Se i Tir vanno all'attacco
di Maurizio Porro
Stephen King, dopo aver giocato col brivido sulla carta stampata, vendendo oltre 50 milioni di copie di libri best seller spesso tradotti con successo anche al cinema (da Carrie a Shining, da Christine alla Zona morta, da Cujo all'Occhio del gatto), prova ora in prima persona con il cinema, dopo aver fatto un breve apprendistato in «Creepshow» dell'amico Romero.
Di Brivido ("Maximum overdrive") il fortunato scrittore 39enne è ideatore, sceneggiatore e regista, ma dispiace dire che questa volta manca tutti i bersagli. Pur prendendo spunto da un suo racconto ("Camion", che fa parte della raccolta «A volte ritornano» edita da Sonzogno), e quindi giocando in casa con le proprie angosce, i propri incubi, il proprio stile, King si affida a una bella idea (ma non nuova: da che cinema è cinema le macchine si ribellano all'uomo, siamo in tempi moderni o modernissimi) che poi non riesce a risolvere in termini di cinema.
La vicenda prende spunto l'anno venturo nel North Carolina, quando, improvvisamente, forse per colpa di una cometa (ma alla fine si saprà che il colpevole è un grosso Ufo), i computer impazziscono e le macchine proclamano la rivoluzione contro gli esseri umani. Un ponte levatoio si innalza provocando una strage di auto, un distributore di aranciate uccide a colpi di lattine, l'asciugacapelli miete vittime tra le signore e un coltello elettrico si mette diabolicamente in moto: è l'apocalisse del medioevo prossimo venturo.
Ma sono soprattutto i Tir, forse offesi anche dai recenti provvedimenti nostrani, che dichiarano guerra: autotreni senza guidatori viaggiano a velocità folle facendo scempio e inseguendo i malcapitati increduli. Poco alla volta la storia si organizza come in un western, dove i "bianchi" (qualcuno colpevole, qualche altro di buon cuore) sono assediati nel posto di ristoro autostradale «Dixie Boy Truck Stop» e devono fronteggiare gli attacchi folli e assurdi dei camion "indiani".
La palma della gloria va a un giovinetto, Bill che, appena uscito di galera, dimostra di volersi redimere (lo interpreta Emilio Estevez, figlio di Martin Sheen, attore emergente con una bella faccia da ragazzo impegnato nelle cose della vita), mentre intorno a lui si muove scomposta una piccola folla di piccoli nevrotici di provincia, tra cui uno sposino e una sposina che vivono una strana luna di miele.
Tra eccessi di orrore, i Tir, presa la rincorsa, non hanno pietà per nessuno - e qualche sfumatura metafisica che fa rimpiangere il vecchio «Duel» di Spielberg, Brivido soffre di una sceneggiatura sgangherata, di psicologie banali e di poca grinta nel montaggio. Resta quindi da provare qualche emozione epidermica, mentre il film scorre via senza lasciare traccia, senza farci chiedere perché, senza che un espediente del terrore si tramuti davvero in apologo contemporaneo. Assordati dalla musica hard rock di AC/DC, usciamo frastornati ma non convinti: tanto sangue, ma ci è sempre sembrato vernice o pappa di pomodoro, il che significa che qualcosa non ha funzionato.
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