LaBeouf, un James Stewart per teenager
di Maurizio Porro
Non c'è dubbio, il nuovo divo è Shia LaBeouf, simpatico ma anonimo 19enne protagonista di Disturbia e che sta impersonando il figlio di Indiana Jones nel nuovo film di Spielberg. Il suo cognome francese significa manzo, il primo nome è ebraico e vuol dire «dono di Dio», quindi alla fine, dice lui, il senso è grazie per la carne. Soprattutto grazie a questo piccolo ma molto ben fatto thriller di D. J. Caruso, già regista di Pacino, che è in testa al nostro box office.
È più o meno un remake per minorenni della hitchcockiana e citata Finestra sul cortile, ma ci sono ricordi più recenti, La conversazione e soprattutto il cinema teen ager con tre ragazzini eccitati che si trovano senza volere a spiare, condividere, toccare con mano un rischioso segreto. Si inizia con Kale, studente rimasto orfano del padre in un incidente e subito diventato così antisociale (ha dato un cazzotto al professore) che gli vengono imposti tre mesi di arresti domiciliari.
Mentre mamma (la Carrie-Ann Moss di Matrix) va e viene nervosetta, il ragazzo si sazia in fretta di playstation e tv. E così sbircia, curiosa, guarda le tette della vicina, e soprattutto si incuriosisce dei movimenti misteriosi del signor Turner, il bravo David Morse. Un po' alla volta si convince e convince gli amici (Sarah Roemer e Aaron Yoo) che si tratta di un serial killer che nasconde le proprie vittime nel garage e nello scantinato. Il babau, l'uomo nero. La sceneggiatura di Christopher Landon fa un po' di tira molla fra vero e falso, patologia e intuizione, comunicandoci l'incubo sociologico delle villette a schiera. Finché la situazione peggiora, chiamando in causa i ragazzi e anche l'adulta, tutti in pericolo mortale nella casa maledetta. La polizia non c'era, se c'era dormiva. Alla base, l'idea classica del voyeurismo che seduce e uccide, sesso e omicidio, LaBoeuf gestisce bene le sorprese del film, resta un ragazzo normale ed è proprio questo identikit che gli dà una marcia in più.
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