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Sokorov si candida al Leone.


di Giuseppina Manin


Chi sostiene che il diavolo non è brutto come lo si dipinge, vada a vedere il Faust di Aleksandr Sokurov. Non solo perché è subito balzato in testa ai pronostici per il Leone, non solo perché ci sono dentro le riflessioni cardine dei nostri tempi, ma perché si mostra il belzebù più disgustoso della storia del cinema. A farne le spese è Anton Adasinskiy (celebre mimo coreografo e rockettaro siberiano) qui deformato in una sorta di topone molle, capelli rossastri spelacchiati, avvolto in spire di cotenne cadenti e un sesso piccolo piccolo appeso dalla parte sbagliata, a mo' di codino. Incontinente e flatulento, dà sfoggio di spirito blasfemo facendo i suoi bisogni in chiesa e leccando con voluttà le statue dei santi, ma poi si fa fregare alla grande da un Faust molto più cinico e diabolico di lui.

«Il mio è un Mefistofele ciarlatano, un istrione malavitoso che di professione fa l'usuraio», spiega il regista russo che l'ha ribattezzato Mauricius Muller (curiosa omonimia con il Müller Marco, direttore della Mostra). Un povero diavolo rimasto indietro con i tempi. Convinto ancora che l'anima esista, si ostina a voler comprare quella pregiata dello scienziato Faust. Che però come giocatore d'azzardo e tentatore vale molto più di lui. E il falso patto, zeppo di errori di grammatica corretti con sprezzo da Faust, rimarrà così carta straccia per l'ingenuo compratore.

«Oggi le anime costano poco; e soprattutto non c'è più nessuno che le voglia comprare. L'unico rimasto a credere in Dio è il diavolo», commenta ironico Sokurov, che con questo film (per l'Italia distribuito da Archibald) chiude la sua tetralogia sul potere dopo Moloch dedicato a Hitler, Taurus su Lenin, Il sole sull'imperatore Hirohito. «Dì Faust mi interessava ciò che resta tra le righe del capolavoro di Goethe: il suo essere uomo. In carne e ossa, affamato di cibo e di sesso. Vuole la carne fresca della giovanissima Margherita e per averla non bada ai mezzi. Pronto a uccidere, tradire, imbrogliare. Sogna l'onnipotenza, non ha scrupoli né rimorsi. La lotta tra Bene e Male ormai è superata, quel che vale è solo il diritto del più forte. E questo apparenta Faust agli uomini di potere degli altri tre film>».

“Io decido tutto, non ho più bisogno di tè”. Così Faust liquida Mefistofele. Frase che non stonerebbe nel lessico politico attuale. “I politici di oggi sono disumanizzati - avverte Sokurov -. Pensano solo a restare in sella, non gliene importa nulla del bene pubblico, della cultura. Farei un'eccezione per Chirac, che traduceva poesie e ha aiutato Tarkovskij, il mio maestro, quand'era in esilio in Francia. Chi di loro oggi apprezzerebbe un film d'autore? Non certo il vostro Berlusconi, né il nostro Putin, che però conosce il tedesco e forse sa chi è Goethe. Stalin in fatto di cinema ne sapeva molto di più. Purtroppo aveva altri difetti».

È vero che avrebbe voluto girare alcune scene in Vaticano? «Sì e avevo anche avuto il permesso. Ho dovuto rinunciare per ragioni di budget».

Peccato, il diavolo in Vaticano avrebbe fatto una gran figura. E poi lì abita uno dei grandi potenti del mondo, il papa. «Non lo conosco ma ho l'impressione che sia troppo distaccato dalla gente. Comunque con un prete, cattolico o ortodosso che sia, io riesco sempre a dialogare. Cosa che non mi capita mai con un potente».

Appassionato di grande letteratura, Sokurov è anche autore di un libro, Nel centro dell'oceano, riflessioni su cinema e arte pubblicato da Bompiani per volere di Elisabetta Sgarbi, che l'altro giorno al Lido ha portato un suo suggestivo corto Prove per un naufragio della parola. E dopo Goethe, Cechov, Bernard Shaw, il regista adesso pensa a Dante: «Sto lavorando a un progetto sulla Divina commedia - svela Sokurov, oggi in cattedra tra gli studenti di Ca' Foscari -. Naturalmente vorrei girarlo in Italia. Io sarei pronto, restano i soliti ostacoli finanziari. Che bloccano anche il vostro cinema. Dov'è finito il coraggio di un Pasolini, di un Bertolucci? Bisogna tornare a scommettere sui grandi film».






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