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Ecco l'inferno nel corpo


di Maurizio Porro


Il regista di «Flashdance», «9 settimane e mezzo», «Attrazione fatale», di alcuni sicuri successi multinazionali, gioca un jolly; Con un thriller fantastico che promette e offre ex aequo orrori e disfacimenti fisici, morali e psicologici, chiamando garanti gli incubi pittorici di Bosch o Bacon. L'allucinazione perversa di cui nel titolo (in originale «Jacob's Ladder», La scala di Giacobbe) è una di quelle che ossessionano Jacob Singer, soldato americano laureato in filosofia, reduce dal Vietnam, impiegato come postino a New York.

In un continuo alternarsi di reale e surreale, la vittima di guerra vive con l'io diviso, è preda di atroci incubi metropolitani, curati con bagni di ghiaccio, soffre di mal di schiena - come Mia Farrow in «Alice» - cui rimedia un paziente pranoterapeuta, vive con una collega ma rimpiange e sogna la prima moglie e i figli (di cui uno morto in un incidente), e nella vita di tutti i giorni non trova che segnali di un gigantesco complotto. Colpa, come affermano gli altri amici tornati dal fronte, tra cui due sono già morti in circostanze misteriose, di qualcosa di atroce subito in guerra: l'uso, sempre negato dall'esercito americano, di armi chimiche e gas allucinogeni.

Ma la spiegazione sarà ancora oltre, e spiazza qualunque talento deduttivo dello spettatore comune. Un segnale può essere offerto dal nome dello sceneggiatore, Bruce Joel Rubin, lo stesso di «Ghost», giacché anche «Allucinazione perversa» si inserisce, con una sua valenza particolare, nel filone paranormale del momento e lo coniuga con il «Vietnam movie». A Lyne interessa il mosaico dei generi e il processo di simbiosi tra conscio e inconscio, ben espresso dal suo noto e immaginifico talento visivo, che qui riesce ad evitare l'assonanza con lo spot, suo primo amore.

In realtà la pecca maggiore di un film peraltro curioso, personale e non gratuito (parlare oggi di armi chimiche è un effetto speciale che non passa inosservato) è la tortuosità degli eventi, la macchinosità del gioco delle scatole cinesi e il manierismo dell'inferno rappresentato. Ma il doppio sogno di questo Jacob, cui l'attore Tim Robbins (il torello di «Bull Durnam») offre una bella sopportazione ora biblica ora furiosa, è stimolante e riesce a organizzare la realtà nuovayorkese come un incubo nato il 6 ottobre del '71 sul delta del Mekong.

Pur irrisolto a livello di accusa morale, il film di Lyne tiene desta l'attenzione, anche disseminando il cammino di qualche truculenza gratuita,· come quell'ospedale dove sono sparsi 200 chili di protesi umane. Il sospetto resta quello del manierismo, ma va dato atto al regista di aver tentato la strada non facile di un'inquietudine che nasce dal profondo, dove la guerra si combatte anche contro il peso della memoria.






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