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Tintin "perfettino" ma freddo senza l'ironia di Indiana Jones


di Paolo Mereghetti


Spielberg, un «quasi-cartoon» che non coinvolge


No, Tintin non è il «nuovo» Indiana Jones, nonostante le citazioni e gli sforzi che Spielberg (regista) e Jackson (produttore) hanno profuso. Non ha la stessa capacità di coinvolgere, di «trascinare» lo spettatore dentro la storia, senza aggiungere che in quanto a simpatia l'eroe di Hergé è (per chi scrive) lontanissimo da quello creato nel 1981 da Kauffman e Lucas. Per una ragione, soprattutto: perché è una specie di contraddizione in termini cercare di identificarsi (e appassionarsi) a un «cartone animato», per quanto tecnologico, tridimensionale e motion capture. Ci sarà sempre tra lo spettatore e lo schermo una specie di insormontabile frattura fatta di freddezza e diffidenza, che impedisce (che a me ha impedito) di "sospendere l'irrealtà" e trasportarmi davvero dentro il film. Con Indiana Jones succedeva e ci si appassionava, schierandosi con lui contro i cattivi di turno, con Tintin non succede e ci si ferma all'ammirazione per i progressi tecnologici che sta facendo l'animazione digitale.

Senza dimenticare che quando l'azione ingrana davvero, ormai è passata ben più di una metà del film, dopo un inizio troppo macchinoso e «didascalico» nel suo bisogno di illustrare i personaggi di Hervé e familiarizzare lo spettatore con le loro caratteristiche e i loro difetti. Probabilmente era uno scotto obbligato, visto che le avventure dell'intrepido ragazzo col ciuffo all'insù sono conosciute soprattutto in Europa e da un pubblico un po' agé, che non è certo quello di riferimento per le mega-produzioni spielberghiane. Ma tant'è.

Per «imporre» questo Le avventure di Tintin. Il segreto dell'Unicorno, gli sceneggiatori Steven Moffat, Edgar Wright e Joe Cornish hanno saccheggiato anche altri album del disegnatore belga (Il tesoro di Rackham il rosso e Il Granchio d'oro) così da rimpolpare l'azione che inizia nella Vecchia Europa, in un mercatino antiquario dove Tintin acquista un modellino di veliero che nasconde un segreto, continua nell' oceano Atlantico, su una nave che il cattivo Sakharine ha rubato all'etilico capitano Haddock, prosegue in Marocco, alla corte di uno sceicco melomane, e si conclude (momentaneamente) al punto di partenza, dopo aver scoperto un assaggio del favoloso tesoro che un antenato di Haddock avrebbe perso in mare.

Lasciamo ad altri l'analisi filologica dei rapporti tra disegno originale e film finito. Delle avventure a fumetti, avevo apprezzato (in altri anni) soprattutto la pulizia e l'eleganza del disegno (la «ligne claire» che lo aveva reso celebre), meno il carattere fin troppo saccente del giovane protagonista, che finiva per aiutarlo a superare tutti gli ostacoli. Spìelberg ha smussato questa caratteristica, sottolineando invece la dipendenza dall'alcol di Haddock, che finisce per diventare il vero protagonista del film, più simpatico e accattivante perché meno perfettino di Tintin, Ma continuo a pensare che la tecnica del motion capture non basti da sola a rendere credibili e “realistici” i personaggi e che il sorriso ironico di Harrison Ford sia ancora irraggiungibile per qualsiasi algoritmo digitale.






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