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Fragile mondo


di Roberto Escobar


Tornata a Minneapolis dall'Estremo Oriente, Beth Emhoff (Gwyneth Paltrow) tossisce e ha la febbre alta. Inutilmente il marito Mitch (Matt Demon) tenta d'aiutarla. Ricoverata d'urgenza, la donna muore. Così inizia "Contagion" (Usa ed Emirati Arabi Uniti, 2011, 105'). Nelle stesse ore e giorni, da San Francisco a Hong Kong, da Londra a Tokyo molti altri hanno i suoi sintomi.

Da qualche parte «il pipistrello sbagliato ha incontrato il maiale sbagliato» - come suppone Erin Mears (Kate Winslet), del Centro americano per il controllo e la prevenzione delle malattie - e ne è nato un virus violento e mortale che aggredisce l'umanità. In poche settimane il mondo intero è preda del panico.

Il film di Steven Soderbergh e dello sceneggiatore Scott Z. Burns non è un ritorno a quello che trenta e più anni fa si chiamava cinema della catastrofe. E neppure è un thriller, tanto meno d'azione. Il suo è certo il racconto di un'angoscia che nasce pian piano e poi cresce veloce e inarrestabile su se stessa, fino a sconvolgere ogni abitudine e ogni sicurezza. Però né la sceneggiatura né la regia intendono fare spettacolo, come accadeva negli anni Settanta e Ottanta. Piuttosto, descrivono analiticamente i meccanismi individuali e collettivi che a seguito dell'irrompere distruttivo del caso, portano gli uomini e le donne a smarrirsi in un buio sociale in cui non c'è più legge, e ancor meno solidarietà.

Non c'è un protagonista in senso stretto, in "Contagion", ma un gruppo di comprimari le cui storie personali precipitano con il precipitare della vicenda. Alcuni tentano di contrastare l'epidemia, e ne vengono travolti. Altri preferiscono raccogliere consenso fideistico, e dollari. Altri ancora sospettano che la catastrofe sia l'attacco di un nemico. E chi ha il potere, o al potere è più vicino, ne approfitta per avere le cure migliori, e le prime. Insomma, più ancora del diffondersi d'un virus letale, Soderbergh racconta la paura che ne nasce. Lo fa a partire da un assunto quasi filosofico: il nostro mondo sta sospeso sull'abisso del caso, e in ogni momento la potenza cieca che vive in un grumo di materia lo può spazzar via. Basta che il pipistrello sbagliato incontri il maiale sbagliato, appunto, e tutto ciò di cui nutriamo le nostre vite - norme, costumi, affetti, speranze - sprofonda nel buio. Questo conta nel film, al di là del suo finale lieto: questa consapevolezza della precarietà e della caducità del mondo umano, e perciò del valore della sua bellezza fragile.






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