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Il fascino pericoloso del Male e Joker resterà nella storia


di Paolo Mereghetti


Non era facile reinventare un mito così strutturato e insieme così lineare come quello di Batman. Se il fumetto di Bob Kane aveva perso ben presto il suo «lato oscuro» (l'uso delle armi, che ne facevano un "fuorilegge", durò solo due anni, fino al 1941), la rilettura cinematografica operata da Tim Burton nel 1989 gli diede quelle componenti neogotiche e claustrofobiche che ne facevano una specie di eroe post-moderno, solitario e infelice come i suoi antagonisti.

Quando nel 2005, Christopher Nolan decide di ripartire da zero (non a caso il suo film si intitolava Batman Begins), si trova a dover creare una «mitologia» facendo tabula rasa del passato per inventare un nuovo vendicatore mascherato, che si rivelerà meno fumettistico - nonostante i debiti con gli album di Denny O'Neil & Neal Adams e di David Miller & David Mazzucchelli - e risolutamente più adulto. E forse ci voleva proprio un regista inglese per mettere al centro del personaggio e del film quel senso di colpa «connaturato» alla cultura americana che in nome della propria opulenza si sente in debito verso i meno fortunati. E sa per esperienza che il Bene non è mai separato dal Male.

Così, quando la Warner gli affida una nuova produzione, Nolan può permettersi - per la prima volta - di «cancellare» il nome Batman dal titolo e costruire tutto il film sulla tentazione del Male e il pericoloso fascino della Vendetta. Inventando ex novo un antagonista che lascerà un segno nella storia dei «cattivi» cinematografici: lo sfregiato Joker, l'ultimo personaggio interpretato (fino alla fine) da Heath Ledger prima della prematura morte.

È lui l'anima dannata del film - narrativamente ma anche filosoficamente - ed è lui l'antagonista capace di far esplodere le contraddizioni che ognuno si porta dentro. A cominciare dai tre paladini della giustizia che cercano di opporvisi: Batman, naturalmente (affidato come nel film precedente a Christian Baie), e poi l'onesto poliziotto Gordon (Gary Oldman) e l'ambizioso procuratore Dent (Auron Eckhart).

Nella lotta che i tre conducono, non senza conflitti reciproci, contro la mafia e il suo impero economico entra a sorpresa proprio il Joker che si offre alla malavita come l'unico capace di fermare Batman.

Anche se ben presto il suo «compito» si trasforma in una guerra senza quartiere contro l'ordine costituito e l'umanità tutta, di cui si diverte a far emergere l'egoismo e la voglia di violenza e cattiveria.

E proprio questa apologia del Male diventa il tema centrale del film, con l'eroe negativo che teorizza lo scontro per lo scontro e il caos per il caos, mescolando parole d'ordine anarchiche a suggestioni situazioniste. Mentre i tre eroi «positivi» sono costretti a fare i conti con i limiti e il senso delle loro azioni, continuamente messe in discussione da una voglia di vendetta che finirà per travolgere tutto o quasi.

In questo modo il film si colora di echi apertamente langhiani (ogni uomo nasconde in sé un potenziale assassino), che finiscono per concretizzarsi nell'esplicita citazione della Gloria Graham del Grande caldo, con il volto metaforicamente diviso in due metà, una affascinante e una orripilante. Come infatti succederà al viso del procuratore Dent dopo l'esplosione da cui Batman lo strappa mentre avrebbe voluto salvare Rachel (Maggie Gyllenhaal), la donna amata da entrambi: da un lato conserva il suo volto fiducioso e positivo, dall'altro il fuoco accentua la smorfia orrida e criminale di un essere crudele e vendicativo.

E questa idea del volto come indice di moralità (specchio dell'anima?) finisce per diventare una delle chiavi di lettura del film, dall'ossessione di tanti per smascherare il vero volto di Batman (nuova variante del vecchio «farsi vedere a volto scoperto») al trucco sbavato e ferino di Joker. Che proprio in quella specie di maschera «non finita», con il rossetto che non rispetta più i lineamenti della bocca e delle cicatrici e la biacca che non copre le rughe e le asperità del corpo, trova la perfetta messa in forma dell'ambiguità e dell'indeterminatezza morale che lo identificano.

A cui Ledger aggiunge una recitazione sapientemente inquietante che ha giustamente lasciato il segno e che lo candida a ricevere il secondo Oscar postumo della storia, dopo quello a Peter Finch per Quinto potere.

E se alla fine il messaggio di un bambino e il comportamento delle persone stivate nei due traghetti sembrano lanciare un messaggio di speranza e di fiducia nei comportamenti del genere umano, la vera morale del film resta quella di una ambigua lezione sul «lato oscuro» della vendetta e sui limiti che si possono raggiungere per piegare il Male ai fini del Bene. Anche a costo di tradire la verità.


***da non perdere






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