Un corvo ritorna dall'aldilà (e non è morto per finta)
di Maurizio Porro
Più che una commistione di generi, Il corvo (The crow), tratto da un fumetto underground di James O'Barr, primo film distribuito in proprio dalla Mediaset, marchio Fininvest, è una confusione di generi mixati col caleidoscopio: romantico, nero, thriller, paranormale, perfino un po' western. Ma l'arrivano i nostri va declinato al singolare: l'unico che arriva, anzi torna dall'eternità dove era stato spedito con la sua prossima sposa da una banda di malfattori, è appunto Il Corvo, cioè Eric, che nella stregata notte brava di Halloween, costellata da 143 incendi (livello Sardegna nei mesi estivi), era stato assassinato dal boss Dollar. Un anno dopo il ragazzo, in look rockettaro spinto - cappotto di cuoio, labbro rosso, capello riccio e appiccicoso alla De Michelis, rimmel intorno agli occhi, pupilla dilatata, sguardo fisso del truce vendicatore, aspetto anemico del replicante, truccato insomma un po' da Iggy Pop e un po' da Peter Murphy dei Bauhaus - è pronto a fare, uno alla volta, la strage annunciata.
La quale si compie secondo le regole, ma ahimè impiega 102' di stroboscopico, noioso, bombardamento audio visuale. In cui il neo regista A1ex Proyas, 31 anni, australiano, cresciuto a video musicali e spot, si esibisce in virtuosismi di macchina, allestendo, con le complicità notevoli dello scenografo Alex McDowell e dell'operatore polacco Dariusz Wolski, la solita piovosa, fatiscente metropoli dark gotica con una serie di rimandi ai film di culto del Medioevo prossimo venturo o passato, da «Blade runner» a «Batman». Eric, teleguidato dall'ipnotico Corvo, patteggia con l'al di là la sua missione da compiere in nome del Bene, con una bimba che appare benedicente nel finale.
Mentre la civiltà va in rovina, i Sentimenti Eterni vengono strombazzati con l'odiosa e fittizia facilità dei messaggi subliminali pubblicitari, Il corvo sembra un film fatto con i sondaggi sul basso gusto immaginifico dei ragazzi. In America infatti il botteghino ha finora risposto bene (50 milioni di dollari, una bella cifra), ma oltre a qualche esibizione coreografica di lotta e al look dell'eroe, che vola come Superman ed è refrattario alle pallottole come Terminator, non sappiamo vedere nella convulsa operazione nulla di nobile né di divertente, eccetto una sotterranea, travestita, e quindi ancor più pericolosa, glorificazione della violenza.
L'ufficio stampa spiega che il 28enne Brandon Lee, certamente efficace nel suo diabolico aspetto di angelo sterminatore, ha perso 7 chili per il film: ha perso poi anche la vita, seguendo il padre Bruce nella leggenda, colpito da un misterioso proiettile sul set. Era il 31 marzo '93, mancavano tre giorni di riprese, e Lee è stato resuscitato, per le parti mancanti, dal computer. Il che porta un po' di confusione tra l'al di là, l'al di qua e la tecnologia, senza che il film possa rispondere, sui destini umani, se non a domande di ordinaria amministrazione.
In quanto al disegnatore O'Barr, egli assicura che il fumetto del Corvo (apparso nell'89) gli nacque dal cuore rabbioso dopo l'arruolamento nei marines. Ora il cinema lo trasforma in una furbata da marketing discografico, in una "videoclippata". Il resto è rumore.
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