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Avventure di un topo dalla Russia a New York


di Leonardo Autera


Un disegno animato in linea con l'era reaganiana, buono anche dono il vertice di Washington con Gorbaciov. Lo ha commissionato Steven Spielberg, sempre più in vena di produttore, a Don Bluth, trasfuga nel 1979 dalla ditta Disney {nel cui ambito aveva lavorato come animatore fin dal 1956) per mettersi in proprio e realizzare, tra l'altro, il moderatamente apprezzato Brisby e il segreto di Nimh (1982). Per l'attuale Fievel sbarca in America (An American tail) Bluth ha ritagliato una seconda figurina di topolino antropomorfo e l'ha posta al centro di un edificante raccontino che è tutta un'esaltazione della fede, del coraggio, dello spirito volontaristico e di libertà eretti a fondamento e a prerogativa della nazione americana.

Siamo nelle steppe innevate della Russia del 1885 allorquando torme di ferocissimi gatti-cosacchi seminano il terrore fra le povere comunità di topi-ebrei. Allora la famiglia Toposkovick, di cui Fievel è il figlioletto minore, decide di emigrare un America dove si dice che le strade siano lastricate di formaggio e i gatti nemmeno esistono.

La famigliola riesce ad imbarcarsi ad Amburgo, ma durante la traversata una furiosa tempesta fa disperdere in mare il piccolo Fievel, il quale riesce tuttavia a salvarsi in una bottiglia e ad approdare a New York davanti alla statua della Libertà allora in costruzione. Qui il desolato topolino incontra il primo amico, il piccione Henry, che lo rincuora e gli insegna che non bisogna mai disperare.

Il resto del film consiste nell’affannosa ricerca dei genitori, durante la quale Fievel si scontra con una realtà diversa da quella sognata.

Anche nel Nuovo Continente esistono gatti insidiosi e scaltri con i quali dovrà fare i conti (ma ce ne sono anche di buoni, come il simpatico micione che, dopo averlo fatto prigioniero, si commuove alle sue disavventure e gli diventa amico). Finalmente, dopo varie traversie, l'incontro e la ricomposizione della famigliola, e chiusura sulla statua della Libertà che fa l'occhiolino al piccolo eroe.

Benché sia senza particolari intuizioni poetiche, la favola. a dispetto della morale sempliciotta, è abbastanza carezzevole, variegata nella caratterizzazione dei personaggi e accurata nei dettagli (specie nella bella sequenza della tempesta in mare e in altre, seppure un po' orrorifiche per gli spettatori più piccini). Ma in quanto alla grafica, alla plastica e all'animazione delle figure, alla pittoricità degli sfondi, alla tecnica in generale, Don Bluth poco o nulla rinnova rispetto alla tradizione disneyana. Anche la “fauna” compreso l'espressivo topolino protagonista (che, come qualcuno ha già notato, è in gran parte ricalcato sul Cucciolo di Biancaneve), si compone di leggere variazioni di classici modelli. Magari con meno leziosaggini, e questo non è poco.






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