Primo kolossal russo voluto anche dall'ovest
di Paolo Cervone
Un bicchiere di vino, nel cuore della notte. «È dell'Ucraina, è buono ... come il vino algerino!», borbotta Peter Fleischmann con un'ombra di sarcasmo, forse pensando agli anni giovanili trascorsi a Parigi. Mangia disordinatamente noci, mandarini, pane e cioccolato, trancia a metà con la "ghigliottina" il sigaro Toscano. «Lo so, dovrei stare qui a parlare della fratellanza, della comprensione, della cooperazione fra i popoli. Ma stasera sono cinico».
Sergio Leone prenda nota
La confusione che regna nella suite dell'Hotel Dniepr, quartiere generale del regista tedesco, proprio di fronte al mausoleo di Lenin, è rivelatrice di uno stato d'animo. Osserva rassegnato. «Qualcuno doveva pur farla questa prima coproduzione». Perché Fleischmann - il regista di «Scene di caccia in Bassa Baviera», sceneggiatore, produttore, presidente per diversi anni dell'Unione europea degli autori - è impegnato nella prima coproduzione fra Unione Sovietica e Occidentali: i capitali sono russi, tedeschi e francesi più il contributo di distributori di molti altri paesi (per l’Italia, la Titanus).
Probabile candidato al prossimo festival di Venezia, s'intitola «È difficile essere un Dio» ed è stato definito, a effetto, il primo film della «glasnost» e della «perestrojka». "Lasciamo perdere! Sono quattro anni che corro dietro questo film, ho visto passare Andropov, Cernienko, fino a Gorbaciov", spiega il regista, che per arrivare all'accordo ha dovuto discutere con ministri, ambasciatori, intere delegazioni.
Un affare di stato, un’avventura da 25 milioni di marchi (quasi 20 miliardi di lire), ma da noi sarebbe costata il doppio. Una troupe di duecento persone, diecimila comparse, scenografie kolossal a Yalta e Kiev, un librone di disposizioni su cosa e come fare ogni più piccola cosa, secondo i più rigidi criteri della burocrazia russa. Farebbe bene a leggerlo il nostro Sergio Leone, impegnato a preparare con i russi la sua "Leningrado".
"È dura, ma se vuoi vivere tranquillo, resta a casa, commenta con filosofia il regista, pensando agli altri pionieri del cinema. Herzog va più lontano, è più boy scout di me. E Bertolucci? Anche in Cina era proibito fumare al ristorante…". E si accende il sigaro, nascondendo il fumo sotto la tovaglia, mentre il cameriere lo segue con sguardo complice.
Le riprese a Yalta
Due sistemi politici, due modi di vita differenti, ero consapevole delle difficoltà", ammette Fleischmann. "Prima i pregiudizi in Germania, dove guardano i russi come i francesi gli arabi. Freischmann il rosso, il comunista, che vuole fare un film con i russi. Un film commerciale. Poi le diffidenze a Mosca: non sarà per caso un film contro di noi? Poi la sciagura nucleare di Chernobyl, poco distante da dove volevamo girare tutto il film. Per fortuna la Russia è grande, così ci trasferimmo a Yalta.
Sulle rive del Mar Nero è stata costruita Arkanar, la città del pianeta lontano dove si svolge la storia fantascientifica del film. Una scenografia fantastica, una Disneyland russa che ha entusiasmato gli abitanti di Yalta, accorsi in massa come comparse assieme ai soldati dell’Armata Rossa.
"Grazie per averci fatto entrare nella storia del cinema", ha detto un vecchio al regista. "Il compagno Lenin sarebbe contento di te".
Nel vecchio Kinostudio Dovjenko di Kiev, a capitale dell'Ucraina, è stato invece ricostruito l'interno del palazzo reale, una specie di fortezza medievale, un labirinto di stanze, passaggi bui, segrete, dove s'aggirano donne simili a matrone romane, uomini con lunghe parrucche grigie e la Pravda sotto il braccio, per le pause che sono lunghissime, in attesa una scopa o di un topolino necessari per una scena ma non in possesso di timbri e "permessi".
I capelli arruffati, corpulento, impolverato, enorme Avana in bocca, Fletschmann segue con sguardo minaccioso le trattative condotte spesso in lingue incomunicabili. Ma quando urla il suo "Achtung!", tutti lo capiscono e il film riprende il tormentoso cammino.
Il cinema è un'arte che vive di tecnologia, potrebbe sembrare una follia venire qui, dove si lavora come da noi vent'anni fa. Ma i nostri film di allora non erano forse più belli? Come ha ricordato Sadoul, diceva Lenin: "Per noi il cinema è, fra tutte le arti, la più importante". "La realtà russa è lontanissima, ma non più di quella del cinema americano - spiega Fleischmann-. A me interessa il discorso del cinema europeo, come difenderci dall'invasione di Hollywood.
Nel deserto "top secret"
"Pensiamo ai fast-food: cosa fare, aprirne anche che noi o rifugiarsi nella buona cucina dei nostri Paesi? Gli americani faranno i soldi, ma noi mangiamo meglio! Credete, il nemico del cinema europeo non è certo la Russia".
Dopo sette mesi di riprese, la troupe si prepara ora per un lungo Viaggio fino a Isfara, regione dell'Uzbékistan chiusa agli stranieri, ai confini con l'Afghanistan e la Cina. Un deserto torrido, popolato di scorpioni velenosi. Flerschmann ride, forse pensa che Hollywood e più pericolosa.
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