Che schifo questo futuro virtuale
di Maurizio Porro
È difficile non essere d'accordo con David Cronenberg quando afferma che siamo strumenti della realtà virtuale e tutto questo ci porterà alla rovina, che è il messaggio del suo «eXistenZ», scritto così, senza gerarchie. Ma è anche difficile essere d'accordo con lo svolgimento del film, che s'inchina all'etica del disgusto promulgata dal suo autore fin dai tempi di «Brood covata malefica», quando non era ancora di moda.
E in cui l'inventrice di un videogioco prodotto da una multinazionale e giudicato pericoloso, minacciata dagli estremisti - come Salman Rushdie dice l'autore, ma non è importante - fugge aiutata da Jude Law e con lui si inserisce e gioca ad «eXistenZ».
Qui Cronenberg, riallacciandosi direttamente all'anticipatore «Videodrome» che denunciava la tv non metaforicamente onnivora, espone il suo mercato di orrori e disgusto, soprattutto nel mezzo per collegarsi alla stazione del video play. Ci si trova così di fronte a un oggetto organico schifoso tipo animella, ma urge anche collegarsi con uno spinotto ad una specie di orifizio artificiale.
Dopo di che succede di tutto e di più, compreso un terribile pasto cinese, nel segno estremo, eccessivo e sgradevole della violenza codificata.
E non c'è dubbio che talvolta Cronenberg, riallacciandosi ad atmosfere anni '50, dia dei colpacci all'incubo tecnologico che non si può più definire prossimo venturo perché ci siamo già dentro tutti. Solo che la parte d'azione, dove i realisti attaccano e si gioca con una pistola viscida che spara protesi dentarie umane, è terribilmente statica, non ha mediazioni fantastiche, non riesce a significare altro da sé. Gira sempre e solo, con spreco di bravura da parte della non convinta ma sempre espressiva Jennifer Jason Leigh, sulla non nuova e spesso ripetuta, domanda se siamo dentro la realtà vera o solo virtuale, ed è su questa risposta che il film pessimisticamente si chiude con una lezioncina mediologica pirandelliana, con i personaggi in cerca di video autore.
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