cose.
Non avevo mai
incontrato Clarke e, dato che viveva nello Sri Lanka,
pensavo che forse non lo avrei incontrato mai. Ma
conoscevo qualcuno a Washington che conosceva lui e mi
dissero che la soluzione al mio problema era abbastanza
facile: avrei dovuto inviare subito il mio manoscritto a
Clarke, nello Sri Lanka, cosicché avrebbe saputo il più
presto possibile che non stavo fregando le sue idee.
Impacchettai una
copia del manoscritto, la spedii e attesi. Non ero sicuro
che tipo di risposta avrei ottenuto, se mai ne avessi
ricevuta una. Ma abbastanza velocemente ricevetti una
risposta da Clarke che diceva che non era affatto strano
in quanto l'elevatore spaziale era un'idea che circolava
da anni (realmente fin dal 1960). La cosa strana, secondo
lui, era che non ci fossero altri che avessero seguito la
corrente. Clarke, comunque, andò oltre. Senza alcuna
richiesta da parte, mia spedì una lettera aperta alla
Associazione degli Scrittori di Fantascienza d'America
(Science Fiction Writers of America) confermando che i
due libri, il suo Fountains of Paradise e il mio The
Web Between the Worlds, non rappresentano altro che
una interessante serie di coincidenze. Oltre
all'elevatore spaziale, entrambi i nostri eroi erano i
più grossi costruttori di ponti del mondo ed entrambi
avevamo fatto uso di macchine chiamate Ragni.
Quante coincidenze
manda giù il lettore medio prima di pensare al furto
letterario? Non lo so, ma senza la lettera di Clarke
sospetto che sarei rimasto macchiato. Era successo invece
che il mio nome era rimasto pulito e avevo anche ricevuto
un po' di pubblicità gratuita.
Il 1979 sembrava
mettersi su una buona strada. Sfortunatamente non ci
rimase.
5: Un
incontro con Frank Herbert
Dalla primavera
del 1979 corrispondevo con Arthur Clarke, anche se non lo
avrei incontrato fino all'autunno di quell'anno. Ero
arrivato a conoscere la maggior parte degli scrittori di
fantascienza locali e i più importanti appassionati
dell'area di Washington. Con Dave Bischoff, Ted White,
Rich Brown, Jack Chalker, Steve Brawn, Alexis Gilliland,
Tim Sulivan, Somtow Sucharitkul ci chiamavamo per nome.
Avevo incontrato, ma li conoscevo molto meno, Jerry
Pournelle e Joe Haldeman.
Così quando fu
organizzata una cena di ritrovo della fantascienza per
coincidere con un incontro a Washington dell'American
Association for the Advancemente of Science, ero
felicissimo ma un po' nervoso alla prospettiva di
incontrare grossi luminari. Si supponeva che oltre a
Pournelle e Joe e Gay Haldeman, ci fosse anche Larry
Niven e Poul Anderson e Frank Herbert.
Non chiedetemi dove
mangiammo, ma il ristorante ci mise tutti attorno ad un
lungo tavolo. Non c'era nessun programma dei posti e io,
la mia futura moglie Linda e Frank Herbert ci ritrovammo
uno vicino all'altro ad una capo della tavolata. Tutti
quelli che conoscevo, anche quelli che conoscevo di
sfuggita, erano lontanissimi e dall'altra parte, troppo
lontani per poter essere inclusi nella conversazione. Ci
presentammo e chiacchierammo un po' casualmente mentre
aspettavamo che apparisse il cibo. Non ricordo di che
parlammo, ma ricordo di essere stato piuttosto diffidente
a dire qualcosa. A quel tempo avevo pubblicato un romanzo
e qualche racconto. Dune di Frank Herbert era già
al suo quarto milione di copie e lui era una vera stella
della fantascienza.
Dopo qualche minuto
di imbarazzo, Linda sentì che la conversazione dal
nostro lato della tavola era piuttosto formale. Decise di
metterci mano. Non era, e non lo è tuttora, una lettrice
di fantascienza, ma sapeva che ero uno scrittore di
fantascienza. Si voltò verso Frank Herbert, gli fece un
grosso sorriso e disse, "Mr. Hubert, anche lei
scrive?"
Non sono sicuro
della risposta, in quanto è difficile sentir bene quando
stai cercando di strisciare sotto il tavolo. Ma la mia
impressione è che abbia sorriso gentilmente e ammesso
che sì, anche lui scriveva. A quel tempo Linda non era
mia moglie ed ora non è più mia moglie. Non pretendo
che l'incidente con Frank Herbert sia stato uno dei
principali fattori della nostra separazione, ma ho
qualche dubbio che sia stato d'aiuto.
Quando incontrai di
nuovo Frank Herbert, nel Michigan nel 1983, fui felice e
sollevato nello scoprire che non si ricordava per niente
del nostro primo incontro. Andammo in taxi assieme
all'aeroporto di ritorno da un incontro della SFRA
(Science Fiction Reserch Association, un gruppo
essenzialmente di critici di fantascienza e di accademici
che insegnano fantascienza). Durante il viaggio in taxi
Frank Herbert ebbe la gentilezza di consigliarmi di non
dimenticare due cose. Prima Regola, disse, tutti i
governi mentono. Seconda Regola: non dimenticare mai la
Prima Regola. Non ho idea del perché mai mi dicesse
quelle cose, ma penso che mi confondesse con qualcun
altro. Ero più che contento di lasciare le cose a quel
modo.
6:
Heinlein e Clarke
E' difficile
essere sicuri su ciò che uno pensava vent'anni fa, ma
quando iniziai a scrivere fantascienza avevo una visione
del settore ben definita anche se poco articolata. In
cima c'erano quegli scrittori che leggevo fin dai primi
anni della mia adolescenza. Verne e Wells erano morti da
molto tempo, ma Heinlein, Clarke, Asimov, Sturgeon e
Bradbury erano dei giganti viventi. Immaginavo che essi,
insieme ad altri favoriti come Poul Anderson e Alfred
Bester e Fred Pohl e Hal Clement, in qualche modo
controllassero il campo. (Noterete che non ci sono donne
nella mia lista di scrittori. Ma era proprio un gioco
tutto per maschi questo genere? Io penso che lo fosse.
C'erano delle donne scrittrici, ma ancora non erano delle
stelle.) Sapevo poco di curatori ed editori ed ero ancora
troppo novizio per comprendere che 'organizzazione di
scrittori' è ancor di più un ossimoro di 'ingegnere
civile' o 'intelligenza militare'.
La mia educazione
iniziò quando Eleanor Wood (il mio agente e quello di
Heinlein) sistemò le cose in modo che pranzassi con
Robert e Ginny un caldo giorno di luglio del 1979. Si
trovava a Washington per testimoniare ad un Comitato
Congressuale sull'Invecchiamento e in seguito li portai
all'aeroporto. Oggigiorno va di moda screditare le
convinzioni politiche di Heinlein e il modo in cui
scriveva delle donne, ma lasciatemi assicurare una cosa:
di persona mostrava autorità e una personalità a cui
non si poteva sfuggire. Se non fosse stato giudicato
inabile in marina, era facile immaginarlo come un
ammiraglio. Così rimasi proprio stupito quando lo sentii
parlare dei suoi editori e curatori e delle difficoltà
che aveva avuto con loro col passare degli anni. Li
lasciai a Dulles chiedendomi, se non poteva controllare
lui il modo in cui venivano prodotti i suoi libri, che
possibilità avevo io?
Neanche una, come
venne fuori in seguito, ma questa è un'altra storia.
Un mese dopo aver
incontrato Heinlein, mi trovavo in Inghilterra a Brighton
per la mia prima WorldCon. Là Robert Forward mi
presentò Arthur Clarke e tutti e tre ci ritirammo in un
altro albergo per poter parlare senza venir interrotti
dai fan di Clarke. Parlammo di fantascienza,
naturalmente, e di scienza. Ma anche di editoria. Rimasi
sorpreso allorché i commenti di Clarke coincidevano con
quelli di Heinlein. I maestri sconosciuti della
fantascienza non erano i grandi scrittori. Erano (e sono
tuttora) gli editori e in ultima analisi il settore
contabilità degli editori. Faccio risalire la mia
perdita dell'innocenza da quel giorno.
Cambiando soggetto,
devo spiegare perché non ho incluso il nome di Robert
Forward quando in precedenza ho nominato gli scrittori di
fantascienza che avevo incontrato. La ragione è
semplice, Bob ed io ci conosciamo come fisici già prima
che ciascuno di noi avesse scritto una sola riga di
narrativa e ancora ci consideriamo come dei fisici. Alla
stessa convention di Brighton in cui incontrai Arthur
Clarke, Bob Forward ed io stavamo seduti a berci una
birra. Gli chiesi cosa stesse scrivendo. Disse che non
gli piaceva discutere delle storie quando ci si trovava
ancora in mezzo e chiese a me cosa stessi scrivendo io.
Gli dissi che stavo scrivendo una novella che si svolgeva
su un doppio planetario, due pianeti di forma uguale che
ruotavano talmente vicini uno all'altro che si trovavano
quasi al limite di Roche.
Ci fu un lungo e
meditabondo silenzio, poi Bob disse, "Lascia che ti
dica cosa sto scrivendo io." Uscì fuori che era una
storia in un doppio planetario, due pianeti di forma
uguale che ruotavano tra loro al limite di Roche. La sua
storia alla fine divenne il romanzo Rocheworld, la
mia divenne il romanzo Summertide. Le storie sono
totalmente differenti, Ma furono dei momenti poco
confortevoli.
7: Uno
sconcertante incontro con Alfred Bester
Non avevo
intenzione quando ho iniziato a scrivere il primo
segmento di produrre un catalogo completo delle mie
disavventure nella fantascienza. E' venuto fuori così,
ma tutto ciò che volevo all'inizio era di produrre
qualcosa per quella parte vuota del mio sito web che
viene indicata col termine 'Biografia'.
Non fa niente. Si
dirige verso il presente, non ha importanza con quanta lentezza
e a quale punto io possa fermarmi.
Nel brano
precedente ho descritto i primi incontri con molti
giganti nel campo della fantascienza. Una persona che non
avevo incontrato, ma che ammiravo enormemente, era Alfred
Bester. Quando seppi che Bester doveva partecipare ad una
convention dove saremmo stati nello stesso gruppo di
discussione fui affascinato.
A quel
tempo la mia ammirazione e il rispetto non avevano una
forma tangibile, sebbene in seguito avrei scritto un
intero romanzo ispirato dall'opera di Bester e in suo
omaggio. Si tratta di The Nimrod Hunt, poi
ingrandito per diventare The Mind Pool. Come ho
già detto nell'introduzione a quest'ultimo, adoro The
Stars My Destination di Bester (pubblicato anche come
Tyger, Tyger). Volevo scrivere un libro che
emulasse la moltitudine di idee, i diversi sfondi e la
scalcinata decadenza rococò della società futura di
Bester. The Stars My Destination ha un personaggio
che si chiama Regis Sheffield. The Mind Pool ha un
personaggio che si chiama King Bester.
Tutto questo,
comunque, è accaduto anni dopo della convention dove
incontrai Alfred Bester. Il gruppo di discussione era
senza importanza e non certo memorabile. Mi fornì
comunque la possibilità di una conversazione personale
col grande uomo. Nel gruppo di discussione s'era fatto
menzione di un altro classico di Bester, The
Demolished Man. Io dissi, "Deve essere
assolutamente magnifico scrivere un libro come quello,
ammirato e continuamente ristampati fin da quando lo
avete scritto all'inizio degli ani '50."
Bester rispose con
una certa asprezza nel modo, "Non così magnifico
come potete credere. Ho venduto tutti i diritti di quel
libro per 5.000 dollari. Non ci ho più fatto una lira da
allora."
Primo affondo.
Provai di nuovo.
Dissi, "Comunque, era un libro stupendo. Non vi
siete preoccupato un po', comunque, di poter svelare un
elemento chiave della trama con il titolo? C'è una frase
in una lettera famosa di Thomas Bentley ad Alexander
Pope, 'Nessun uomo viene demolito se non da se stesso.' E
nel vostro libro il vostro protagonista è inseguito e
alla fine distrutto da se stesso."
Mi stavo forse
mettendo in mostra facendo queste citazioni? Probabile.
Volevo che Bester pensasse che almeno ero istruito.
Mi fissò. Disse,
"Non ho mai sentito questa citazione che menzionate.
Infatti non volevo per niente chiamare il libro The
Demolished Man. Volevo chiamarlo Demolition.
L'altro titolo è venuto dal mio curatore."
Secondo affondo.
Cercai di cambiare
soggetto da The Demolished Man a The Stars My
Destination. Troppo tardi. Alfred Bester si era
voltato e stava già andando al bar.
Non ci siamo più
incontrati. Non c'è stata occasione per il terzo
affondo, nessuna possibilità di dirgli che Fondly
Fahrenheit era il mio racconto di fantascienza
favorito. Mi sento derubato.
8: Una
vita perfettamente normale
Nei brani
precedenti ho proceduto in modo abbastanza rettilineo
iniziando con le mie prime scorribande nella scrittura
della fantascienza. Qui devo fare un salto indietro, in
risposta a delle lamentele dei lettori. Dicono, "Non
avevi una vita prima della fantascienza? Che hai fatto
fino a quando non hai iniziato a scrivere?"
Avevo pensato che
questa parte della mia vita non fosse di alcun interesse
ai visitatori del mio sito. Vediamo se ho ragione.
Prima di diventare
uno scrittore di fantascienza, facevo quella che potrei
definire una vita 'perfettamente normale'. Che sarebbe a
dire, sono andato al college, ho studiato matematica a
Cambridge (in Inghilterra), ho incontrato la ragazza dei
miei sogni, l'ho sposata, ho avuto due figli e mi sono
sistemato per trascorrere una vita rurarle a Blaby, una
piccola città vicino Leicester nel centro
dell'Inghilterra.
Forse starei ancora
là se i computer che erano a quel tempo in circolazione
fossero stati più facili da programmare. Dopo due anni a
Blaby stavo lottando con un difficile problema nel
trasporto del neutrone, insolubile direttamente. Mi ci
erano voluti un paio di mesi per definire la parte della
fisica e quasi un anno per scrivere il programma del
computer che corrispondeva a quella parte della fisica.
IL computer in soggetto si chiamava DEUCE (appare in modo
prominente in Georgia On My Mind) e anche se oggi
verrebbe considerato improgrammabile, era abbastanza
tipico delle macchine a disposizione a quel tempo.
Essendo riuscito
alla fine a scrivere e a controllare il mio programma,
ero passato ad un altro e più difficile problema fisico.
Un altro anno o due di programmazione (che non adoravo
proprio) appariva all'orizzonte. Comunque, negli Stati
Uniti era a disposizione un linguaggio di programmazione
più facile, il FORTRAN. Andai a New York, lasciando in
patria Sarah e i nostri due bambini, Ann e Kit, fino a
che non fossi riuscito a trovare un appartamento per
tutti. Occorsero un paio di mesi prima che potessero
raggiungermi a Long Island City (un'altra storia su
quella sistemazione, da raccontare un'altra volta) e ci
sistemammo pensando di restare negli Stati uniti un anno
o forse due.
Poi successe
qualcosa di inatteso e per spiegare cosa fosse devo
indulgere un po' nel gergo tecnico. Il termine equazioni
differenziali ordinarie non significa che quelle
equazioni siano comuni o che manchino di particolarità,
significa che hanno a che fare con soltanto una variabile
indipendente. Il problema in cui ero interessato
richiedeva la risoluzione di alcune equazioni
differenziali parziali. Le equazioni differenziali parziali
hanno a che fare con più di una variabile. Io mi trovavo
a dover risolvere equazioni con quattro variabili
indipendenti, tre di posizione e una di tempo. E' facile
dire che risolvere equazioni differenziali parziali è
molto più difficile che rislvere equazioni differenziali
ordinarie.
Be', mentre io ero
racchiuso nel piccolo mondo della fisica e della mia
famiglia, le cose cambiavano nel resto dell'universo.
Eravamo agli inizi degli anni sessanta e la corsa nello
spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica era al suo
punto massimo. I problemi di computo dell'orbita
impiegano la soluzione di equazioni differenziali
ordinarie in cui la variabile indipendente è il tempo.
Trovai che molti metodi che avevo sviluppato per
risolvere problemi di fisica funzionavano molto bene nel
calcolo delle orbite. Prima che me ne rendessi conto mi
ritrovai in mezzo al programma spaziale statunitense,
usando quello che avevo fatto nell'analisi numerica per
esaminare gli effetti del campo gravitazionale della Luna
sul moto di una navicella spaziale.
La mia intenzione
di tornare presto in Inghilterra scompariva mentre gli
anni sessanta finivano. Comunque, i miei pensieri erano
ancora ben lontani dallo scrivere fantascienza. Occorreva
un altro evento chaive, un evento di cui si parlerà nel
prossimo brano.
9: La
vera causa
L'avevo tenuta
fuori fino ad ora, ma sapevo che prima o poi ci sarei
arrivato. Perché mai iniziai a produrre storie dopo una
vita felice nella scienza in cui l'idea di diventare uno
scrittore di narrativa non mi era mai venuta in mente?
Questa parte di
ciò che era iniziato come un tentativo a cuor leggero di
fare una biografia, poco di più che il riempire lo
spazio sul sito, non è piacevole da scrivere da parte
mia. Probabilmente è anche spiacevole da leggere.
Sentitevi liberi di saltarla.
Per primo
lasciatemi dire che tutto ciò che ho raccontato in
precedenza è vero: la mia visita in Iran, e il leggere Ringworld
a Londra, e la mia ricerca infruttuosa di romanzi simili
una volta tornato negli Stati Uniti. Non ero soddisfatto
dalla fantascienza che trovavo ed avevo delle idee per
delle storie. Comunque manca qualcosa. Probabilmente non
avrei messo giù nessuna delle mie idee se non fosse
stato per un altro evento nella mia vita.
Nella primavera del
1976, mia moglie Sarah si era presa quello che credevamo
fosse un semplice caso di influenza. Non smetteva di
tossire e perdeva peso e le veniva meno la forza. Gli
esami rivelarono un problema molto più serio. Soffriva
di un cancro al colon e c'erano già delle metastasi al
fegato. La prognosi era terribile: condizioni terminali,
con solo pochi mesi di vita.
Subì un'operazione
per rimuovere il tumore al colon e iniziò la
chemioterapia. I risultati furono spettacolari,
sorprendendo anche il dottore, le tornò l'appetito e il
senso di benessere. L'autunno del 1976 fu un'estate di
San Martino in cui tutto sembrava tornato normale.
Sfortunatamente
molti trattamenti di chemioterapia seguono uno schema
comune: iniziale successo, poi le cellule cancerogene
resistenti alla medicina si riproducono e i sintomi
lentamente tornano. Per Natale Sarah stava di nuovo
perdendo peso e diventando sempre più debole.
Nei primi anni '70
avevo viaggiato molto, in Europa, Iran e sulla Costa
Occidentale. Quando Sarah si ammalò smisi del tutto di
viaggiare. E a notte fonda, dopo che Sarah e i bambini
erano a letto, iniziai a scrivere. Le storie che scrissi
allora non erano buone, ma non dovevano esserlo. Erano
solo un modo per tenere la mente lontana da una realtà
spiacevole.
Sarah morì nel
giugno del 1977. Per allora avevo scritto un sacco di
storie, ma avevo sempre l'intenzione di fermarmi dopo che
me ne avrebbero comprate e pubblicate tre. Naturalmente
non lo feci. Continuai (e continuo) a scrivere perché mi
piace farlo. Comunque sospetto che non sarei mai stato
spinto, fin da quel primo anno, da un così forte impulso
interno verso mondi immaginari.
Nelle conferenze
alle convention di fantascienza mi viene spesso chiesto
da aspiranti autori come e perché abbia iniziato a
scrivere. E' una domanda di routine e per molti anni di
solito davo risposte plausibili anche se false. Oggi sono
più incline a dire la verità. Non è di certo
un'informazione utile per uno scrittore agli inizi ma
traccia un punto netto: quando le cose nella tua vita non
vanno come vorresti, lo scrivere può avere un valore
terapeutico.
Questo è tutto
ciò che mi propongo di dire del versante personale del
mio passato.
10: La
verità sulle collaborazioni
Quando inizi a
scrivere narrativa, la gran parte degli errori li fai da
solo. Dopo un po' incominci a capire cosa puoi fare e
cosa no. Intorno al 1981 una delle cose che capivo che
non avrei potuto fare era di collaborare con un altro
scrittore ad un'opera di narrativa. Non è che ne sapessi
molto di collaborazioni, ma avevo letto di Judith Merrill
e Cyril Kornbluth che scrivevano 'Gunner Cade'. Il loro
metodo approvato era che lo Scrittore Numero Uno scrive
un capitolo fino alla fine, poi esce di scena e collassa
a letto. Lo Scrittore Numero Due prende il controllo di
maggioranza, legge ciò che è scritto, scrive il
capitolo successivo e si addormenta... mentre Numero Uno
si alza, legge il nuovo materiale, scrive un capitolo, va
a letto e così via fino a quando uno di loro non batte
la parola 'fine'. L'intero processo necessita di un paio
di settimane. Il risultato viene spedito a John W.
Campbell che lo compra. Suonava come una cosa terribile.
Non fa per me, pensavo, e comunque John Campbell ormai è
morto. Ma poi un giorno David Bischoff stava facendo
colazione con me a New York. C'era stato di recente un
diluvio di film sui vampiri (plus ca change...) e stavamo
deplorando la cosa. Quello di cui il mondo aveva bisogno,
decidemmo, era di un nuovo tipo di mostro, totalmente
differente da Dracula, dall'Uomo Lupo e dalla creatura di
Frankenstein. Iniziammo a gettarci idee uno contro
l'altro e prima che ce ne accorgessimo avevamo non solo
una creatura interessante, ma un posto, una trama, dei
personaggi e una spiegazione geneticamente plausibile per
ciò che stava accadendo. A quel punto restammo seduti a
guardarci l'un l'altro. Nessuno dei due poteva
scapparsene impunemente a casa a scrivere il libro in
quanto avevamo sviluppato le idee assieme. La
collaborazione sembrò naturale.
Dave aveva già
fatto delle collaborazioni e mi insegnò le regole di
base. Presumo che si applichino ad ogni collaborazione di
successo. Primo, non puoi ritenere ciò che scrivi sia
prosa immortale. Se il tuo collaboratore dice che una
scena è un fallimento, devi credergli e accettare di
fare dei cambiamenti. Secondo, devi evitare di scrivere
con delle scadenze fisse in quanto ogni scrittore
potrebbe avere benissimo altri impegni. Non fa piacere
starsene seduto a sfregarsi le mani per l'impazienza
perché l'altro è occupato. Scrivemmo tutto il libro
prima che qualsiasi editore ne venisse a sapere niente.
Terzo, bisogna abbandonare qualsiasi idea che un libro
scritto da due autori richieda uno sforzo minore da parte
di ognuno dei due di un libro scritto da solo. Secondo la
mia esperienza è l'inverso. Io proposi la seguente
regola: in una vera collaborazione che impieghi N
scrittori, ogni scrittore farà un lavoro più grande
della radice quadrata di N volte di quello impiegato da
un autore solo. Questo esclude collaborazioni del tipo:
libro di un Nome Famoso che non è uno scrittore più
scrittore Non-Tanto-Famoso, dove si possono fare altre
assunzioni.
Infine le
collaborazioni devono essere fatte più per divertimento
che per denaro. E sono un divertimento. Ti metti a sedere
e parli continuamente delle tue idee con qualcuno che è
interessato al prodotto quanto te. Quando mai succede
questo nella vita?
Se poi arriva anche
il denaro tanto meglio. Il libro che Dave ed io abbiamo
prodotto assieme è stato The Selkie ed è andato
proprio bene. Alla fine siamo rimasti anche amici, e poi
in seguito abbiamo fatto un altro libro assieme (The
Judas Cross).
Quali parti ci sono
in The Selkie e chi le ha scritte? Anche se mi
metto a guardarlo con cura non ne sono sicuro. Comunque
c'è una cosa che Dave ed io affermiamo con decisione.
Quando ognuno di noi parla con la propria madre e si
menzionano le scene di sesso esplicito, è sicuro che le
ha scritte l'altro.
11:
Distrazioni e diversioni della vita dello scrittore
Può essere che
il fatto di avere due libri tra i best-seller rallenti il
tuo progresso come scrittore? Sembra pazzesco, ma credo
che sia ciò che è successo a me.
Nel 1980 mi trovavo
in Inghilterra a far visita a Jane Heller da Sidgwick and
Jackson, dove si pubblicava l'edizione inglese dei miei
primi due romanzi (Sight of Proteus e The Web
Between the Worlds). Per caso avevo con me alcune
grosse immagini a colori ritoccate digitalmente della
Terra, così come si vedono dal Landstat, le dovevo
consegnare alla British Petroleum come parte di un
contratto con EarthSat. Le foto, devo ammetterlo, erano
proprio spettacolari e Jane e tutto lo staff di Sidgwick
ne rimasero affascinati. Lei disse, che ne dici di un
intero libro di queste? Tu fornisci le immagini, le mappe
e le descrizioni e noi lo produciamo. Ma ci occorre prima
uno schema e un saggio dell'aspetto e del testo, per
portarlo alla fiera del libro a Francoforte per vedere se
suscitiamo abbastanza interesse.
Mi chiamò alla
fine di ottobre per dirmi che avevano 75.000 contratti
anticipati firmati. Non sapevo che fosse una vendita
anticipata molto grossa per un libro costoso, così tutto
ciò che dissi fu "Sì, oh è bello!" Ma
accettai di consegnare la mia parte di lavoro per la fine
di dicembre.
Dovevo essere pazzo
ad accettare quella data di scadenza. Il libro comportava
molto più lavoro di quanto avessi pensato: dovevo
selezionare ogni immagine originale, decidere sulle
sotto-immagini che mi piacevano di più, farne il
processo digitale e poi cercare di scriverci attorno
tutto ciò che potevi vederci in ognuna. Ma il libro
finale, Earthwatch, è stato magnifico. E' stato
un best seller, pubblicato in una mezza dozzina di
lingue, e mi ha fatto fare un mucchio di soldi.
Sembra magnifico?
Sì, ma naturalmente l'editore si era fissato per un
seguito. Io ero meno fissato, ma mi si può comprare. Il
secondo volume, Man On Earth, uscì due anni dopo.
Saltava all'occhio come il primo e le mappe e i testi
erano molto migliorati. Per prima cosa avevo avuto più
tempo. Anche il secondo libro fu un best seller.
Così, qual è il
rovescio di tutto ciò? Be', c'è che l'incrocio tra il
mercato dei libri illustrati da collezione grossi e
costosi e quello della fantascienza sia piuttosto scarso.
Qualche lettore arrivò ai volumi, soprattutto in
Inghilterra dove vennero pubblicizzati abbondantemente,
ma per la maggior parte dei lettori, se non proprio
scomparso dalla scena fantascientifica, ero diventato
comunque molto meno produttivo.
Me ne resi conto,
dopo il fatto. Il mio agente mi aiutò, mostrando come
gli scrittori vanno meglio se offrono un prodotto
consistente ai propri lettori. Nessuno sarebbe tanto
stupido di fare l'errore per la terza volta, non è vero?
Be', qualcuno sì.
Nel 1984 feci da co-autore ad un altro libro al di fuori
della narrativa, Space Careers, con Carol Rosin.
Quel libro fu un atto d'amore nei confronti di quello che
ritenevo un soggetto importante: riguardava la gente del
programma spaziale. E' stato un libro utile che ha
prodotto dei diritti editoriali tutt'altro che enormi, ma
costanti per 13 anni, ma di nuovo non credo che mi abbia
aiutato nella costruzione di un pubblico di lettori.
Naturalmente ho
imparato la lezione. E' per questo che l'altra settimana
ho inviato a Jim Baen un libro non di narrativa, The
Borderlands of Science and Science Fiction.
All'ultimo momento ho messo Science Fiction nel
titolo.
La morale, se mai
ce ne fosse una, è che si dovrebbe scrivere ciò che si
desidera. Succede che mi piaccia scrivere testi non di
narrativa allo stesso modo dei testi di narrativa, e
sembra che non riesca a fermarmi. Spero che i lettori di
SF perdonino le mie digressioni auto-indulegenti.
12:
SFWA
Procedendo in
modo casuale e discorsivo, credo di essere arrivato al
1984. Nei quattro anni precedenti avevo scritto tre libri
non narrativi, ciascuno dei quale aveva interferito in
modo considerevole con la mia produzione di fantascienza.
Questo lo sapevo e dopo aver scritto Space Careers
erto deciso a mettermi giù per tirare fuori tre o
quattro romanzi scoppiettanti.
Poi ricevetti una
telefonata da Jerry Pournelle.
Ho già detto come
abbia incontrato Jerry attraverso lo scambio di lettere
d'insulto, ma questo era lontano nel passato. Ora era al
capo del comitato d'elezione per la Science Fiction
Writers of America. Non è che mi sarebbe andato, mi
chiese, di venir eletto Vice Presidente di quella
organizzazione? Gli dissi che ero molto occupato. Ero
anche un outsider del campo e, a differenza di lui, non
conoscevo la maggior parte degli scrittori importanti.
Sei stato Presidente dell'American Astronautical Society,
disse, così hai l'esperienza necessaria. Conoscerai gli
scrittori abbastanza facilmente. E il lavoro non ti
prenderà molto tempo.
Abbastanza curiosamente, diceva la
verità. Comunque, non tutta la verità. Avrebbe dovuto
dire anche che anche se la posizione di Vice Presidente
non era un lavoro d'impegno, la persona che era stata
Vice Presidente dell'SFWA tradizionalmente (a quei tempi,
oggi è diverso) sarebbe poi diventata Presidente l'anno
successivo. L'essere presidente si prendeva una quantità
mostruosa di tempo. Jerry non fece cenno ad un'altra
cosa: che la Science Fiction Writers of America era
diversa dall'American Astronautical Society molto più di
quanto si potesse pensare. L'AAS era ed è un gruppo
sobrio e serioso di scienziati ed ingegneri
professionisti, mentre 'organizzazione di scrittori' è,
come 'intelligenza militare' e 'ingegniere civile', un
ossimoro. Controllare un gruppo di scrittori ha la stessa
riuscita di tenere assieme un gruppo di gatti.
Così,
naturalmente, accettai. Divenni Vice Presidente e,
secondo la norma, Presidente dell'SFWA. E allora imparai
che la maggior parte dei Dati del Tesoriere erano andati
persi nel periodo di transizione e che il macello
finanziario che restava era impenetrabile. Scoprii che
certe altre funzioni venivano svolte usando delle
procedure contabili che pensavo fossero scomparse con la
morte di Charles Dickens. Ebbi il dubbio piacere di
rimuovere dall'ufficio un impiegato volontario che non se
ne voleva andare. Alla fine del mio termine calcolai che
durante i precedenti due anni avevo scritto in media per
conto della SFWA una lettera ogni diciotto ore e poco
altro.
Tutto questo sforzo
a che era valso? Non avevo idea. E' tutto appannato.
Piuttosto è come la poesia di Robert Southey, The
Battle of Blenheim, dove un bambino chiede al nonno
su cosa era la guerra, e perché la gente combattesse, e
che ne ha ricavato. Il vecchio risponde "Il perché
non potrei dirlo, ma fu una vittoria famosa."
Nonostante tutto,
non mi pento dell'esperienza. Fu una vittoria famosa.
Naturalmente mi convinsi, come è convinzione di ogni
Presidente dell'SFWA, di essere stato il miglior
presidente e che il tutto sarebbe crollato una volta che
io avessi lasciato l'ufficio (non successe). Penso anche
che dovrebbe esserci una clausola nel Regolamento Interno
dell'SFWA, che prevede che una persona che è stata
presidente e cerca di ripresentarsi per la carica di
presidente sia da giudicarsi inelegibile per insanità
mentale.
13: Lo
scrittore ha dei figli
Nel 1985 stavo
facendo del mio meglio per mantenermi un lavoro a tempo
pieno, facevo il Presidente dello Science Fiction Writers
of America, qua e là scrivevo qualcosa di narrativa e
aiutavo ad allevare nostro figlio di due anni.
L'ultimo deve
essere detto per primo. C'è una ragione sul perché
siano menzionati così spesso i gatti quando leggi le
indicazioni sulla vita dell'autore nelle copertine dei
libri. I gatti non hanno bisogno d'essere cambiati. I
gatti è raro che indulgano nel proiettare vomito. I
gatti non limitano la tua scelta a quei ristoranti in cui
una frazione consistente degli avventori getta il cibo
per terra o si mette i piatti sopra la testa.
Nonostante tutto
ciò, mi piacciono i bambini e li considero un elemento
eccellente (sarei tentato di dire essenziale) della vita
dello scrittore di fantascienza. Dopo tutto, se hai dei
figli il futuro diventa più reale. Come posso non
prendere in considerazione seriamente il ventunesimo
secolo se probabilmente mio figlio sarà ancora vivo nel
2075?
Allo stesso tempo
sono sommerso dall'ammirazione che sfocia
nell'incredulità quando leggo di Bach (venti figli) che
componeva opere polifoniche complesse con un bambino su
ogni ginocchio, o di Eulero (tredici figli) che creava
una nuova matematica in una situazione analoga. La mia
esperienza è stata abbastanza differente. Mentre
scrivevo The Nimrod Hunt, mi accorsi che
nonostante avessimo un solo bambino ero sempre stanco e
bisognoso di dormire. La linea narrativa mi appariva
troppo complessa per la mia mente stanca e invece di
accettare la sfida di tirarla avanti chiaramente
semplificai la trama eliminando completamente un
elemento. In questo modo riuscii a finire puntualmente il
libro, lo consegnai e fu pubblicato.
E fu recensito.
In una di queste
recensioni, Algis Budrys sottolineo che avevo commesso un
errore narrativo così basilare che mi ci volle un
microsecondo dopo aver visto quello che aveva scritto per
dire, "Naturalmente ha assolutamente ragione."
Avevo lasciato all'inizio del libro che il lettore si
aspettasse una cosa, consegnandogli poi qualche
cos'altro.
Di solito hai una
sola possibilità per ogni libro. Se lo sbagli non puoi
ritentare la fortuna. Io fui insolitamente fortunato
perché anni dopo (nel 1993) Jim Baen mi disse che stava
pubblicando una nuova edizione di The Nimrod Hunt,
e c'era forse qualcosa che avrei voluto cambiare?
C'era! Un paio di
mesi dopo gli mandai un romanzo totalmente revisionato,
quarantamila parole più lungo, con una trama secondaria
nuova e una finale totalmente differente. Quel libro
divenne, e rimane, The Mind Pool.
Oggigiorno non ho
nessun infante attorno, nessuno che mi fornisca qualche
scusa. Se i miei libri sono confusi o semplicistici, è
tutta colpa mia.
14:
Dubbi
Io credo che Pinocchio
sia in assoluto il miglior film di Disney e non solo per
via dei meravigliosi dettagli dell'animazione. C'è anche
il desiderio di diventare un 'bambino vero', qualcosa a
cui tutti coloro che si sentono emarginati possono far
riferimento.
E' quello che
provavo nei miei primi anni di scrittore. Sapevo d'essere
proprio un ragazzo di legno con in più uno stile di
prosa legnoso. Credevo, senza neppure sapere quali titoli
fossero necessari, di non essere qualificato a fare lo
scrittore. Non avevo mai vinto nessun premio di scrittura
né ero mai stato nominato a parteciparvi. Ogni scrittore
(ed ogni fan) che incontravo sembrava che avesse letto
ogni tipo di opera classica, che io al contrario avevo a
malapena sentito nominare, sia nella fantascienza che al
di fuori.
Eppure, nonostante
tutto ciò, vendevo romanzi e racconti regolarmente.
Ero o non ero uno
scrittore?
Questa incertezza
è durata per quasi dieci anni. Alla fine, verso il 1987,
ho realizzato molte cose che avrebbero dovuto essere
ovvie molto prima.
Per prima cosa, se
scrivi e ti pubblicano con regolarità, sei uno
scrittore, che tu lo creda o no.
Ero un buon
scrittore? Questo lo dubito, ma non sono il giudice
migliore per dirlo. Per esempio, nel 1989 ho pubblicato
un romanzo, Proteus Unbond, che faceva
riferimento, per la scena madre, ad aspetti sottili della
teoria dell'informazione e di quella dei buchi neri.
Pensavo che fosse la cosa migliore che avessi mai fatto,
nessuno che abbia incontrato ha mai colto il punto
scientifico o è stato d'accordo sul mio giudizio sulla
qualità del libro. Mi sono confortato col vecchio detto
che solo un lavoratore mediocre si trova sempre al suo
meglio e ho continuato a scrivere. Mi sono anche
imbarcato in una space opera ambiziosa e pomposa che è
diventata l'Heritage Universe (quattro libri fino
ad ora e un quinto appena oltre lo stato embrionale).
All'incirca nello
stesso periodo, ho perso un'altra delle mie illusioni. Ho
realizzato che non c'è un 'cerchio interno' degli
scrittori di fantascienza. Ben al di là del possedere un
comitato centrale di Maestri Segreti del campo, la
fantascienza assomiglia molto di più ad una famiglia
allargata. Famiglia? quando alcune delle cose che gli
scrittori di SF dicono dei loro colleghi non potrebbero
neppure essere scritte sulla carta perché brucerebbero
la pagina? Sì, famiglia; perché, come in una famiglia,
i bisticci e le lotte e le durezze su materie minori
ascendono spesso a proporzioni epiche. Ti è permesso
di essere rude verso i membri della famiglia ed essi
rimangono famiglia. Comunque, se ci dovessero essere
minacce da esterni, o questi presumessero la stessa
familiarità, l'intera comunità della fantascienza si
solleva arrabbiata e reagisce con sorprendente unità e
mutuo supporto.
Realizzai tutto
questo. Stranamente decisi che tutto questo mi piaceva,
e così nel 1989, dovendo inserire la mia occupazione in
un modulo internazionale, scrissi per la prima volta
'Scrittore'. Con quell'unica parola divenni uno scrittore.
Un ragazzo vero, alla fine.
Questo ha
rappresentato, almeno psicologicamente, un grosso
cambiamento nella mia vita. Non era comunque l'unico: il
1989 è stato un anno tumultuoso... ma bisogna aspettare
la prossima volta per spiegare tutto il resto.
15: Un
anno freddo come il ghiaccio
Il 1989 è stato l'anno
della caduta del muro di Berlino e dell'inizio del crollo
finale dell'Unione Sovietica, ma non è a questo che
facevo riferimento nel brano precedente. A quel tempo gli
avvenimenti globali erano meno importanti per me di
eventi più casalinghi.
In superficie la vita non
poteva esser più liscia. All'inizio del 1989 la mia
scrittura andava bene e facevo la lenta transizione da un
impiego normale a quello di scrittore a tempo pieno (e
intendo proprio lenta, in quanto ancora sto attraversando
il processo e sospetto che non riuscirò mai a
considerare la scrittura 'un impiego normale'). I miei
figli adulti si erano sistemati per quanto riguarda la
carriera, le relazioni e lo stile di vita, tutte cose di
cui erano soddisfatti e che li rendevano felici. Avevo
due figli piccoli, una fonte di piacere inaspettato che
non avevo previsto. Vivevo in una casa grande e
confortevole, in un bel quartiere. Non c'erano
preoccupazioni economiche o di salute.
Avevo anche un matrimonio
che, come l'Unione Sovietica, si avviava al crollo
finale.
Non preoccupatevi, non ho
intenzione di scendere in particolari. Riuscite ad andare
avanti senza di essi ed io pure. Una scuola di scrittori
dice che non c'è mezzo migliore di una bella esperienza
o di una brutta esperienza, è solo dalle esperienze che
gli scrittori possono trarre le cose. Un'altra scuola di
scrittori (io) dice che sono scemenze. Ci sono esperienze
belle, brutte e terribili, e non ti va di ricordarti del
terzo tipo a sufficienza per scriverci sopra.
Diciamo
solo che per la fine del 1989 ero andato ad abitare in
una casa più piccola e meno comoda e che si trovava in
un luogo meno desiderabile, non mi sentivo fisicamente a
posto e avevo delle preoccupazioni sostanziali circa al
mio futuro finanziario. Ero anche invischiato sia con
infiniti giri di legali che con litigate acrimoniose con
la mia moglie di allora, Linda. (Oggi sono dell'idea che
la gran parte di queste ultime fossero dovute agli
incitamenti dei primi, e Linda è d'accordo).
A quel tempo tutto questo
sembrava troppo bizzarro per essere vero. In seguito
centinaia di persone sono venute da me a dirmi,
"Sì, sì, è successo anche a me. E' normale quando
un matrimonio si rompe."
Poichè si suppone che io
scriva fantascienza e non confessioni personali, lasciate
che citi l'altra stranezza di questo periodo. Sembrava più
facile scrivere, non più difficile, quando il
resto della vita si trovava nel caos. Scoprii un'epica
spaziale su larga scala che mi stava crescendo nella
testa, per nulla influenzata dai litigi, dalla mancanza
di tempo, dal peso del lavoro o da altre circostanze
esterne. Il libro, Le lune fredde (Cold as Ice),
non sarebbe finito che nel giro di due anni, ma tutte le
idee e la maggior parte degli incidente dettagliati si
formarono nella mia mente durante quei giorni tempestosi
della fine del 1989.
Poichè molte persone mi
hanno detto che Le lune fredde è il libro che
preferiscono tra tutti quelli che ho scritto, viene la
tentazione di chiedersi se, nonostante i miei commenti
precedenti, le preoccupazioni di quel tempo non mi
abbiano realmente aiutato a scriverlo.
Non lo so. Quello che so è
che mi rifiuto assolutamente di ripetere l'esperimento
necessario a verificare la cosa.
16: La
sertie Jupiter
Nel capito
precedente sono arrivato al 1991 e nel bel mezzo di un
divorzio. Stavo per scrivere un "divorzio
spinoso" ma non credo che ne esistano di altri tipi.
A settembre di quell'anno accaddero due cose che
all'inizio sembravano disconnesse. Iniziai a mettere giù
la trama di un libro, Godspeed, che stavo immaginando
come L'isola del tesoro trasportata nel futuro e nello
spazio, ed accettai di tenere un discorso a Seul, nella
Corea del sud ad una conferenza della World Peace
Academy.
Il libro Godspeed
non uscì fino al 1993 ma questo è un ritardo comune che
comporta la finalizzazione dei contratti, lo scrivere un
libro e il produrlo per la pubblicazione. Già nel 1991
sentivo una mancanza nel campo della fantascienza. Con
esattezza sentivo la mancanza di libri disegnati per
richiamare l'interesse dei giovani lettori. Come la
vedevo io era che i curatori migliori avevano tra i
quaranta e i cinquant'anni e avevano già visto la
maggior parte delle cose. Il rtipo di libro che
soddisfaceva i loro appetiti maturi non sempre riusciva
ad attirare il pubblico adolescente, perchè era troppo
sofisticato e spesso troppo letterario (lo so, sto
stuzzicando un vespaio). La narrativa moderna scaccia il
novanta percento dei lettori giovani. Eppure gli
adolescenti rappresentano, secondo le idee di molti, i
lettori principali per la fantascienza.
Potrei dilungarmi a
parlare di come una tendenza nella fantascienza ad
orientarsi verso una narrativa letteraria che rifugga
dalla trama possa costituire la causa unica e principale
dell'interesse verso le derivazioni da spettacoli
cinematografici che sono senza dubbio basati sulla trama
e semplicistici, ma lasciamo tutto questo per un'altra
volta. Torniamo al mio tema principale.
Non lo sapevo, ma
anche Jerry Pournelle aveva accettato di parlare alla
stessa conferenza nella Corea del sud. In giro per gli
incontri, vagando per i mercati e durante viaggi
traumatici a bordo della metropolitana di Seul con una
guida australiana che dichiarava di parlare il sudcoreano
e che di fatto parlava una sola parola di quella lingua,
io e Jerry discutemmo di scienza, della situazione della
fantascienza, di Robert Heinlein e in particolare dei
juvenile di Heinlein. Dov'erano oggigiorno gli
equivalenti di quei libri?
Non arrivammo a
nessuna conclusione, ma una concatenazione di pensieri si
era stabilita in entrambi che qualche anno dopo (1995)
avrebbe portato alla creazione della linea Jupiter di
romanzi di fantascienza, rivolta verso adolescenti svegli
e orientati verso la scienza. Registrammo quella linea e
l'esperienza da sola meriterebbe un capitolo, ma non qui.
I libri, bubblicati
dalla Tor, non hanno da nessuna parte la dicitura
"Giovani adulti". Non so se ciò sia un'idea di
mercato intelligente o sciocca, ma è abbastanza
sorprendente che i lettori non siano quasi per niente
degli adolescenti. Ieri ho ricevuto una e-mail da un
tizio suo trentun anni. Mi diceva che leggeva ed amava i
'juvenile' della serie Jupiter. Per di più diceva:
"Sono un lettore vorace (e molto criticone). Faccio
questa offerta. Lei continua a scriverle e io continuo a
comprarli!"
Non puoi battere un
incoraggiamento di questo tipo. Il mercato della
fantascienza è forte come sempre. Ma solo, secondo me,
se offri delle trame al lettore.
17:
Nulla di nuovo
Questi
capitoli sono sempre più lenti ad uscire. Penso che stia
cercando di dirmi qualcosa.
Questo qualcosa è
piuttoato semplice. Leggere di esistenze piene di azioni
di guerra, desideri, assassini, tradimenti e disastri è
molto più interessante che leggere di vite felici e
tranquille. E la cosa è ugualmente vera per quanto
riguarda lo scrivere di queste cose. Non ho mai voluto
scrivere della vita quotidiana. E non ho mai avuto molta
pazienza con un autore che dice, in effetti, lasciate che
vi porti via dalla vita bonaria, piatta e oziosa che
state facendo per raccontarvi della vita bonaria, piatta
e oziosa che faccio io.
Ciò che voglio
dire è che durante gli anni novanta la vita si è
sistemata su di una posizione di calma e di noia. Qualche
cosa è pur accaduta. Dopo molti anni passati a scrivere
e a non vincere nessun premio (ed essendo perversamente
orgoglioso della cosa) ho vinto un Nebula, un Hugo, un
Campbell Memoria Award e un Sei-un giapponese. Non ho
nessuna spiegazione per questo fatto, dato che per quanto
ne posso vedere io scrivo esattamente come ho sempre
scritto. Il consiglio migliore. ed unico, che posso dare
a coloro che vorrebbero diventare scrittori è di
continuare a scrivere e cissà cosa acadrà poi.
Ho partecipato al
mio unico workshop per scrittori, a Sycamore Hill, ed ho
imparato che come lettore sono un barbaro culturale,
devoto all'idea superata della trama e a disagio con
forme letterarie più moderne. Mi sono divertito molto,
ma credo di non aver imparato proprio niente rispetto a
quanto avrei potuto.
Mi sono risposato,
con una collega scrittrice bella. piena di talento e
sexy: Nancy Kress. Penso che se scendo in particolare
potrei trovarmi in mezzo a problemi seri. Comunque,
coincidentalmente ho scritto due anni fa un libro con
molte descrizioni sessuali al suo interno, una cos
ainsolita per me (quando ho consegnato il libro un
curatore mi ha detto: "Non credi che sia esagerato
avere un predidente che sia tanto interessato al
sesso?" Ultimamente non ho avuto più notizie da
lui.)
Non saprei dire
quali altre asperazioni potrei avere nel campo della
fantascienza. Ho fatto il toastmaster alla WorldCon del
1998, vestito da pirata e cì bene mascherato che (grazie
a Dio) mia moglie non mi ha riconosciuto a un metro di
distanza. Niente potrebbe mai superare questa cosa.
I miei figli
sembrano essere felici e in salute. Sembra che io sia
solvente. I miei fiori crescono che è una bellezza. Io
non sto scappando da niente, nè sto cercando di
dimenticare qualcosa. nè mi trovo immerso in qualche
lotta emotiva. Non prova nessun bisogno impellente di
scrivere, nessun desiderio smodato di premi, nessuna
spirazione per riconoscimenti superiori. Avvicinandomi
alla fine del millennio, la vita è molto buona.
Questa è una cosa
preoccupante. Un mio amico, a cui era stato chiesto
perchè aggrottasse la fronte, rispose "Immagino che
sia la troppa felicità."
Non preoccupatevi.
Nulla dura all'infinito. Qualcosa di orribile prima o poi
arriva. Qualcosa di brutto mi accadrà. E allora ne
parlerò.
Fino ad allora, ho
deciso di interrompere questa biografia. Se volete che
continui, fate in modo che succeda qualcosa di
spiacevole.
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