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Biancaneve e i sette piccoli oscar


di Gianalberto Bendazzi


Erano tutti veterani del mestiere, eppure applaudivano ogni cosa che vedevano e sentivano, come bambini al loro primo film. Era la sera del 21 dicembre 1937. A Hollywood, al Carthay Circle Theatre, i più famosi produttori e registi, i divi come Clark Gable, Carole Lombard, Judy Garland, Marlene Dietrich, Douglas Fairbanks, assistevano, in «prima» di gala, a «Biancaneve e i sette nani» di Walt Disney. Il record lo raggiunse Fairbanks, che era talmente entusiasta da applaudire anche quando sullo schermo non succedeva niente. E Disney dov'era?

Era fuori. Non riusciva a reggere l'emozione, e stava nell'atrio. La prima volta che sentì delle risate, mandò dentro un amico per capire “Questi ridono perché è comico, o ridono di noi?”, Fu meno emozionato mesi dopo, quando ritirò gli Oscar. Sì, «gli» Oscar: nell'occasione gliene diedero otto, uno normale per Biancaneve, e sette più piccoli, per i sette Nani.

«Biancaneve» era il primo lungometraggio a disegni animati americano. Fu un successone di quelli memorabili, tanto di critica quanto di pubblico. Nei soli Stati Uniti incassò, alla sua prima uscita, oltre 8 milioni di dollari; dollari d'anteguerra, non svalutati, e con i biglietti a venti centesimi. Fu immediatamente venduto all'estero, e a Parigi resse il cartellone per il tempo record di 31 settimane.

Per l'edizione italiana la casa produttrice ebbe una delicatezza particolare: filmò da capo le scene in cui comparivano delle scritte (come per esempio quella della camera da letto dei Nani, dove ognuno dei giacigli reca il nome dell'occupante) sostituendo quelle originali con scritte in italiano. Il film venne in seguito ripresentato parecchie volte, man mano che le nuove generazioni arrivavano in età da... schermo, e il totale degli incassi sfiora oggi i 90 milioni di dollari.

Successo pieno, dunque, e freschezza artistica invidiabile («Biancaneve» è uno dei pochissimi film che, vecchi di cinquant'anni, possono venire presentati al pubblico in concorrenza con i film appena prodotti). Ma per arrivarci ci vollero molti sudori: quelli caldi di fatica, e quelli freddi d'apprensione. Tutto era cominciato nel 1934. Una sera, Disney aveva convocato i suoi fedelissimi e aveva loro raccontato questa favola dei fratelli Grimm, che, nella sua forma scritta, era breve, non molto avvincente, e popolata di Nani che non avevano neppure un nome. Sentiva comunque che era la carta vincente.

«Sarà il nostro primo lungometraggio», annunciò, «e ci costerà 250.000 dollari». Ne costò, alla fine, 1.488.423. Disney era un perfezionista esasperante, e uno sperimentatore strenuo. Inventò o fece inventare effetti speciali, macchinari nuovi, ombreggiature, profondità di campo, e chi più ne ha più ne metta. Fece girare da capo decine di volte le scene che non lo soddisfacevano.

Tenne al lavoro per tre anni 750 artisti, più gli sceneggiatori, i tecnici, i musicisti, gli amministratori.

Un brutto giorno suo fratello Roy, cervello finanziario dell'azienda, gli annunciò: «Siamo al verde. Se la Bank of America non ci fa credito, è finita». In fretta e furia fu deciso di proiettare il film, in versione ancora rudimentale e rappezzata, al gran capo della banca, nella speranza di convincerlo. Joseph Rosenberg (tale era il suo nome) guardò il film senza scucire una parola. Poi si alzò, scese le scale, si diresse verso la sua macchina.

Walt gli andava dietro, col cuore in gola. Salì, mise in moto, chiuse la portiera. Poi tirò giù il finestrino: «Sa, Walt, quel suo film ... farà una valangata di soldi!»,

Ma non era finita. All'epoca della prima proiezione non ufficiale, Walt ebbe un sobbalzo: l'immagine del Principe Azzurro, mentre questi si chinava a baciare Biancaneve, sfarfallava leggermente. «Rifare, rifare tutta la scena!», fu l'ordine immediato. Roy Disney prese il fratello per il bavero: «Sai quante migliaia di dollari ci costerà?» Walt s'incaparbì.

Roy urlò: «Non voglio fare bancarotta proprio adesso. Lascia sfarfallare il Principe!».

Fu l'unica volta che Walt obbedì invece di comandare. E il Principe sfarfalla ancora oggi.






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