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Lode a Götz George, il mostro di Hannover
di Tullio Kezich
Sotto i titoli del film che ha inaugurato il concorso veneziano si canta la ballata militare tedesca «Avevo un camerata» ed è l'unica ironia che si concede l’esordiente regista trentenne Romuald Karmakar. Il quale, per tutti i 114 minuti di "Der Totmacher" (Il fabbricante di morti), si limita rigorosamente ad antologizzare le 400 pagine dell'autentico interrogatorio di Fritz Haarman, il Mostro di Hannover, da parte di perito medico (siamo a Gottinga nel 1924).
Nella tradizione del «kammerspiel» la scena è unica, uno studiolo disadorno con una finestra le inferriate guardano su un muro, e i personaggi principali sono tre: oltre ai due citati, l'attonito stenografo. Seguendo la spirale di un approccio divagatorio, finiamo per apprendere che l'amico Fritz ha ucciso e fatto a pezzi non meno di 24 giovani omosessuali; e il medico lo costringe a descrivere la mattanza e la liquidazione dei resti in tutti gli orrorosi particolari.
Benchè Karmakar non si adatti alle astuzie della drammaturgia tradizionale, nelle riposte pieghe dell'allucinante documento c'è spazio per l'infiltrarsi della pietà.
Impeccabilmente fotografato con una predilezione per i toni cupi dall'operatore Fred Schuler affermatosi alche a Hollywood, il film contrappone al perito impersonato da Jürgen Hentsch (che a dispetto della somiglianza con Carl Gustav Jung resta in bilico fra il puntiglio positivistico e il disgusto) un Götz George davvero monumentale nella raffinazione ipernaturalistica del criminale tanto bizzarro e megalomane da preferire la scure del boia alla sanzione dell'infermità mentale. Fin dal primo giorno, la Coppa Volpi per il miglior attore ha già trovato un candidato autorevolissimo.
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