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Fantasmi dark e magie nere per essere (sempre) la biù bella


di Paolo Mereghetti


Piccolissimi astenersi ma per adolescenti disposti a fuggire dalle gabbie troppo rigide del «realismo verosimile», questa Biancaneve e il cacciatore può riservare qualche bella sorpresa. A cominciare dalle due interpreti femminili, Kristen Stewart (la principessa Biancaneve) e Charlize Theron (la regina - cattiva - Ravenna), entrambe impegnate a «combattere» l'immagine grazie a cui si erano imposte: quella di una bellezza radiosa e vitale per la Theron e quella di una fragilità sottomessa ed esangue per la Stewart.

Libera ma non gratuita rilettura della fiaba dei fratelli Grimm, la sceneggiatura di Evan Daugherty, John Lee Hancock e Hossein Amini accentua la componente «nera» che già aveva scatenato pianti e terrori nella versione Disney (di tutti i lungometraggi animati voluti da papà Walt era sicuramente il più orrorifico, con una strega impressionante per bruttezza e cattiveria: forse un po' troppo visto che nei film successivi quella componente horror, spesso presente nelle fiabe, era stata drasticamente ridimensionata).

Un percorso lungo il quale si era già cimentato Terry Gilliam, ma con minor fortuna e coerenza.

L'esordiente Rupert Sanders, invece, riesce a indovinare il giusto equilibrio tra la fascinazione favolistica, le leggi della rilettura (con l'inevitabile bisogno di sorpresa) e la voglia di offrire qualche riflessione «contemporanea».

Appartiene a quest'ultima categoria la sottolineatura del tema della bellezza e di quello che si è disposti a fare per conservarla. Nel film, la regina Ravenna mette quasi subito a parte lo spettatore del suo odio per l'uomo (di cui ha subito violenze e tradimenti in passato), uccidendo il marito la prima notte di nozze e facendosi accompagnare da un fratello ai limiti dell'incesto (Sam Spruell), proprio per rivendicare con orgoglio il suo disprezzo per l'altro sesso e la sua determinazione a non perdere né bellezza né giovinezza. Certo, c'è anche la solita maledizione delle favole (solo una donna altrettanto bella potrà sconfiggere i suoi poteri, da cui l'odio per Biancaneve ... ) ma l'ossessione dell'invecchiamento, con tutto quello che si può fare per «rubare» la bellezza a chi la possiede, non è certo un tema privo di risonanze attuali. E che dà origine a due delle scene più immaginifiche (e belle) del film, quella in cui Ravenna «aspira» giovinezza e bellezza dall'anima di una malcapitata prigioniera e quella, ancor più inquietante, in cui Biancaneve in fuga dalla matrigna capita in un villaggio di sole donne (gli uomini sono tutti alla guerra) che per evitare di accendere le voglie della regina arrivano a sfregiarsi i volti fin dalla primissima età. Perché un'altra delle qualità di questa nuova versione della favola tedesca (decisamente migliore del rifacimento kitsch firmato Tarsem Singh poco tempo fa, quello con Julia Roberts nei panni della regina cattiva) è proprio la capacità di saper trovare modi e forme inedite e affascinati per sviluppare le potenzialità che nasconde dentro di sé un racconto fantastico. Così il cacciatore (Chris Hemsworth) diventa quasi subito un protagonista a pieno titolo della storia, affiancandosi al compagno di giochi di Biancaneve fuggito dal castello all'arrivo della regina cattiva, il principe William, che ritroviamo cresciuto (Sam Claflin) e paladino di chi si oppone allo strapotere di Ravenna.

Da soli o insieme accompagnano la principessa detronizzata in un lungo percorso di «presa di coscienza», attraverso il buio della Foresta Oscura o la luce della Foresta illuminata delle fate, fino a farsi carico della propria missione di guida del popolo oppresso. Naturalmente, subito dopo aver ricevuto l'inevitabile bacio salvifico, quello che la ridesta dalla morte in cui l'ha precipitata la mela avvelenata.

Senza svelare troppo la trama che rispetta i momenti canonici della fiaba ma li supera con una bella fantasia (grazie anche alla fotografia di Greig Fraser, ai costumi di Colleen Atwood, alle scenografie di Dominic Watkins), centellinando quei jokes che ormai sembrano un obbligo nelle riletture hollywoodiane (qui c'è solo una dimenticabile allusione «sessuale», quando il cacciatore per facilitarle la fuga strappa la gonna a Biancaneve, che pure ha sempre indosso pantaloni e stivali) e inventando un finale di riscatto militare che fa dell' eroina una specie di Giovanna d'Arco delle favole (offrendo così anche ai nani l'occasione per riscattare la rabbia con cui sono entrati in scena), questa versione di Biancaneve si sforza soprattutto di ritrovare uno spazio alla fantasia narrativa che superi i limiti canonici dei generi e sappia portare una qualche novità nel panorama sempre più standardizzato di Hollywood.






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