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Guerre stellari, vermi giganti


di Giovanni Grazzini


Nel cinquantenario dell'"Avventuroso", ecco il film più magnificente insieme a La Storia Infinita, fra quelli che il cinema della fantasia offre al nostro Natale. Scritto e diretto da David Lynch per continuare sullo schermo il successo ormai ventennale dei best-sellers dell'americano d'origine russa Frank Herbert, l'inventore di quel pianeta "Dune" per il cui possesso qui si combattono altre guerre stellari e antichi duelli all'arma bianca.

In buona sostanza niente di nuovo, perché è la solita storia di un giovane messia chiamato a sconfiggere il Male, col consueto corredo di viaggi iniziatici, vendette familiari, prepotenze feudali, maghi e stregonesse. Ma in confezione kolossal (siamo sui 70 miliardi di lire), e con un gusto che innesta i modi del fumetto d'avventura galattica sul tronco del melodramma più popolare, impregnato di simboli mistici e di ambizioni socio-politiche.

La denuncia del Potere che corrompe ecc. ecc., è infatti ben nascosta fra le pieghe della saga. Quanto emerge, e fa spalancare la bocca a chi ha ancora la capacita di meravigliarsi, è un cumulo di effetti, un castello di sogni nei quali tutto andrà cercato fuorché un filo logico.

Sarebbe ad esempio ingeneroso chiederci una bussola per orientarsi in Dune. Contentatevi di sapere che c'è, nell'anno 10.000 e passa, un pianeta Arrakis, privo d'acqua ma abitato da vermi giganti i quali producono una spezia (alle corte: è la loro popò) che prolunga la vita e conferisce magiche virtù. Su Arrakis sono schierati da un lato i pessimi Harkonnes, guidati da un Barone agli ordini di un Imperatore, e dall'altro gli ottimi Atreides, guidati dal Duca Lato. Il momento della verità suona quando Paul, figlio del Duca, per vendicare l'assassinio di papà, insieme alla mamma si allea con i Fremen, una tribù del deserto, e in groppa ai vermi che è riuscito ad addomesticare dà l'assalto al palazzo imperiale, riporta pace - amore - libertà, e assume il controllo dell'universo. Come i vecchi avevano profetizzato ...

Ammesso che questa sia la linea portante della trama (un dato imperdonabile del film è la sua farraginosa sceneggiatura, con personaggi perduti per via, strade narrative senza uscita, accozzo dì spunti religiosi, sussulti filosofici e memorie mitologiche), Dune tiene svegli grandi e piccini. È uno dei più fastosi investimenti di immaginano dai tempi di Guerre stellari. Che ha squilibri e infantilismi, e del quale si deve tuttavia riconoscere una struttura audiovisiva di prepotente efficacia.

Reduce dalla Mente che cancella e dall'Uomo elefante, il regista David Lynch fa cilecca come autore del copione ma si scatena come supremo governatore della galassia inventiva. Chiede allo scenografo Anthony Masters di decorargli gli ambienti miscelando l'assiro-babilonese al gotico, il moresco al liberty, ottiene da Carlo Rambaldi di disegnargli lombrichi giganti che quando affiorano dalle sabbie emettono folgori, controlla gli effetti speciali di Albert Whitlock stupirci a ogni passo.

Importa poco che la recitazione sia di mestiere (accanto al nuovo venuto Kyle MacLachlan, scialbo protagonista come vuole la tradizione, sono Kenneth McMillan, il Barone, Francesca Annis, mamma Jessica, il felliniano Freddie Jones, il bergmaniano Max von Sydow). Contano dì più le trovate: le corazze di vetro che non escludono il sano ricorso al calcione e al cazzotto, le montature in vago stile zarista, i "moduli estranianti" che solidificano il pensiero, la caratterizzazione del Barone volante, pustoloso e psicopatico, il Dente velenoso ... E le tante altre gags drammatiche, dove le armi più avveniriste si alternano con la antiche balestre in un universo di incubi e di voci cavernose, con spettacolari incursioni nel cinema di guerra e nel faraonico visionario.

Manca un po' d'ironia, o forse ce n'è quanto basta, da parte della produttrice Raffaella De Laurentiis, nel chiamare la mamma Silvana Mangano a coprire il ruolo d'una Reverenda Madre che manovra dietro le quinte...






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