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Il peggior nemico dell'uomo


di Giovanni Grazzini


Il cane amico dell'uomo? Si è sempre nutrito qualche dubbio. E più se ne nutre dopo Cujo, in cui non un cane qualunque, ma il cane amico per eccellenza, il San Bernardo, anziché bende e grappini, porta la morte per sbranamento. A dire il vero la colpa è di un coniglio del Maine, che impaurita da Cujo, scappa a gambe levate e ripara col fiato in gola in una tana nella quale il cane può soltanto infilare il testone.

Quanto basta perché un pipistrello lo morda a sangue e gli trasmetta la rabbia.

Un cane ammalato di rabbia è nemico di tutti. Nel romanzo scritto da Stephen King (lo stesso di Carrie, di Shining e Creepshow», che Tullio Dobner ha tradotto in italiano per gli editori Sperling & Kupfer, e nel film diretto da Louis Teague, molti ne fanno sanguinosa esperienza: un meccanico d’automobili, un bravaccio suo amico, un incauto poliziotto, e poco ci manca una mamma col suo bimbetto. Perché insomma succede che Diana Trenton, toccata dal dito di Dio, sia chiamata a scontare la colpa di avere tradito il marito col falegname del luogo, e sola in auto col piccolo Tad debba reggere gli assalti della bestia inferocita. Cujo ringhia e sbava, la signora torce le mani, il bimbo frigna e invoca papà.

Che arriva a cose fatte: quando, dopo aver retto per tre giorni (fra spasimi crescenti) l'assedio della belva, aver rischiato di morire ogni volta che apriva lo sportello dell'auto, e aver dovuto rianimare il figlioletto terrorizzato, con una mazza da baseball la donna si è liberata dell'incubo e ha finito la bestiaccia sparandole in bocca. Dopodiché c'è da supporre che il signor Trenton, colpevole a sua volta di aver fatto pubblicità a un cereale il quale ha procurato a tanti il mal di pancia, perdoni la moglie già pentita e il bimbo dorma sonni più tranquilli.

Recidivo nemico degli animali (in Alligator si dilettò di far crescere un mostro nelle fogne), Louis Teague è un regista di terza fila. Benché sia stato addirittura paragonato agli Uccelli di Hitchcock, il suo Cujo è un film moderatamente spaventoso. La situazione in cui si trovano Diana Trenton e suo figlio non è proprio gradevole, e quel figlio d’un cane fracassa, maciulla, schianta e azzanna (preferendo la giugulare) con colpi e balzi da satanasso, ma il tutto è girato maluccio, la sceneggiatura di Barbara Turner è assai raffazzonata, e gli attori – con Dee Wallace ancora nella parte della mamma che già ebbe in E.T. - pensano alla paga.

Con tutto ciò il ricatto funziona. Siete delle iene se non state in pena per quella povera donna e quel caro angioletto traditi dalla batteria dell’automobile, siete dei somari se non capite che il film è una pensosa allegoria sociomorale. O forse soltanto una denuncia dell’infanzia americana, educata dalla Tv alle sgrammaticature.

“Vorrei che muore», fano dire i nostri doppiatori a quel cocco di mamma. Sia invece la paura?






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