Il Natale di Dickens in 3D
di Maurizio Porro
Robert Zemeckis, nella sua seconda vita di autore dedicata alla motion capture, ai cast digitalizzati e computerizzati per cui alla fine non sa se trattiamo con attori reali o con fantocci digitali del cine numerico, è andato a stanare il più ottocentesco Racconto di Natale, quello celebre del 1843 firmato da Dickens, sceneggiatore involontario di cinema. Solo di questo libro esistono infatti 20 versioni al cinema (la prima nel 1901) e 50 tv; questo è il terzo adattamento Disney dopo Il canto di Natale di Topolino ('83) e il film con i Muppets ('92) dell'apologo morale sulla economia vista da zio Paperone.
Il racconto è universale nel rapporto tra Bene e Male, Rancore e Rimorso, Realtà e Sogno. Cercando dopo Polar Express e la Leggenda di Beowulf, una terza risposta all'indovinello se il cinema al computer può emozionare oltre che stupire, Zemeckis attinge al classico dickensiano che si rifiuta però di obbedirgli e nasconde così bene la sua anima sotto la tecnica prodigiosa, che proprio non la si vede più. E balzano in primo piano, anche perché sono gli effetti più straordinari visti finora in 3D, le trovate tecniche coi voli su una Londra ispirata ai quadri di Turner; le corse, la neve che cade palpabile sulle nostre ginocchia, le case, gli scialli, le cuffie, mentre possiamo analizzare grinze, unghie secche, peli del naso, folte sopracciglia, foruncoli del vecchio ricco egoista che alla vigilia di Natale riceve la visita del suo ex socio e di tre visioni ammonitrici (il Passato Presente Futuro) peggio della Casa degli spiriti della Allende.
Urge dunque smacchiarsi l'anima per evitare un'eternità dolorosa fatta di rimpianti. E così la mattina del 25 il nostro avidone è diventato un altro: regala un tacchino extra large, coccola il suo impiegato in ritardo e finalmente va a casa del nipote dove lo attende il lungo pranzo di Natale in famiglia brindante.
Oltre gli stupori infantili - ma attenzione che i bambini piccoli si possono spaventare per il realismo - il film non apre la cassaforte della commozione, gioca quindi contro la sua stessa ragion d'essere. Resta un caleidoscopio di immagini, un oggetto misterioso e mirabile in cui attori bravi come il multiplo Jim Carrey e Colin Firth, Bob Hoskins (che aveva iniziato con Roger Rabbitt!), Gary 0ldman, Wright Penn, carbonizzati con tute sintetiche e computer, si lasciano scie digitali mentre altrettanto inattendibile sarebbe l'attualizzazione dell'avidità bancaria di oggi a confronto col buon vecchio Dickens. E Bocelli sui titoli di coda, nulla può di pìù.
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