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A caccia di emozioni nel caos


di Maurizio Porro


Cosa si fa mentre si aspetta la fine del mondo? Appena scansata la iettatura dei Maya, arriva Lorene Scafaria, una gentile sceneggiatrice (Nick e Norah), cantautrice neo regista sopravvissuta alla vita del New Jersey, ad avvertirci che è prossimo e inevitabile lo scontro di un enorme asteroide largo 110 chilometri con la Terra proprio nella stesa notte in cui scatta anche l'ora legale.

Il campione di umanità che la commedia sentimentale prende in esame è un po' ridotto ma ha i suoi palpiti: un agente assicurativo fresco di abbandono, perché la moglie quando sa che sono gli ultimi 21 giorni di vita dell'umanità lo pianta in asso; la classica svitata della porta accanto che gli entra dalla finestra con coperta colorata addosso. Complice una lettera di un primo amore consegnata con ritardo, Dodge parte con Penny, lui a cercare il flirt della gioventù completo di illusioni, lei parte per passare il finale di partita in famiglia. Chiaro, no?

Non tutto, anzi quasi nulla andrà come previsto ma in compenso i due trovano come passare l'ultimissimo dell'anno prima che una luce fulminante annunci the end anche per il pubblico. Su un'idea apocalittica non certo nuova, il film fa le fusa parecchio ma non si muove da uno standard medio di prevedibilità sentimentale, complice la minaccia dell'ultima volta si cerca una casa nuova che ripaghi degli affetti perduti. Naturalmente il tono non è tragico, il film va secondo le linee a zig zag di road movie con probabilità e imprevisti del cuore, la malinconia si stempera nella ricerca ma il racconto resta fermo al nastro di partenza. Eppure le due contrapposte solitudini, vissute con così plateale differenza da uomo e donna, lui in apatia e lei sovrabbondante di emozioni, erano un bel tema da esplorare con la lanterna della minaccia fantascientifica; due piccoli esseri umani di fronte al mistero.

Al dosaggio della scrittura manca qualche iniezione di humour e gli attori sostengono il peso della baracca Keira Knightley, prossima Anna Karenina, è la migliore, aggressiva e confusionaria in superficie, disperata nell'intimo del subliminale, un ruolo da matta con un metodo che negli anni '30 sarebbe stato della Hepburn, mentre Steve Carrel (l'imbranato di 40 anni vergine), che per buon cuore risparmia uno scarafaggino che gli deturperà il volto, ha la banalità dell'uomo medio americano, sempre alla ricerca della figura del padre, che qui è un Martin Sheen col volto tornato quello di un bambino, ma ha il coraggio di dire allo stropicciato Carell: «Siamo invecchiati entrambi, eh?».






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