LIBRI
Maurice G. Dantec, LE RADICI DEL MALE
Astro
Teller, EXEGESIS
Claudio Asciuti, LA NOTTE DEI PITAGORICI
AAVV, STRANE STORIE N°2
AAVV, NOVA SF* N°42
Kurt Vonnegut, GHIACCIO NOVE
William Gibson, AIDORU
Octavia E. Butler, LA PARABOLA DEL SEMINATORE
Michael Crichton, TIMELINE
FUMETTI
STORIE DI SPETTRI,
Gea 3
ALFA, Nathan Never
107
DALLE CENERI,
Nathan Never 108
TORBIDO INTRIGO,
Nathan Never 109
BLAME!, 1
BLAME!, 2
GETTER ROBOT SAGA,
volume 1
EDEN, 1
Maurice G. Dantec |
LE RADICI DEL MALE |
(Les racines du mal, 1999) Milano, Hobby & Work, 1999 (pagine 599, L. 32.000, traduzione di Luigi Bernardi e Sabina Machiavelli) |
Le prime cento pagine di Le radici del male di Maurice G.
Dantec sono la cavalcata pazza e sanguinaria di uno schizofrenico
che ha deciso che il mondo è caduto nelle mani di un'alleanza
tra gli alieni provenienti da Vega e la Gestapo. Andreas
Schaltzmann il vampiro di Vitry uccide, da' fuoco,
squarta, frulla i corpi, beve sangue: un vero e proprio
psicopatico, insomma, che alla fine però viene catturato e
diventa un caso da studiare. Ed è qui inizia la seconda parte
del romanzo.
La vera storia di Le radici del male,
un romanzo lungo quasi 600 pagine, fatto inusuale per un europeo,
vede infatti al centro centro Armand Darquandier,
"Dark", esperto di analisi comportamentale che insieme
a Stefan Gombrowicz e Svetlana Terekhovna, è chiamato a
"studiare" il Vampiro di Vitry. Dark però si rende
subito conto che Schaltzmann forse non è solo un caso da
analizzare, ma un mistero da risolvere: dietro di lui c'è
infatti qualcun altro? Esiste un altro assassino? A questa
conclusione lo studioso è giunto grazie al suo software che,
analizzando gli assassini addebitati al Vampiro, ha sintetizzato
non uno, ma due "universi paralleli", due ben distinti
modus operandi. Potenza della modernità che inevitabilmente apre
nuovi orizzonti al male. Nessuno però sembra credere agli
universi ipotizzati dallo schizo-processore, anche perché esiste
un colpevole ideale, uno psicopatico che mette d'accordo tutti.
Ma Dark insiste. "L'uomo è sia una macchina per controllare
il caos, sia un propagatore del disordine": proprio partendo
da questa semplice osservazione, lui ha messo a punto la sua
neuromatrice, una sorta di macchina che analizza l'analisi
comportamentale. Si tratta insomma di un "motore
d'interferenza", un processore schizo-analitico che simula i
comportamenti umani basandosi sui frattali di Mandelbrot.
Inutile dire che Dark, nonostante sia cacciato dall'indagine, ha
ragione: esiste insomma una realtà virtuale quella
ipotizzata dallo schizo-processore, una sorta di doppio di Dark
più vicina alla verità della realtà empirica, quella
fatta di prove, rilievi ed indagini e che può nascondere nelle
pieghe oscure assassini.
Marco Minicangeli
Astro Teller |
EXEGESIS |
Usa, Vintage Books, 1997 |
C'è stato un tempo in cui la gente
scriveva lettere ed i romanzieri narravano con i romanzi
epistolari. Era la grande epopea del romanzo borghese
dell'Ottocento: il giovane Werther, Jacopo Ortis, il romanzo di
formazione, la scoperta del tempo, dei nuovi ritmi di lavoro
sconvolti dalla rivoluzione industriale. Poi il telefono prese il
posto della busta affrancata, così come la radio soppiantò i
giornali nella comunicazione della realtà. La televisione fu un
ulteriore passo avanti, il completamento di un processo:
l'aggiunta delle immagini al suono che permise di passare dalla descrizione
alla visione, interessando il senso più astratto
dell'uomo.
Ma il progresso non è un movimento lineare, bene lo sa la
narrativa d'anticipazione se continua a tornare su temi e scenari
da "medioevo prossimo futuro" o immagina storie
diverse. Se è così, allora era inevitabile che anche nelle
strutture prima o poi si tornasse ad utilizzare forme narrative
che hanno fatto la storia del romanzo.
E' il caso di Astro Teller, giovane ricercatore di intelligenza
artificiale, che con il suo Exegesis
(1997) propone un romanzo cyberepistolare. A scriversi sono Alice
Lu - una ricercatrice dell'Università di Stanford - e Edgar,
un'intelligenza artificiale messa a punto proprio dall'equipe di
cui Alice è parte, che improvvisamente prende coscienza di sé.
La ragazza ha speso due anni su questo progetto, ed un bel giorno
trova nella sua posta un semplice messaggio: "Hallo".
Inizialmente rifiuta di credere che sia proprio Edgar a
comunicare con lei, ma subito dopo deve arrendersi all'evidenza
che il programma funziona e che Edgar è vivo e diventa ogni
giorno più cosciente.
Abbiamo iniziato parlando della nascita del romanzo borghese. E'
proprio Alice a chiedere in apertura una "temporanea
sospensione dell'incredulità" tipica dei romanzi
settecenteschi. "Non mi preoccupa che queste pagine siano
considerate fiction" dice, eppure subito dopo data questa
introduzione 9 ottobre 2000. Ci verrebbe quasi voglia di aprire
una pagina sui "tempi" della letteratura (scrittura-avventura-lettura)
e se stessimo scrivendo un ipertesto dovremmo inserire una hotword
ed aprire una pagina corrispondente e parlare, per esempio,
dell'immediatezza dei messaggi mail rispetto allo scorrere
del tempo che si avverte nei romanzi epistolari. Rimaniamo invece
al testo di Exegesis, per
osservare che il rapporto instauratosi tra Alice e Edgar ne
riassume in sé molti: uomo/macchina, madre/figlio,
insegnante/studente. A ben vedere la fitta cyber-corrispondenza
altro non è che un dialogo tra creatore e creazione che ci fa
tornare in mente (ancora una volta) uno degli archetipi della
letteratura di fantascienza, Frankenstein
di Mary Shelley, un romanzo diventato metaletteratura, narrazione
che specula su se stessa interrogandosi sull'atto della
creazione.
Ci allontaniamo dal pulp. E' ovvio che un dialogo del genere non
poteva non sfociare in una riflessione filosofica sul senso della
vita. Alice scrive a Edgar (10.03.2000) che lui rappresenta una
forma alternativa di coscienza e come tale potrebbe essere un
valido aiuto per gli scienziati alla comprensione dell'uomo.
Già, il senso della vita: per Edgar è rappresentato dalla
conoscenza dei testi che trova in rete. Ben presto però si
renderà conto che la conoscenza non può prescindere
dall'osservazione diretta. Leggiamo cosa scrive:
"Riesco a capire termini come "libertà" e
"sicurezza" e "intenzione" e
"veloce". Come posso apprezzare "blu" o
"pesante" o "dolore" o "musicale"?
Io non posso vedere, sollevare, provare sensazioni o udire".
(15.02.2000)
Inizia così uno scambio di messaggi sul mondo
"esterno", se così vogliamo dire, che lo porterà a
capire l'importanza dell'esperienza, dell'acquisizione diretta ed
empirica dei dati, piuttosto che in forma nozionistica. Edgar
capisce che l'esperienza che fa una mente è troppo strettamente
collegata alla "realizzazione fisica" che fa il corpo
dove è contenuta la mente. (12.03.2000)
Alla faccia del virtuale assoluto, insomma.
Marco Minicangeli
Claudio Asciuti |
LA NOTTE DEI PITAGORICI |
Milano, Mondadori, Urania 1375, 1999
(pagine 331, L. 5.900) |
Questo romanzo, vincitore del Premio
Urania 1999, è prevalentemente un romanzo filosofico, dove
si racconta dell'essere venuto meno del concetto di Dio, nel
divenire dell'essere, che è oggi in soggetto.
Niente di meno; ma Asciuti espone questo concetto in modo
decisamente molto più accessibile, più fruibile, di quanto
abbia fatto Nietzsche nel suo La volontà
di potenza, arrivando a infatti a ciò, tramite una
narrazione decisamente accattivante, densa di atmosfere belle, di
accadimenti che, inevitabilmente, catturano l'attenzione del
lettore, anche - o forse prevalentemente - fgrazie alla loro eccessiva
assurdità: basti dire che il fatto su cui ruota la trama è
il ritrovamente del Nautilus, proprio quello di Julius Verne.
La prosa di Asciuti, che molti di voi sicuramente conosceranno
per aver letto qualche racconto, riesce abbastanza bene a tenere
anche sulla lunghezza del romanzo: sono rari, infatti, i momenti
in cui la tensione subisce dei cali sensibili.
E alla fine, il protagonista, che significativamente si chiama...
Senzanome, va ad incontrare una figura che ha molte delle
caratteristiche della divinità, senza però esserlo; questa gli
dice, al suo interrogarlo sulla Morte: "Tu non hai paura del
nulla. Hai paura del qualcosa... hai paura che quest'inferno, il
tuo personale inferno, continui anche dopo la morte e sia
peggio." (pag.301), gli racconta della paura, che poi
riconoscerà in sé, che: "
la vita di tutti i giorni
potesse trascorrere ancora dopo la morte." (pag.305).
Il romanzo è ambientato in una Terra della metà del XXI°
secolo, in cui la Scienza ha trovato un modo per togliere dalla
psiche dell'Uomo ogni aspetto creativo, immaginativo, per mezzo
dell'ablazione della cuspide: "Un'ablazione della cuspide,
con conseguente estinzione di ogni desiderio insaziabile, e
quindi di ogni comportamento anomalo." (pag.49); una Terra
in cui questa operazione non è obbligatoria: ci sono, infatti,
anche coloro che hanno scelto di non farsi operare, gli
Svitati: "...solitudine, malinconia, estraneità sono i
termini che ci costringono a suonare, a dipingere, a scrivere, a
recitare, a dirigere film o commedie, a salire sul palcoscenico
per recitare una vita diversa dalla nostra...", e coloro che
decidono per non farsi operare: "...Strutturati (quelli che
hanno scelto di farsi ablare la cuspide)... sentirono sempre più
forte il bisogno di leggere i romanzi e le poesie, di ascoltare
la musica creata dai primi." (pag.50).
Ed è proprio questa l'idea che regge tutta la narrazione:
Senzanome, il protagonista, è uno Svitato che, in tarda età,
decide di farsi ablare la cuspide, ma l'operazione, per un motivo
che si capirà solo nel finale, non porterà a lui gli effetti
che ha portato a tutti gli altri.
Il romanzo è anche caratterizzato da molte citazioni di
scrittori di fantascienza; da Ellison ("...scrittore di
fantascienza del secondo millennio e perpetuo incazzato contro i
benpensanti di ogni credo e illusione" (pag.49), a Ballard,
a Zelazny ("...alcuni romanzi di uno scrittore del secondo
millennio, Roger Zelazny, i cui protagonisti traslavano da un
luogo all'altro del mondo di Amber servendosi degli Arcani
Maggiori." (pag.90), a Dick ("Conosco un Philip Kindred
Dick... che abita in un castello, neppure troppo malandato, sulle
alture. È uno scrittore di fantascienza. Ha preso il nome in
onore di "questo" Dick?" (pag.256); di
quest'ultimo, vi sono, oltre ad una rappresentazione teatrale, o,
meglio, di body art, ispirata al suo "Ubik", la droga
PKD, e quelle, citate dal suo "Le tre stigmate di Palmer
Eldritch", Chew-Z e Can-D.
E, ancora, vi è un personaggio, detto Mente Microfilmica, che
non può non ricordare il Mente di "1997, fuga da New
York" di Carpenter, vi si cita "
Stormbringer: la
"Tempestosa"
" (pag.172), dai romanzi di
Moorcock di Elric di Melniboné; e, anche, nel lungo colloquio
finale fra Senzanome e Il Re del Mondo (così viene infatti
chiamata quella figura semidivina che abbiamo citato), si dice:
"Inventammo la fantascienza New Wave e lui (il "Nemico
Bellissimo", una trasposizione del concetto di Demonio)
rispose con l'avventura spaziale e il cyberpunk." (pag.291),
in cui quell'aver messo il cyberpunk fra, per così dire, i cattivi,
mi suona decisamente male.
Nell'economia della narrazione, un ruolo importante che non vi
sto a dire, è rivstito da un manoscritto di Vaslav Nijinsky, un
famoso ballerino russo di inizi secolo; i suoi Diari sono stati recentemente stampati
presso la Adelphi.
Nel finale, c'è una bella ripresa del concetto base che
dicevamo, nel dire di un simbolico reincontrarsi con dei
trapassati: "...c'erano tutti... benchè non esistesse una
vita nell'Aldilà, non esistesse sopravvivenza, vita
oltremondana, meno che mai salvezza... ma riflessi di me stesso
che prendevano vita per non sentire quell'assoluta solitudine che
accompagna, tutti noi, in ogni momento della nostra crociera nel
mare dell'essere." (pag.326).
Per concludere, dunque, ancora un esempio di come la Sf sia in
grado di veicolare concetti altrimenti difficilmente
comprensibili ai più, in modo da istruire divertendo: cosa in
cui Asciuti riesce decisamente appieno.
In appendice, c'è una nota autobiografica, quasi romanzata,
dell'autore.
Marcello Bonati
AAVV |
STRANE STORIE - narrativa macabra e fantastica - n°2 |
n°2, aprile
2000 (trimestrale) L. 3.800 in edicola e nelle librerie della maggiori città Abbonamento a 4 numeri: L.18.000 sul C.C.P. n°12608147 intestato a "Lo Stregatto Editore", Strada Val Pattonera n°180 - 10133 Torino (specificare la causale del versamento) |
Di questi tempi trovare in edicola una
vera rivista di letteratura fantastica è un evento più che
raro. Si sono gettati nellardua impresa alcuni ragazzi di
Torino che hanno deciso di sviluppare professionalmente una
positiva esperienza nata in ambito universitario. La redazione di
Strane Storie è composta da appassionati di fantastico,
nellaccezione più ampia del termine, che riescono a
fondere sapientemente passioni letterarie ed un equilibrato
giudizio critico (ed in aggiunta sono anche molto modesti!). Se
il taglio della rivista è volutamente leggero, come dimostrano
le numerose immagini ironiche che accompagnano i testi, adatto ad
attirare anche i lettori più giovani, leredità culturale
a cui si rifà la rivista è quella lasciata da maestri quali
Bradbury, Carrol, Buzzati e Matheson. Sul numero di aprile
trovano pertanto spazio non solo epigoni di King e Lovecraft ma
anche sofisticati racconti come "Radio Ga-Ga" di
Daniele Nadir o il suggestivo "Vita, opere e
filosofia
" di Mattia Ottolini corredate da eleganti
illustrazioni dellautore medesimo. Siamo quindi lontani dai
toni aulici e dalla retorica che inevitabilmente accompagna le
iniziative targate "fantasy" in Italia.
La FS vera e propria trova espressione, oltre ad una recensione
di Mattatoio n°5 di Vonnegut che fa
seguito a quella di Hyperion di Dan
Simmons nel numero precedente, nel racconto "Beth" di
Enrico Cantino, una breve e delicata variante sul tema della
simbiosi uomo-macchina.
Si tratta quindi una rivista in cui prevale la narrativa sulla
saggistica, dallo stile molto originale, difficilmente
paragonabile ad altre pubblicazioni che può essere consigliata
ad un pubblico molto ampio, insomma un intrattenimento piacevole
che può essere considerato un intelligente introduzione al
multiforme universo della letteratura fantastica.
Per quanto riguarda il prezzo, non è un errore di tabulazione,
costa davvero solo 3.800 lire! Vale davvero la pena di sostenere
questa meritevole iniziativa editoriale.
Riccardo Giandrini
AAVV |
NOVA SF*- n°42 |
Bologna,
Perseo libri, aprile 2000 pagine 288, L. 30.000, traduzioni di Lella Moruzzi, Ugo Malaguti e Manuela McMillen versamento sul c.c.p. n°10351401 intestato a: PERSEO LIBRI - C.P. 1240 - 40100 BOLOGNA CENTRO |
Gli anni passano, le collane e le
riviste di FS vanno e vengono o quantomeno cambiano veste grafica
e linea editoriale, solo Nova
rimane sempre uguale a se stessa. Malaguti, arroccato nel suo
feudo di Bologna, continua a produrre con la consueta passione la
sua rivista, vero e proprio monumento al "sense of
wonder". Ho sempre pensato che fosse un peccato che una
delle poche vere riviste di FS italiane continuasse a pubblicare
racconti di Edmond Hamilton o Jack Williamson a scapito delle
opere dei nuovi talenti americani ed europei. A dire il vero
negli anni passati Nova ha praticamente tenuto a battesimo in
Italia fuoriclasse degli anni ottanta quali Lucius Shepard e Kim
S. Robinson, ma la vera vocazione della rivista rimane legata ai
maestri del passato e tutto sommato è giusto che esista una
pubblicazione che mantenga viva la memoria storica dei lettori di
FS. Leggere Nova è un
po come avventurarsi nelle botteghe dei rigattieri o nelle
vecchie soffitte dove il fascino del luogo è superiore
allinteresse che può suscitare il singolo oggetto e dove
la nostalgia per il passato gioca un ruolo decisivo. Leggendo il
primo racconto, Made in U.S.A. di
J.T. Mc Intosh, accompagnato dalle gloriose illustrazione di Kurt
Caesar, si ha la sensazione straniante di avere tra le mani una
rivista vecchia di almeno 40 anni; si tratta infatti di un
racconto che sembra uscito da una commedia degli anni 50 con
Lucile Ball, pieno di personaggi ingenui e di situazioni
improbabili: assolutamente improponibile in qualsiasi altra
pubblicazione. Una certa atmosfera stile film in
"technicolor" lo troviamo anche in Nessuno mi insegue del dimenticato Ward
Moore il quale riesce però a rendere più interessante la
narrazione grazie ad una struttura più sofisticata e moderna.
Suggestiva latmosfera onirica della Nave
delle tenebre di Van Vogt mentre Regola
18 ci regala un Simak insolito, meno lirico e più
brillante, che mescola con disinvoltura una partita di football
americano tra marziani e terrestri con un finale in ambientazione
azteca! Da dimenticare Questa stella sarà
libera di Murray Leinster, un racconto deficitario sia per
la trama che per lo stile, mentre Bambole
di James White sarebbe una sfiziosa descrizione
dellincontro, in un grande magazzino, tra un custode umano
ed una famiglia di alieni se la prima parte della narrazione non
fosse appesantita dalla minuziosa quanto inutile descrizione dei
locali del supermarket (sarebbe stato meglio soffermarsi sulla
reazione del personale di fronte al rinvenimento di bambole
orribilmente mutilate).
Ma il pezzo forte della rivista riguarda la saggistica. In un
completo capovolgimento di fronte, Malaguti ci presenta un
dossier sul recente convegno di Venezia dal titolo Le
fantascienze che ha permesso la pubblicazione, sulle pagine
culturali di diversi quotidiani, di alcuni articoli inerenti la
presunta crisi della FS e ha successivamente suscitato il
dibattito tra gli appassionati e gli addetti ai lavori.
Particolarmente interessante lintervento di Stefano
Carducci che ha il merito di soffermarsi sulla FS contemporanea
non solo nel suo complesso ma soprattutto mettendone in risalto
gli esponenti più rappresentativi; vengono pertanto presentate
in modo sintetico, ma chiaro, le opere di Greg Egan, Pat Cadigan,
Christopher Priest, John Crowley, Jeff Noon, Kim Stanley Robinson
ecc., inserendole nel contesto storico del genere e soprattutto
ipotizzando non tanto la fine della FS, ma un suo epocale ritorno
alla letteratura tout-court, il "(
) mare delle storie.
Lalveo dove la crisi del genere sta ora riportando i suoi
scrittori migliori". Il nucleo centrale della FS, costituito
dalle forme espressive e dalle metafore tradizionali, è ormai in
completa crisi, ci ammonisce Carducci, perché in mano
allindustria editoriale e cinematografica, la quale non fa
che sfruttare in modo ripetitivo i modelli più collaudati che dovrebbero
garantire il successo commerciale. Loriginalità e la
sperimentazione risiede solo alla "periferia" del
genere dove il processo creativo non trova vincoli, ma anzi si
apre a nuovi confronti con altri linguaggi: "Il centro è il
regno dellortodossia, (
) i confini sono il regno
delle possibilità".
Anche se lascia perplessi la scelta di Carducci di ignorare
autori importanti, Gibson, Stephenson e Sterling su tutti, penso
sia indispensabile raccogliere il testimone e continuare ad
occuparsi in modo approfondito degli autori di FS di oggi,
evitando i facili entusiasmi e le inutili generalizzazioni, sia
in positivo che in negativo, per focalizzare lattenzione
sulle opere più significative che possono davvero continuare la
feconda tradizione della letteratura di Science Fiction.
Riccardo Giandrini
Kurt Vonnegut |
GHIACCIO-NOVE |
(Cat's Cradle, 1963)
Milano, Mondadori, Urania 1383, 2000 (pagine 285, L. 5.900, traduzione di Vittorio Curtoni) |
Ghiaccio-nove
(G-N) è il nome di una delle (ipoteticamente possibili) diverse
combinazioni molecolari capaci di generare il ghiaccio, ed il
titolo italiano scelto per questo che è uno dei pochi (tre)
romanzi di FS scritti da Vonnegut.
In verità, il romanzo ha assai poco di fantascientifico, se non
quellunico elemento sopracitato su cui poi poggia la trama
dellintera vicenda. Quasi fino in fondo infatti vi
chiederete cosa ci sia di fantastico in questa storia, che
ricorda in più punti le scapestrate avventure di Woody Allen in
quel di Bananas, ma la narrazione sarà talmente scorrevole e
piacevole, e spesso smaccatamente sarcastica, che non ve ne
curerete affatto. Sarete trasportati in questo mondo immaginario,
per certi versi utopistico e al tempo stesso infernale, e tutto
ciò che vi resterà da fare, sarà lasciarvi coinvolgere nel
seguire le traballanti e mistiche ricerche del protagonista.
Già, "il protagonista", perché in una sorta di
inconsueto percorso autobiografico, il nome della voce narrante
non sarà mai citata; solo nelle prime righe si accenna al suo
peraltro sconveniente soprannome. La struttura di G-N si presta
ad una facile ed agile lettura, accattivante nelle sua
suddivisione in brevissimi capitoli capaci di interrompere la
narrazione sempre al punto giusto, lasciandovi sulla punta della
lingua tutta lirrefrenabile voglia di proseguire.
Divertenti e profondi, i calipsi, i versi scritti
dallinvisibile santone, che accompagnano per tutte le 208
pagine il lettore in riflessioni spesso dappoco e superficiali,
ma che in realtà racchiudono il pensiero vonnegutiano in poche,
pungenti e mirate parole, dietro cui troverete più di quanto
appaia ad una prima e distratta lettura.
Un bel libro, questo di Vonnegut, di cui consigliamo
unattenta lettura specie a chi si avvicina timoroso e
curioso allarte dello scrivere; qui troverete di che
imparare anche grazie ad una traduzione fluida ed equilibrata,
senza inutili ghirigori, ad opera di Vittorio Curtoni.
Interessanti infine, gli articoli a corredo di questa edizione,
soprattutto quello dedicato ad una più approfondita conoscenza
biografica e bibliografica dellautore, in un saggio molto
ben scritto da Riccardo Valla che offre notevoli spunti di
meditazione e di discussione.
Andrea Iovinelli
William Gibson |
AIDORU |
(Idoru, 1996) Milano, Mondadori, supplemento a Urania 1384, 2000 (pagine 284, L. 7.000, traduzione di Delio Zinoni) |
Ma mè veramente piaciuto questo
romanzo del "profeta" del cyberpunk? Difficile dare una
risposta. Si arriva alla fine del libro senza che ci si sia
annoiati, divertiti e spesso anche stupiti ed affascinati per
quella naturale capacità che ha il signor Gibson di trascinare
il lettore allinterno di un mondo fortemente evocativo,
credibile ed immaginifico, ma anche così tanto vicino alla
nostra realtà. Eppure alla fine... ho guardato il libro, ho
sfogliato allindietro le 260 pagine di racconto, e mi sono
nuovamente chiesto: "sì, ma che è successo, in 260 pagine?
Qual è la trama, dovè la storia?". La storia
cè, sia chiaro, ma gli eventi sono intrecciati in modo
tale da risultare alla fine completamente evanescenti, fusi come
sono in un tuttuno che raccoglie ed annulla
lintreccio narrato alternativamente dei due protagonisti.
Chia e Laney: due storie, due vite e due espressioni di quello
stesso mondo che si snoda lentamente tra i diversi romanzi di
Gibson, sempre diverso ma sempre uguale, se non nelle forme
almeno nelle apparenze, nei concetti, nelle idee di fondo di quel
suo Creato. La prima, una ragazzina fanatica di un gruppo
musicale il cui cantante (Rez) idolo in carne ed ossa vuole però
sposare un idolo virtuale; il secondo, uno dei geni naturali
dellinformatica e delle realtà "secondarie"
tipici del Creato di cui sopra, che con il virtuale vorrebbe
averne a che fare il meno possibile e che invece, suo malgrado,
è parte irremovibile ed insondabile della sua essenza, infuso
nel suo stesso DNA da azzardate alchimie farmaceutiche. Che lo si
voglia o meno, che ci si venga infilati a forza o che ci si
imbuchi per propria coscienza, il mondo alternativo - o meglio
parallelo -, entra nelle loro vite e nelle vite di ogni essere
vivente, e ad un certo punto le condiziona senza che - così
appare - lo si possa fermare o anche solo controllare. Parte
integrante dellUniverso, volto secondo di una stessa
faccia, o maschera di una delle molteplici varie realtà. La
seconda realtà, quella dellAidoru, dellidolo
virtuale costrutto artificiale di pura informazione e stringa
infinita di programmi e di dati, si distacca e si fonde con la
nostra realtà, quella che percepiamo noi e la condiziona fino al
punto di metterla in dubbio. "... è come vedere facce nelle
nuvole, tranne che le facce ci sono davvero": è questo che
fa di Laney uno specialista nel suo campo (quale?); scorge i
"punti nodali", le irregolarità = singolarità nella
struttura, nel momento dellirreversibile cambiamento e ne
percepisce lessenza, il messaggio, filtrandolo attraverso
le stringhe di bytes.
Mè piaciuto o no, sto romanzo, alla fine? Io penso
di sì, anche se la trama non è delle più geniai ed i fatti
convergono tutti in un unico e semplice punto che si scioglie in
un "nulla" sotto unanalisi poco più che
approfondita; Gibson però ha la capacità unica di
caratterizzare, di descrivere, di ambientare, e non ti lascia
staccare dalla pagina. Per finire, e non è una bella chiosa,
inutile, anacronistica ed irritante lintervista che chiude
il libro: raccolta presumibilmente tre anni prima
delluscita di Aidoru, e
a sette anni di distanza da questultima versione, in
occasione del precedente romanzo di Gibson, Luce
Virtuale, appare quasi una come provocatoria presa per i
fondelli nei confronti degli appassionati lettori di questa
storica testata che, se non se ne fossero accorti, qualche
neurone riescono ancora a farlo funzionare. Se avessero lasciato
quelle tre misere paginette in bianco avrebbero fatto un favore a
noi, che ci saremmo sentiti un po meno insignificanti, e a
loro, che avrebbero così conservato una parvenza di onorabile
serietà professionale in tal modo irrimediabilmente corrotta.
Andrea Iovinelli
Octavia E. Butler |
LA PARABOLA DEL SEMINATORE |
(Parable
of the Sower, 1993) Roma, Fanucci, Solaria n° 3, 2000 (pagine 350, L. 6.900, traduzione di Anna Polo) |
La nuova collana tascabile di
fantascienza della casa editrice romana, che negli intenti
dovrebbe rappresentare la principale concorrenza di Urania,
si presenta sul mercato con un ventaglio di autori interessanti,
dall'esordio con K.W. Jeter ai successivi Robert Sawyer e Bruce
Sterling (in uscita ad agosto 2000). Il romanzo di aprile, questo
Parable of the sower, è fra
le poche opere della statunitense Otavia Butler tradotte in
italiano: caduto in parte il pregiudizio che voleva gli scrittori
di sesso femminile incapaci di scrivere una science fiction
interessante, rimane comunque un ostracismo mai pronunciato verso
gli autori afroamericani. La fantascienza sembra infatti - se non
nelle intenzioni esplicite, quantomeno nei fatti - un genere white,
con pochissime eccezioni, primo fra tutti Samuel Delany.
Purtroppo questo prolisso romanzo ambientato in un futuro
post-catastrofe non favorisce la riconciliazione del pubblico
italiano con l'autrice americana: si fa davvero fatica a
terminare l'ultima parte, e sì che la vicenda parte suscitando
un discreto interesse. L'assunto iniziale è simile a Una famiglia nucleare (Dad's nuke) di Mark Laidlaw: la
società americana si è sbriciolata in una serie di microentità
autoorganizzate, a livello di quartiere. La protagonista de
"La parabola del seminatore" è una quindicenne che
vive in una comunità minacciata dalla violenza esterna, che
rimane strisciante nella prima parte del romanzo per esplodere a
partire dalla distruzione e dal saccheggio che ne rappresentano
il turning point, già preconizzati dalla giovane. A
questo punto però si innesta una improbabile fuga in uno
scenario di sangue e violenza, in cui il lettore stenta a capire
come nessuno cerchi di mettere ordine malgrado si abbia sentore
di un potere costituito. Inoltre, l'economia di questa società
devastata si basa ancora sul dollaro (!) anziché, come previsto
da tutti gli altri autori catastrofisti, sul baratto. O' Mighty
Dollar! La simpatia iniziale di Lauren, la protagonista, la sua
empatia con la sofferenza altrui, l'attenzione verso il dolore
dei bambini, l'attaccamento alla famiglia costituiscono un
capitale di immedesimazione nel personaggio che l'autrice
disperde al vento nella violenza della seconda parte,
nell'improbabile religione del cambiamento, coltivata per
iscritto su un diario. Attraverso una serie di vicissitudini
dalle quali Lauren e i suoi compagni di strada riescono a uscire
a suon di pistolettate, il lettore approda infine a una soluzione
di compromesso, che lascia irrisolto il collegamento fra
l'empatia della protagonista e la sua religione. Speriamo che La parabola dei talenti, fresco vincitore
del Premio Nebula e la cui uscita è prevista su Solaria
per l'anno prossimo, riscatti questa prova troppo debole.
Franco Ricciardiello
Michael Crichton |
TIMELINE |
(Timeline,
1999) Roma, Garzanti, 2000 pagine 680, L. 35.000 |
Facile indovinare l'argomento
dell'ennesima fatica di Michael Crichton, il miliardario e
contesissimo autore di Jurassic Park,
Sol Levante e altri fortunati best
seller trasformati in cinema: "Ai confini del tempo" è
infatti il sottotitolo del suo più recente romanzo, che sembra
scritto ad hoc per diventare una sceneggiatura, con poche
modifiche. I "confini" di cui al sottotitolo sono,
naturalmente, quelli del viaggio nel tempo, argomento che si
impone sempre di più nei gusti dei cultori degli effetti
speciali cinematografici. Come tradizione, Crichton cerca
giustificazione narrativa in una idea rigorosamente scientifica,
trovandola nella teoria dei quanti. Purtroppo, la meccanica
quantistica rimane in un angolo lasciando il ruolo centrale alla quantum
foam, la schiuma quantica, perforata da tunnel probabilistici
per mezzo dei quali si possono far filtrare nel passato i
viaggiatori temporali trasformati in "dati". Questa
fastidiosa volgarizzazione della teoria scientifica più
sconvolgente e più empiricamente dimostrata della storia, non
impedisce all'autore di imbastire una avventura molto avvincente,
scandita dal conto alla rovescia della macchina del tempo. Se non
altro, la ricostruzione storica è molto più rigorosa: nel 1357,
durante la guerra dei Cento anni tra la monarchia inglese e
quella francese, nella Francia meridionale l'inglese ser Oliver
de Vannes, proprietario di un castello e di un centro
fortificato, deve subire l'urto militare dell'arciprete Arnaut de
Cervole, suddito del re di Francia. In questa situazione di
instabilità si inseriscono quattro viaggiatori temporali, che
rischiano la testa nell'ecatombe delle guerre dinastiche,
naturalmente presi per maghi data la loro capacità di utilizzare
zolfo e salnitro in funzione bellica. La costruzione narrativa è
troppo perfetta per essere credibile eppure, malgrado scontata,
non mancherà di strappare qualche brivido. Ammirevole la
ricostruzione d'ambiente.
Franco Ricciardiello
Soggetto
e sceneggiatura: Luca Enoch Disegni: Luca Enoch |
STORIE DI SPETTRI - Gea 3 |
Milano,
Sergio Bonelli Editore, 1999 pagg. 130, L. 4.300 |
Terzo appuntamento con Gea, questa volta alle prese con
uno spettro assassino.
Come per precedenti due numeri Enoch non ha lesinato nella trama
scene di vita quotidiana della bionda teenager; nello stesso
tempo sembra assolutamente deciso ad arricchire anche il
background "horror" della serie. Nei precedenti due
albi, infatti, avevamo visto Ardat-Lili, demoniaca nemesi di Gea;
questa volta vediamo il suo grottesco e ancor più diabolico
"principale"; Enoch ha inoltre deciso di farci
conoscere, seppure in maniera superficiale, altri baluardi
i "colleghi" di Gea.
Beh non cè molto altro da aggiungere
la trama come
al solito funziona, la storia non è di quelle "serie",
ma non cè nulla da disprezzare; quello che in un certo
senso continua a dar fastidio è il voler affrontare in maniera
un pò troppo facile temi come la pena di morte;
nellintroduzione allalbo Enoch risponde ad alcune
"accuse di buonismo", che ha probabilmente ripreso dal
forum it.arti.fumetti.bonelli. Quello che non quadra, secondo me,
non è il voler inserire nella storia un comprimario omosessuale
ed un portatore di handicap questi i temi di cui Enoch
parla nellintroduzione
quello che non va è che si
voglia affrontare questioni complesse come la pena di morte con
due frasettine banali. Cè da dire che la
"sviolinata" di questo numero è molto più blanda
delle precedenti, però in qualche modo può dare fastidio. Di
contro è interessante come lo scrittore abbia deciso di
affrontare il tema delle barriere architettoniche che impediscono
a Leonardo di andare ad un concerto; in quel caso è riuscito a
non scadere nel banale, mostrando il problema in maniera
naturale, senza una fastidiosa "morale spicciola".
Simpatiche le numerose citazioni: dai Simpson a X Files,
da Men in black a elementi della vita reale
dellautore.
Passiamo alla realizzazione grafica dellalbo. Per quando
riguarda la copertina direi che ancora non ci siamo: lidea
è sicuramente azzeccata, ma, vuoi perché la colorazione è come
al solito pessima, vuoi perché manca uno sfondo degno di questo
nome, il risultato è piuttosto mediocre.
Per quanto riguarda le tavole interne direi che il tratto di
Enoch continua a migliorare
non cè nulla che non
vada, le inquadrature sono scelte bene, le anatomie sono
credibili e persino le espressioni "deformate" di
alcune vignette sono totalmente azzeccate e contribuiscono a
caratterizzare meglio le scene ironiche dellalbo senza dar
fastidio. Accurato e azzeccato il character design degli altri baluardi
e delle creature demoniache introdotte in questo albo. Delude
invece, ancora una volta, luso dei retini
siamo
ancora lontani anni luce non soltanto dalle performance
nipponiche, ma anche dalle prove di altri cartoonist bonelliani
su albi come Nathan Never.
Per concludere un albo consigliato, soprattutto se si ha voglia
di leggere qualcosa di divertente e non troppo impegnativo.
Giovanni Delibra
Soggetto
e sceneggiatura: Stefano Vietti Disegni: Giancarlo Olivares |
ALFA - Nathan Never 107 |
Milano,
Sergio Bonelli Editore, 1999 pagg. 98, L. 3.500 |
Penultimo capitolo della Saga Alfa
ormai i nodi cominciano ad arrivare al pettine! È infatti giunto
il momento di scoprire il volto del fondatore dellAgenzia
Alfa, la mente che nel giro di pochi anni ha costruito la più
grande organizzazione di investigazioni private del pianeta.
Le rivelazioni di questultimo numero non sono piaciute
granché a Nathan e soci (cloni compresi) e sinceramente nemmeno
a me ovviamente per altri motivi.
La storia messa in scena da Vietti ormai divenuto uno
sceneggiatore regolare di Nathan - infatti non porta a nessun
inaspettato colpo di scena, ma si dipana secondo un cliché
abbastanza scontato, cui non sfugge nemmeno la fine dei cloni
degli agenti.
La sceneggiatura comunque presenta dei pregi che vanno
evidenziati: la prima parte dellalbo, che narra la discesa
degli agenti nei sotterranei dellagenzia, è caratterizzata
da un ritmo decisamente appropriato: una lenta esplorazione dei
sotterranei inframmezzata da improvvise accelerazioni: un
thriller in perfetto stile Alien!
Più fiacca invece la seconda parte della storia, quella con la
presentazione dellenigmatico Mr. Alfa che fra
laltro ricorda molto il "cattivo" di Grosso guaio a Chinatown.
Per il resto segnalo lennesima apparizione a fine albo di
Aristotele Skotos... personaggio che viene ostinatamente tenuto
in disparte dagli scrittori, in attesa di un ritorno in scena che
sembra sempre più remoto.
Passiamo alla realizzazione grafica dellalbo. Nulla di
speciale la copertina di De Angelis, anche se va segnalato il
discutibile risultato di inchiostratura e colorazione, che ha
praticamente spazzato via i volti dei personaggi.
Le tavole sono opera del bravo Giancarlo Olivares, disegnatore le
cui quotazioni sono in costante ascesa. Risulta infatti bravo
come al solito nella narrazione della storia (segno che o ha la
fortuna di lavorare sempre con un bravo sceneggiatore, o, più
verosimilmente, è in grado di dare un personale contributo alla
suddivisione delle tavole e alla scelta delle inquadrature).
Fedele al recente rinnovamento stilistico della testata, Olivares
ha creato ambientazioni estremamente hi-tech, cui ha saputo
sapientemente affiancare un opprimente labirinto sotterraneo,
decisamente azzeccato nellambito della storia. Buone anche
le espressioni dei personaggi e le anatomie. Gli unici aspetti
negativi che segnalo come al solito in maniera molto
pignola sono la mancanza di sfondi in alcune tavole.
Comunque mi sembra innegabile che il risultato globale sia più
che buono.
Adesso dovrei tecnicamente concludere con qualcosa tipo
"aspettiamo ora il finale della saga"... solo che il
finale lho letto due giorni fa, quindi senza indugio passo
direttamente allalbo successivo...
Giovanni Delibra
Soggetto
e sceneggiatura: Alberto Ostini Disegni: Ernestino Michelazzo |
DALLE CENERI - Nathan Never 108 |
Milano,
Sergio Bonelli Editore, 1999 pagg. 98, L. 3.500 |
Et voila, direttamente da qualche
riga più sopra, ecco a voi il deludente finale della Saga
Alfa.
Una volta tanto iniziamo parlando dellaspetto grafico
dellalbo, aperto dallormai usuale copertina di De
Angelis. Il disegnatore ha optato per una "foto di
gruppo" che mostri i dipendenti della nuova Agenzia Alfa.
Direi che si tratta di una scelta abbastanza azzeccata; a prima
vista si nota subito la presenza di Solomon Darver al posto di
Reiser e tre gemelle new entry di cui (s)parlerò abbondantemente
in seguito.
Le tavole dellalbo sono molto buone, realizzate da un
Michelazzo decisamente in forma; ammetto che non leggevo una sua
storia da parecchio tempo, e, da quanto ricordo, è migliorato tanto...
mi pare innegabile che la Bonelli, nel bene e nel male, abbia
lindiscutibile merito di aver fatto crescere
professionalmente una serie di disegnatori, permettendo loro di
affinare la propria tecnica.
Siccome però sono incontentabile come al solito, segnalo il non
proprio intrigante mecha-design dei nuovi flyer... sono, come
dire... un po' troppo retrò.
Passiamo adesso a parlare della storia. Le 98 pagine
dellalbo coprono un arco temporale di diversi mesi... il
periodo di tempo necessario per costruire la nuova Agenzia Alfa!
E già, Darver ha deciso di fare le cose in grande e di costruire
a tempo di record un nuovo Alfa Building. Nel frattempo non se
nè stato sicuramente con le mani in mano: ha impiegato il
tempo a disposizione costruendosi una serie di agganci politici
ed economici, necessari al futuro lavoro dellAgenzia.
Sigmund invece è passato attraverso una terribile crisi di
coscienza, dalla quale è uscito scoprendo parte della verità
sulla fine di Reiser. Ed è probabilmente la crisi di Baginov la
cosa più interessante della storia; Sigmund è un agente di cui
non si sa molto, raramente abbiamo avuto dei momenti
introspettivi come questo, che portassero a rivelare qualcosa di
più sullagente.
Fin qui direi che non si possa dire nulla di male della storia,
anzi
la parte di Siggy è decisamente intrigante, e si
conclude con una frase che mi ha stupito molto
non capita
spesso di vedere delle "parolacce" in un fumetto
Bonelli!
In generale, comunque, non si può dire proprio nulla di male
della storia di questo albo, al massimo potrebbe non piacere
perché "di passaggio".
Il problema, grande, sta proprio nella natura
dellevoluzione che sembra prospettarsi per lintera
testata. La Saga Alfa era stata presentata come un importante
turning point nelleconomia di NN, che per nove anni è
stato un fumetto "serio", con un protagonista
"musone" [Legs lo chiama così], caratterizzato da una
forte personalità e da una buona introspezione psicologica.
Se dovessimo dar retta alle "trovate" di questo numero
potremmo trovarci in futuro di fronte a una fantascienza da
paragonare più a Mazinga Z che a Blade Runner...
Perché? Beh innanzi tutto per il nuovo Alfa Building, che
ricorda tanto troppo la Fortezza delle Scienze
(Mazinga)... per i nuovi mezzi a disposizione dellAgenzia,
che hanno tanto in comune con le navicelle di Getter Robot o
Vultus V.... per le tre new entry di cui parlavo allinizio:
Harmony, Melody e Symphony Ross
lo "Stormo Alfa".
Costoro sono i tre nuovi piloti dellAgenzia, presentate da
Darver come "i migliori piloti sulla piazza", sono
state capaci di unentrata in scena così demenziale da far
passare una puntata di Pokémon per una prima del Macbeth; spero
sinceramente che la storia su di loro, annunciata per il prossimo
"Agenzia Alfa", possa smentire la prima, bruttissima,
impressione.
Non posso non segnalare, per concludere, la messa in vendita dei
"pupazzetti" degli agenti [qualcosa modello Barbie
& Big Gym], con tanto di May Fryan spogliabile e Al Goodman
che chiede un trashburger...
Se questo fosse il nuovo corso annunciato per la testata,
beh
fra tre mesi la mollo senza pietà, furioso per come un
buon fumetto, con 9 anni di buone storie alle spalle sia stato
distrutto.
Verosimilmente però, questo andazzo da cartone animato di serie
Z sarà una cosa momentanea, probabilmente nata e morta con
questo numero. A questo punto però è tuttaltro che bello
vedere che la sequenza di cinque mesi, presentata come la serie
che avrebbe rivoluzionato NN, in realtà non ha cambiato proprio
nulla... se non il volto e forse solo quello del
direttore dellAgenzia.
Non resta che attendere fiduciosi la fine dellanno, quando
finalmente dovrebbe tornare in scena Aristotele
portandosi
appresso un non proprio simpatico frugoletto nato
nellultima pagina di questo albo.
Giovanni Delibra
Soggetto
e sceneggiatura: Stefano Piani Disegni: Andrea Cascioli |
TORBIDO INTRIGO - Nathan Never 109 |
Milano,
Sergio Bonelli Editore, 1999 pagg. 98, L. 3.800 |
Riprendiamo direttamente da quanto detto
sopra: "a questo punto però è tuttaltro che bello
vedere che la sequenza di cinque mesi, presentata come la serie
che avrebbe rivoluzionato NN, in realtà non ha cambiato proprio
nulla..."
E tanto per non essere smentiti eccoci qui una storia che in
effetti sembra ignorare quanto successo nella Saga Alfa. Stefano
Piani infatti presenta una lunga storia di "vigilanza",
di quelle solitamente malviste dai lettori esclusivamente
appassionati di sf
tanto per spazzar via ogni dubbio, chi
scrive non appartiene alla categoria: ho sempre sostenuto e
apprezzato la doppia natura di NN, quindi non ho mai avuto nessun
problema nel leggere storie "noir" o
"gialle".
In particolare la storia di questo mese presenta Nathan e
compagni intenti a proteggere il Senatore Barrow, candidato
governatore alle prossime elezioni; parallelamente si svolge la
vicenda di Shadow, un giovane killer che appena uscito di
prigione, cerca di ritrovare lunica ragazza che abbia mai
amato.
La trama, devo dire, non è particolarmente esaltante; risulta
abbastanza scontata e perfino banale in certi punti, con un colpo
di scena finale abbastanza facile da intuire. Certo, ha delle
potenzialità perché probabilmente il politico di cui sopra
avrà un qualche ruolo nel futuro della testata, un po' come il
non_proprio_rimpianto sindaco Hoenzollern. Quello che in un certo
senso da fastidio della storia è il solito, banale,
discorso politico da uomo integro e incorruttibile di Barrow;
fortunatamente limpressione negativa viene mitigata da un
certo comportamento dello staff elettorale di Barrow,
tuttaltro che corretto [comportamento per il quale Nathan
si dimostra decisamente poco che entusiasta]. Sembra inoltre
continuare normalmente la relazione di Nathan con Hadija, segno
che gli sceneggiatori non vogliono sconvolgere troppo le cose...
Passiamo adesso allaspetto grafico della storia; la
copertina di De Angelis è in linea con la sua più recente
produzione; ben studiata a livello di inquadratura, ma colorata
maluccio esattamente come il resto della produzione
Bonelli, purtroppo. Cè poi da notare una fastidiosa
differenza fra il Barrow in copertina e quello delle tavole di
Cascioli; riguardo queste ultime notiamo subito come il
disegnatore abbia adottato due diversi stili: la classica matita
chinata per la storia vera e propria e un effetto
"sfumato", con qualche influenza "manga" per
i flashback che narrano il passato di Shadow. Direi che il
risultato è buono in entrambi i casi, sebbene
laccostamento possa risultare fastidioso.
Il character design risulta estremamente "azzeccato"
sia per i personaggi principali, sia per le "comparse"
sullo sfondo; le tavole sono ricche di particolari e le
inquadrature decisamente appropriate. Anche le espressioni dei
personaggi appaiono assolutamente naturali e credibili.
Una storia, quindi, un pò di passaggio, ma disegnata molto bene.
Segnalo in chiusura laumento generalizzato del prezzo di
copertina degli albi della Bonelli e luscita a fine mese
del nuovo numero di Agenzia Alfa.
Giovanni Delibra
Soggetto e disegni: Tsutomu Nihei |
BLAME! n°1 |
Modena,
Marvel Italia, Planetmanga, Collana Manga 2000 n.1,
aprile 2000 pagine 250, circa, L. 6.900 |
"Forse sulla Terra, forse nel
futuro". Questo lincipit che fa da sottotitolo a Blame!, più che illuminante su
quanto ci attende nel corso della lettura. In questo primo numero
infatti, poco o niente viene svelato. O poco o niente riesce a
far capire lautore, a proposito della storia. Questo è un
dilemma che verrà chiarito solo quando, leggendone gli altri
numeri, saremo in grado di esprimere un giudizio più completo e
circostanziato. Così speriamo. È il manga desordio, per
questo autore, e questa forse è una buona scusante. Tratto
inconsueto rispetto ai canoni imposti dal mercato nipponico,
forte, scuro, ma a volte incerto e confuso soprattutto nelle
scene dazione, su cui, spesso e malvolentieri, ci si deve
soffermare per qualche secondo prima di giungere ad una chiara
interpretazione del disegno. Uniniziale impostazione della
pagina poco fantasiosa, si evolve lentamente nel corso della
lettura lasciando spazio a buone trovate stilistiche, anche se a
volte lutilizzo della vignetta rimane un mistero
insondabile; ne sono un esempio i ripetuti e assolutamente
inespressivi ed insignificanti primi piani, gettati lì quasi a
voler riempire un po di spazio in mancanza di valide
alternative. Sì, ma la storia? La storia è insondabile tanto
quanto le intenzioni dellautore... una sorta di tutti
contro tutti, con il protagonista (Killy) che va in cerca di
esseri umani non modificati geneticamente, tra umani ostili,
cyborg, entità di silicio, ibridi mostruosi tra zombie e robot,
e tutto ciò che rimane indefinito nel corso dellalbo e che
pare avere come unico scopo quello di distruggere tutto e tutti.
Belle, affascinanti ed oppressive le ambientazioni, con grande
cura specie per gli edifici architettonici (lautore è
architetto), che fanno da costante sfondo a gran parte delle
vignette. Lodevole comunque liniziativa della Marvel
Italia, che si propone di importare prodotti di qualità (ed in
questo la casa editrice Kodansha dovrebbe essere una garanzia) ed
adulti, in un mercato assai rischioso ed in una veste editoriale
elegante e curata, e soprattutto insolita, che proporrà due
titoli alla volta che si alterneranno nel corso dei mesi fino
alla conclusione delle vicende.
Andrea Iovinelli
Soggetto e disegni: Tsutomu Nihei |
BLAME! n°2 |
Modena,
Marvel Italia, Planetmanga, Collana Manga 2000 n°3,
giugno 2000 pagine 225, circa, L. 6.900 |
Chi è Killy? È davvero un uomo? O
forse è solo un automa umanizzato? Qual è il suo lavoro, il suo
scopo, la sua missione? Cosa lo spinge ad agire e ad affrontare
missioni al limite dellimpossibile e del reale? Da dove
viene, e per andare dove? Chi o cosa cerca? Chi è il suo
mandante? Un singolo o unorganizzazione? Cosa vuole da
Killy? Perché ha scelto proprio lui per compire questa folle
impresa? E soprattutto, Killy, perché lo fa? Quali sono le sue
motivazioni? E ancora: che razza di pistola è, quella di Killy?
È veramente ineffabile ed immortale come sembra? Il mondo che
attraversa camminando lentamente, che mondo è? Sogno, finzione o
realtà? Avrà mai una fine? Cè un sopra o un sotto? Ci
sarà mai un confine, un limite? Cè ancora il cielo? E se
cè, sarà mai possibile riuscire a vederlo? Queste e molte
altre domande (indiscutibilmente senza alcuna possibilità di
risposta) vi si presenteranno inesorabili dopo aver concluso la
lettura del secondo volumetto. Blame!
è questo. Per ora è tutto una domanda, e ho il forte e brutto
presentimento che possa essere il suo unico vero scopo".
Killy avanza senza sosta in un mondo fatto di cunicoli, corridoi,
labirinti, scale interminabili, torri gigantesche, ponti sospesi,
e quantaltro la folle mente architettonica di Nihei possa
concepire, tra tubi, macerie, rocche, bulloni, computer, travi,
acciaio e materie organiche. Il decadimento sociale ed umano,
lemarginazione, la schiavitù e la sopraffazione, tra
mostri orrendi, cyborg assassini, mutati deformi e razze umanoidi
sconosciute, robot, intelligenze artificiali e bio-meccaniche,
accompagnano il viaggio del protagonista, presentandoglisi a
sorpresa (?) dietro ogni possibile angolo. Qui vige la legge del
più forte, la lotta per la sopravvivenza pare essere la sola
ragione di vita, e niente più. A Killy si aggiunge una compagna
di viaggio, e un qualche cosa di molto vago ed ambiguo viene
svelato, ma è nulla se viene rapportato alla mole di domande che
rimangono sospese a mezzaria. Il tratto del disegnatore
poi, volutamente o meno, non facilita certo le cose, con sequenze
"misteriose" o poco intelligibili. Blame!: un grande, enorme puzzle
irrisolto. Vi piacerà mai un tale fumetto? Lo saprete solo
leggendolo.
Andrea Iovinelli
Storia: Go Nagai Disegni: Ken Ishikawa |
GETTER ROBOT SAGA - vol. 1 |
Bologna,
Dynamic Italia, Dynamic Manga n.7, marzo/aprile
2000 pagine 244, L. 6.900 |
Per la gioia di tutti quei ragazzi -
ormai quasi ometti - che di Getta Robot
e dei tanti pomeriggi consumati a nutella e cartoni animati
conservano un nostalgico, indelebile ed affettuoso ricordo, ecco
che viene proposta la trasposizione italiana del manga del
suddetto anime. Il lancio della versione cartacea avviene quasi
in contemporanea con quello di una nuova serie di OAV (cartoni
per il solo mercato dellhome video) di Getta, curati allestremo
nella forma e nei contenuti. Altrettanto dunque eravamo portati
ad aspettarci, sia per la maturità e la crudezza della storia,
opera del papà Nagai, che tra una più ampia libertà
despressione tipica di questo medium, avrebbe così potuto
sbizzarrirsi più facilmente senza sottostare più di tanto alle
leggi del mercato nipponico dellanimazione, sia per
laccuratezza nei disegni, frutto di un autore certamente
nato con mano assai più felice del suo esimio collaboratore.
La cura editoriale e la confezione sono preziose così come il
prezzo concorrenziale, nel rispetto della ormai consolidata
tradizione Dynamic che vuole la casa bolognese facilmente
associata al sinonimo di "alta qualità". La storia
riprende uno dei temi classici della SF: una razza primordiale
dominava la Terra ben prima degli umani, la specie degli hachu
(rettile); questi, improvvisamente, decidono che è venuto il
momento del riscatto e procedono senza che nessuno apparentemente
sia in grado di fermarli, nel progetto di sottomissione
delluomo. I soli in grado di bloccare la loro minaccia di
sterminio, sono il prof. Saotome, Ryo e Hayato, che grazie al
progetto Getter (in pratica
un mega robot multi-trasformabile) si ergono quali paladini
dellintera razza umana. Ciò che manca e delude invece, a
mio avviso e a dispetto del contenente, è il contenuto. La
promessa è quella di una storia matura, più adulta della
semplicistica ed amorevolmente ingenua prima versione
cartoonistica, ma almeno in questo primo volume, ciò che
dovrebbe tradursi in una più attenta narrazione ed in una
introspezione più approfondita, finisce solo nello scaturire
solo in una sequenza scialba, insensata, inverosimile e fine a se
stessa di scene di violenza gratuita. Peccato. Lidea di
veder trasformato Getta in
una storia più matura, stimolava parecchie aspettative che
immancabilmente però vengono deluse. Lettura consigliata ai soli
fanatici di Getta, o
dellosannato Go Nagai in genere, e a chi vuole una lettura
di puro intrattenimento fatto di tutta azione (che certo, ed è
un bel merito, non manca ed avvince).
Andrea Iovinelli
Soggetto e disegni: Hiroki Endo |
EDEN! n°1 |
Modena,
Marvel Italia, Planetmanga, Collana Manga 2000 n°2,
maggio 2000 pagine 250, circa, L. 6.900 |
La nuova collana proposta dalla Marvel
continua a stupire favorevolmente almeno per un particolare: i
manga che ci sta presentando sono "freschi" ed
inusuali.
Il fumetto esordisce con due belle e lapidarie epigrafi che lo
introducono in modo esemplare ed evocativo: "È un mondo
senza fine!", recita rassicurante la prima; "Dio creò
luomo, ma ha decisamente fallito", tuona folgorante ed
angosciante la seconda. Ed il fumetto è racchiuso tutto in
queste due frasi. Gli abitanti della Terra vengono decimati da un
terribili virus. Hana, Enoa e Rain, rifugiatisi allinterno
di un ex centro di ricerche abilitato proprio alla distruzione
del morbo, sono tra i pochi sopravvissuti. Questo lincipit
di una storia che si snoderà in modo insolito nel prosieguo
della narrazione e che sorprenderà in più parti. I salti
temporali e spaziali sono numerosi, ma non spiazzano il lettore
grazie ad un intreccio semplice ed attento quanto ben articolato
e curato. Il tema sfruttatissimo dellolocausto, da sempre
al centro dellattenzione degli autori giapponesi più o
meno giovani (e giustamente, aggiungerei io...), qui viene
trattato e rielaborato in modo assai originale, o quantomeno
personale. Almeno in questo primo numero, sia chiaro. Sulla trama
non oso sbilanciarmi di più, pena lo svelarne particolari
fondamentali che finirebbero solo col rovinarvi il gusto della
lettura. Il disegno di Endo è particolareggiato, curato e
preciso, anche se privo quasi totalmente di ombreggiature o
tratteggi e con una retinatura ben dosata, ma a tratti diviene
appena abbozzato, specie negli sfondi che vengono più volte
abbandonati a più comodi spazi bianchi, certamente non privi di
un loro senso in alcune rare parentesi. La fisionomia dei volti
soprattutto, è anomala nel panorama fumettistico giapponese:
allungati nei menti, "pallidi", senza ombre a curarne
le curve, magari provocheranno un iniziale senso di smarrimento
nella lettura che presto si dissolverà in un facile adattamento
visivo. Sì, insomma, anche se non saranno di vostro gradimento,
finirete col farci labitudine e ad apprezzarli. Particolare
la forma espressiva scelta dallautore, che usa molto spesso
suddividere la pagina in tre semplici e larghe vignette
orizzontali alternandole ad altre in cui i margini appaiono
sempre racchiusi allinterno di una geometria regolare,
schematica e di facile lettura. Tre, quattro o cinque vignette,
sembra essere la misura preferita di Endo, che dà così alla
trama quel taglio agile e cinematografico che spesso si ravvisa
nelle opere del Sol Levante e che gli conferisce una lettura
veloce ed immediata. Sinceramente consigliato.
Andrea Iovinelli