Sogni d'oro a tutti, firmato l'uomo nero
di Manuela Campari
Agli ammiratori di Freddy Krueger, il terrificante «uomo nero» di Nightmare al quale il suo nome è legato da otto anni, Robert Englund regala miti sorrisi e modi garbati, mentre chiede a ciascuno di essi il nome, prima di firmare l'autografo accompagnato dall'ambigua dedica «Sweet dreams», sogni d'oro. Ma è l'unica fragile inquietudine che il biondo attore californiano riesce, per dovere professionale, a suscitare in chi lo avvicina; e se proprio si cerca un brivido d'orrore, bisogna accontentarsi di guardare la sua cravatta.
Englund è da giovedì a Milano ospite del «Dylan Dog Horror Fest», la manifestazione legata al personaggio del fumetto edito da Bonelli che da stasera fino a sabato prossimo presenterà una serie di film al Palatrussardi.
Tra questi c'è anche II fantasma dell'Opera, di cui Englund è protagonista, proiettato in anteprima stasera alle 22.15, e da giovedì prossimo nelle sale.
«Era impossibile per me rifiutare un ruolo "classico" come quello del fantasma dell'Opera, interpretato prima di me da attori del calibro di Lon Chaney, Herbert Lom e Claude Rains-ha detto ieri l'attore-e il film vuole anche essere un omaggio alla grande cinematografia horror della Hammer, la casa di produzione americana che ha fatti dei veri capolavori del genere». Questo ultimo «fantasma», con la complicità del regista Dwight Little, ha traslocato da Parigi a Londra, «perché alla fine dell'Ottocento - spiega Englund - Parigi era troppo gaia, mentre Londra, a causa dell'industrializzazione, aveva un aspetto più opprimente, era la città di Jack lo Squartatore».
Questo quarantenne dall'aspetto gradevole, occhi azzurri e fisico da ex-surfista, avrà di nuovo sullo schermo un aspetto mostruoso, creato dal trucco dell'esperto Kevin Yagher, già collaboratore di tre film della serie Nightmare. Ma la cosa non lo disturba, dice, «perché a Hollywood avevo già girato 25 film e 12 serie tv prima di diventare Freddy: certo se avessi cominciato la mia carriera con Nightmare, oggi avrei bisogno dello psicanalista».
La vita di Englund, invece, è quella di «felice sposo» della bella Nancy, con la quale abita in un paese vicino al confine messicano dal romantico nome di Laguna Beach, «nella villa che fu di Bette Midler», aggiunge ridendoci su. E le sole paure che lo turbano «sono quelle di tutti: "l'Aids, la violenza, e soprattutto l'inquinamento". Rifiuta la pena di morte, l'orrore legalizzato: «Per scoraggiare l'omicidio non serve la camera a gas, bisogna invece cambiare la legge che permette a chiunque di comperarsi un'arma».
È contro la censura, contro un governo che s'intromette nelle scelte che dovrebbero essere prese liberamente all'interno di una famiglia. «Sono figlio degli anni Sessanta e del no alla guerra nel Vietnam», riassume in una battuta. Mostro sanguinario sullo schermo, pacifico liberal nella vita: «Mio padre - rivela con ironia - disegnava aerei-spia di cui non approvava l'impiego».
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