E il robot divenne yankee modello
di Giovanni Grazzini
Non è proprio nuova, ma ai ragazzi piace, l'idea americana di umanizzare i robots per esorcizzare il futuro preparataci dallo sviluppo tecnologico. Qualcuno forse ricorda «Corto circuito», diretto da John Badham nell'85, dove una macchina metallica si comportava come una creatura vivente anche nelle scelte ideologiche (scappava dall'esercito, per non essere utilizzata in nefaste operazioni militari e si nascondeva in campagna ... ). Eccola ora alla seconda puntata - mentre la terza è già in cantiere - dove il robot battezzato Johnny numero Cinque corre in soccorso del suo inventore, l'indiano Ben Jahrvi, al fine di costruire in un battibaleno i mille robottini commissionati da un negozio di giocattoli.
Per Ben e per Fred, un "vu comprà" che appena ha subodorato il colpo grosso si è dichiarato suo socio, l'occasione di arricchire senza fatica va colta al volo, ma il capannone preso in affitto per impiantarvi l'officina ha un inconveniente: è attiguo al «caveau» della banca che custodisce una fiabesca collezione di diamanti. Poiché un terzetto di ladri vuole agguantarla, né Johnny numero Cinque né i suoi amici hanno dunque vita facile: devono guardarsi dai ribaldi, e in più il robot ingenuo com'è, deve evitare gli inganni della metropoli (già alla sua prima uscita, una banda di giovinastri l'ha mandato a saccheggiare le auto in sosta col pretesto di ripararle). Né basta.
Quando sa che Johnny vale undici milioni di dollari, Fred vuole venderlo subito all'insaputa del socio: e il robot va su tutte le furie ...
In fuga per le vie della città, senza che i passanti se ne stupiscano molto, Johnny ripara in chiesa, ma il prete lo caccia dal confessionale benché si dichiari un essere vivente. Legge Frankenstein e Pinocchio, ma la polizia lo becca e lo incatena. Buono com’è, tuttavia non si ribella.
Aiuta il flirt fra l'imbranato Ben e una ragazza, e nella sua santa innocenza scava lui stesso la galleria per raggiungere i gioielli. Inutilmente, dopo aver preso il malloppo, i ladri cercano di disfarsi di quel testimone. Lo riducono al lumicino, ma Johnny sa automedicarsi. Finché, liquidati i criminali e perdute le buone maniere, a vita nuova è restituito. Pronto a giurare fedeltà agli Stati Uniti, primo robot della storia che ottiene la cittadinanza americana ...
Scritto dagli stessi Steve S. Wilson e Brent Maddock che crearono il personaggio e nel primo film ne raccontarono la nascita e l’infanzia, "Corto circuito 2" dice di volercene narrare l'adolescenza: la sua scoperta della metropoli, delle perfidie, delle cattive compagnie e della sgradevole necessità di vendicarsi. Lo fa con garbo, mischiando l'umoristico al patetico. Non ci si contorce dalle risa ma il copione riesce a dare qualche connotato umano a Johnny, a disegnarne una mini-personalità, e per questa via a ricordare che gli studi sull’intelligenza artificiale devono badare anche al temperamento e al carattere dei robot.
Girato a Toronto, il film ha il suo polo d’attrazione nel congegno elettronico, radiocomandato, costruito da Eric Allard che già lavorò sull'extraterrestre di Spielberg, e la sua leva professionale nella regia del Kenneth Johnson che negli anni Settanta aveva portato sullo schermo il mostro Hulk, ben noto ai fumettologi. Vi recitano Fisher Stevens (l'indiano al quale per la paura viene "la pelle d'anatra" e che va «su di giravolte"), Michael McKean (Fred), la graziosa Cynthia Gibb. E poi a Johnny ci si affeziona: si trepida, sul finire, per la sua salvezza, e lo si applaude quando suggerisce battute d'amore sui tabelloni della pubblicità luminosa.
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