Odissea nello spazio delle scimmie guerriere
di Maurizio Porro
Fu Charlton Hesion, allora 43enne, il primo a innamorarsi del romanzo di Pierre Boulle (lo stesso autore del "Ponte sul Kwai") "Il pianeta delle scimmie", e nel '67 ne rilevò i diritti, affidò il progetto alla "Fox", che lo mise in cantiere con la regia di Franklin Schaffner, il regista di "L'amaro sapore del potere", "Patton" e "Papillon". Quando il film uscì, il successo fu immediato: 15 milioni di dollari di incasso (oggi, con l'inflazione, sarebbero il doppio, circa 40 miliardi di lire), mentre nella stessa stagione "2001: odissea nello spazio" ne incassò solo otto e mezzo, anche che se, alla distanza, Kubrick ha poi recuperato molte posizioni.
La Fox, che stava dissanguandosi con musical ricchi e deficitari come "Hello, Dolly", tirò un respiro di sollievo: e, dal '68 al '73, mise in cantiere altri quattro film ispirati allo stesso soggetto, cui seguirono poi anche due serial televisivi, in un'epoca in cui ancora non si usavano molto, come invece accade oggi, i bis e i tris dei grandi successi.
Da stasera alle 22 la Rete 2 presenta tutti e cinque i capitoli di questa saga scimmiesca, che resta uno degli episodi più curiosi della fantascienza degli anni Settanta: e si inizia naturalmente con il capostipite, "Il pianeta delle scimmie", che rimane anche il film migliore. Nel raccontare la storia di alcuni astronauti che giungono, nel 3972, in un pianeta misterioso dove il potere è nelle mani di una razza evoluta di scimmie che ha sterminato il genere umano (Darwin alla rovescia), Schaffner ci mise mistero, suspense, senso del grottesco e molta astuzia. Anche se il colpo di scena fondamentale della storia è esattamente nell’ultimo minuto di proiezione, tutto il film si fa seguire con attenzione. La lotta tra civiltà e preistoria ha un suo particolare humour e il gusto del fantastico domina lo schermo: tutte doti che si andranno via via affievolendo nelle puntate posteriori, dove spesso prende il sopravvento la parabola morale, e si discute di lotta tra scienza e morale, di bomba atomica, insomma dei massimi sistemi. Più si va nell’ideologico, più si perde il senso del fantastico e l'avventura si fa ripetitiva.
Alla base del successo c'è il creatore degli effetti speciali - oggi il re di Hollywood -, in questo caso il designer del make-up, lo straordinario truccatore John Chambers che, per aver trasformato attori in carne ed ossa (Roddy McDowell, Kim Hunter e molti altri) in carne ed ossa di scimmie, ebbe un compenso di un milione di dollari e vinse nel '68 un Oscar Speciale.
Chambers aveva disegnato i profili animali sui volti ingranditi degli attori, poi eseguì i calchi dei visi. Sulle maschere di creta vennero scolpiti i lineamenti scimmieschi. Di ogni maschera si fecero altri calchi (ciascuno del peso di 23 chili) e in essi venne colata una schiuma di gomma per permettere alla pelle di respirare.
Quattro ore di lavoro al giorno per una troupe che contava 200 persone tra tecnici e truccatori.
Il risultato ormai "classico" del primo episodio, forte della novità, si andò esaurendo nei film successivi, anche perché Heston si ritiro dalla partita pur continuando a fare fantascienza, e la regia passò ad altri autori di buon nome, ma non certo geniali: "L'altra faccia del pianeta delle scimmie" è del compianto Ted Post, "Fuga dal pianeta delle scimmie" porta la firma di Don Taylor e Jack Lee Thompson ha diretto gli ultimi due titoli, "1999: conquista della terra" e "Anno 2670: ultimo atto".
Questa "saga" che si sposta nel tempo e nello spazio, ha comunque lasciato il segno tra i cultori della fantascienza, specie in un decennio in cui questo genere di cinema ha spodestato i risultati del box office con i kolossal tipo "Guerre stellari". Ma le «fantascimmie» pretendono un messaggio sulla civiltà di oggi che è estraneo alle grandi avventure dello spazio più recenti: in questo senso sono un passaggio intermedio tra il capolavoro di Kubrick e i magistrali film di Lucas e Spielberg. E c'è da scommettere che avranno passando ora sul video, consensi e stupori popolari.
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