Il brutto e la bestia
di Francesco Troiano
Nella profonda giungla del nord Borneo un gruppo di scienziati riporta alla luce le ossa di una creatura sepolte fra le rovine d'una antica e dimenticata civiltà. La spedizione è capitanata dal dottor Carl Wessinger (Jurgen Prochnow): egli scopre come estrarre il Dna dai reperti, ha però bisogno di un enzima per ridare vita al misterioso essere. A tale scopo, domanda l'aiuto di Ash Mattley (Mark Dacascos), che ha svolto, con successo, ricerche su quella sostanza: dopo averlo coinvolto nell'impresa, al momento cruciale lo tradisce e pare egli stesso perire a causa della propria cupidigia.
Invece, due anni più tardi, la dottoressa Claire Sommers, che lavora per la Cia, chiede l'assistenza di Mattley per fare luce sul ritrovamento di un certo numero di corpi mutilati: la donna ritiene che dietro tutto ciò ci sia Wessinger, dato che da tempo è stato perso ogni contatto con il suo laboratorio. A seguito di affannose ricerche, i sospetti trovano conferma: Wessinger ha ricreato artificialmente l'antica creatura per venderla al miglior offerente come efficientissima macchina da guerra, ma essa è sfuggita al suo controllo e si aggira seminando vittime ...
I temi della manipolazione genetica, della ibridazione mostruosa, degli orrori ricostruiti per via scientifica hanno sempre affascinato la settima arte: per citare qualche titolo, limitato a stagioni non troppo lontane, basti pensare a "I ragazzi venuti dal Brasile" (1978) di Franklin J. Shaffner "La mosca" (1986) di David Cronenberg, "Alterazione genetica' (1988) di Jon Hess, "Allucinazione perversa" (1990) di Adrian Lyne, tacendo della letteratura che - da classici come "L’isola del dr. Moreau" (1896) di H. G. Wells fino ai recenti "Mezzanotte" dì Dean R. Koontz e "Creature" di John Saul - se ne è appropriata un numero incalcolabile di volte.
Per quel che riguarda "Dna - Una storia che non deve accadere", diretto nel 1997 da William Mesa, le fonti di ispirazione più evidenti sembrano essere pellicole quali "Alien" (1979) di Ridley Scott, "Predator" (1987) di John Mc Tiernan, "Jurassic Park" (1993) di Steven Spielberg: ma gli aficionados del genere troveranno collegamenti soprattutto con certo cinema avventuroso italiano, da "L'isola degli uomini pesce" (1979) di Sergio Martino a "Dna formula letale" (1989) di George L. Eastman alias Luigi Montefiore, per l'attenzione agli aspetti turistico-esotici della vicenda, il gusto dell'avventura allo stato puro, il ricorso a trucchi poveristici che tuttavia non fanno troppo rimpiangere l'effettismo fragoroso di molti effetti speciali.
Seguendo linee direttrici che prendono le mosse da lontano, almeno dal "Frankenstein" (1818) di Mary Shelley in avanti, anche qui la bestia viene presentata quale prodotto di umane manchevolezze - siano esse l'ambizione o l'avidità - e non entità malvagia in se medesima: mentre il cattivo di turno può affermare ghignando che il proprio modo di ragionare altro non è che una logica conseguenza delle leggi del profitto che da sempre reggono il capitalismo.
Roba che settant'anni fa avrebbe richiesto la penna d'un Bertolt Brecht, mentre oggi viene tranquillamente diffusa dalla cinematografia popolare.
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