A Chernobyl il vero horror è la realtà
di Mariarosa Mancuso
Capita raramente che un film dell'orrore e un romanzo non di genere condividano lo stesso panorama. Accade con Chernobyl Diaries - La mutazione (diretto dal debuttante Bradley Parker) e Il ciclista di Chernobyl, scritto da Javier Sebastián e uscito da Guanda. Tutti e due raccontano Pripjat, la città fantasma a qualche chilometro dalla centrale nucleare, costruita per alloggiare scienziati e operai. Colpa del vento a favore, fu la prima zona investita dalla radioattività. Restano i palazzi, la ruota della giostra allestita per il Primo maggio 1986, le macchine dell'auto scontro.
Nel romanzo, ci ritorna il fisico nucleare Nesterenko, uno della squadra che fallì nel tentativo di spegnere l'incendio. Nel film, ci finiscono sei turisti in cerca di esperienze estreme, con la loro guida Il classico gruppetto da film dell'orrore, splendidamente messo alla berlina da Quella casa nel bosco di Joss Whedon. Gente incline a passeggiare di notte nei cimiteri o a curiosare in case stregate, mentre lo spettatore attende la carneficina. Saccheggiatori, disertori dalla guerra in Cecenia e «coloni della vita radioattiva» per lo spagnolo. Creature mostruose per l'americano, che le inquadra appena, sicuro che lo spettatore - anche se abituato al gore e allo splatter - ci metterà del suo.
Orme da brividi. L'idea di Chernobyl Diaries è farina del sacco di Oren Peli, regista mezzo israeliano e mezzo americano che qui fa da produttore, e in Paranormal Activity era riuscito a terrorizzare puntando la telecamera su una coppia dormiente. Quando spargono il borotalco sul pavimento, e vediamo apparire le orme di un invisibile visitatore, vengono i brividi. È la tecnica, rivoluzionaria ai tempi di The Blair Witch Project, nota come found footage: materiale filmato, in modo dilettantesco, da persone andate incontro a morte orrenda. La versione orrorifica e cinematografica del "manoscritto ritrovato" che si interrompe bruscamente quando arrivano i guai. La videocamera amatoriale cade per terra ma continua a registrare le urla e i rumori della colluttazione.
Bradley Parker esegue il compitino con diligenza. Il pullmino dei gitanti smette di funzionare lasciandoli in mezzo al nulla, cala la notte, nei soccorsi è inutile sperare, dopo un po' di falsi allarmi i nostri si separano, come se non avessero mai visto in vita loro un film dell'orrore. O non avessero imparato nulla dalla saga Scream, che raccoglieva gli stereotipi del genere.
Sei tonti nella Penombra. Le scene più spaventose sono quasi buie, illuminate solo dalla luce di una pila. Per ogni scherzo fatto all'inizio sulle creature radioattive (la guida muove l'acqua di uno stagno e finge che lo abbia morso un piranha gigante), arriva un tremendo contrappasso. I sei però son troppo tonti perché ci stia a cuore la loro sorte. Si apprezza l'economia di mezzi (è del resto la ristrettezza del budget che spinge a far di necessità virtù). Ma la penombra finisce per stancare anche lo spettatore più paziente.
Neanche la scelta dello sfondo è originale. Nel parco di Pripjat, dove nessuno fece in tempo a divertirsi, avevano combattuto una spettacolare battaglia i Decepticon e gli Autobot. Il film era Transformers 3 di Michael Bay, nessuno protestò per l'insulto alle vittime della tragedia. Se alla fiction preferite il reportage, conviene leggere Chernobyl di Francesco Cataluccio (Sellerio). La guida raccomanda di non toccare nulla dopo la gita bagno disinfettante e ricca cena.
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