Sono tutti sospettati (anche John Huston)
di Giovanni Grazzini
Sconsigliamo di prendere troppo sul serio questo Fobia, al quale il vecchio John Huston ha dato il proprio nome ma forse né il proprio occhio né la propria mano (qualcuno ha supposto che l'abbia firmato per pagare le tasse). Come scrivemmo da Venezia due anni or sono, trattasi infatti d'un "giallo" da clinica psichiatrica col quale il cinema non compie il minimo passo avanti e al quale si fa troppo onore trovandovi denunciata la paranoia del Potere.
Siamo in un ospedale psichiatrico dove uno specialista di malattie mentali, il californiano dottor Ross, ha avuto il permesso di sperimentare su cinque criminali sofferenti di varie forme di fobia un nuovo metodo di cura, consistente nel proiettare dei filmati che per fargliela superare spingono i pazienti al massimo della paura. S'ha l’idea che il dottor Ross. come vogliono le barzellette, sia più matto dei matti, ma sembra che qualche risultato l'ottenga: chi ha orrore della claustrofobia trova il coraggio di avventurarsi fra la folla della Metropolitana, chi ha paura dei serpenti pare avviato a superare il ribrezzo, chi ha il terrore della violenza maschile comincia a reggere l’idea di lasciarsi sfiorare da un uomo. Il guaio è che i cinque malati non fanno in tempo a guarire: uno per uno finiscono malissimo, vuoi per bomba o salto nel vuoto, vuoi per affogamento, morsi di bestiaccia o ascensore, comunque in modo appropriato alla rispettiva fobia.
La polizia che fa? Indaga, mentre l’amica bionda di Ross ha la stizza e l’ex amante subodora. Ma anche ricorre alle maniere forti, per cui non si sa se preferire i metodi perversi dello psichiatra o quelli, brutali, dei piedipiatti che penano, bella forza, a un piano criminoso messo in opera contro il medico. Finché, caduti via via i sospetti sui pazienti, si scopre con sollievo che l’omicida aveva, questa è nuova, il suo bel complessino d’infanzia: non essendo riuscito a salvare la sorella annegata, ha voluto punire negli altri se stesso. Faremmo torto ai più se supponessimo che non l’hanno già scoperto da sè.
Poiché Huston ebbe il coraggio, una ventina d’anni or sono, di fare un film su Freud, la puerilità con cui ora Fobia cerca di dare radici psicanalitiche al racconto conferma i dubbi sulla reale paternità di questa pellicola (la mano di Huston, se proprio si vuole, potrebbe riconoscersi nelle terrificanti sequenze cinematografiche che il dottor Ross proietta ai malcapitati).
Ma anche per altri versi il film è uno scherzaccio da dozzina. Scritto da mestieranti - Lew Lehman, Jimmy Sangster, Peter Bellwood, ispiratisi a un soggetto di Gorry Schermann e Ronald Shusett - segue la moda delle aberrazioni psicotiche con un mediocre gusto drammatico e con uno stile banale. È perché lo vediamo firmato da Huston che parliamo di ritmo teso e di professionistica scaltrezza narrativa.
Né gli interpreti gli vengono in soccorso. Il protagonista, Paul Michael Glaser, sembra sia molto popolare per i telefilm della serie Starski e Hutch, ma la cosa ci lascia indifferenti. Fra gli altri l'unica che si rivede con piacere è Alexandra Stewart.
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