Un E.T. negro sbucato ad Harlem
di Leonardo Autera
È con divertita simpatia che si accoglie questa produzione indipendente americana che, con mezzi limitati ma compensati da una buona dose di estro e ingegnosità, innesta felicemente una storia di fantascienza in un contesto realistico metropolitano. La si deve a uno scrittore e regista, John Sayles, 35 anni, già noto in Italia per il delicato intreccio intimista di Lianna (1982) ma che è solito prestare anche ad altri cineasti "off-Hollywood" le sue brillanti doti soggettista e sceneggiatore.
Bella e originale è ora l'idea che ha elaborato e portato sullo schermo per Fratello di un altro pianeta (The Brother from another planet), arrivato nelle pubbliche sale a due anni di distanza dall'anteprima al Festival Cinema Giovani di Torino.
Con un’ironica strizzatina d'occhio all’E.T. di Spielberg ecco che anche l'eclettico Sayles ci propone il suo extraterrestre; però, senza bisogno di creature alla Rambaldi e di effetti speciali, lo fa del tutto simile a un negro, tranne che per tre alluci artigliati ai piedi. Schiavo evaso da una piantagione di un lontano pianeta, egli piomba con la sua navicella spaziale nelle acque del porto di New York, vicino alla statua della Libertà, ma risalendo un tratto dell'Hudson viene poi a trovarsi proprio nel cuore di Harlem, fra i terrestri del suo stesso colore. Con essi non può comunicare a parole (resterà muto per tutto il film) tuttavia ne ottiene presto l'amicizia e la solidarietà essendo identificato per un povero diseredato come loro, anche se capace di compiere cose prodigiose: ad esempio, riparare flippers e videogames col semplice tocco di una mano, procurare miracolose guarigioni e rigenerazioni. Grazie alle sue doti straordinarie trova lavoro e ospitalità, e tra le sue numerose avventure si prodiga a smascherare e sbaragliare una banda di spacciatori d'eroina.
Ma c'è da aggiungere che l'amabile alieno deve vedersela soprattutto con due altri extraterrestri, ma di pelle bianca, uno dei quali interpretato dallo stesso Sayles), venuti dal suo stesso pianeta come cacciatori di taglie (alla maniera di un western) per catturarlo, dato che, evidentemente, in tutto l'universo i neri sono perseguitati. Ed in questa lotta serrata contro gli sgherri che egli trova il più valido aiuto della comunità dì Harlem, fino al vittorioso scontro finale che, condotto come un balletto di arti marziali, costituisce una delle pagine più estrose e divertenti del film. Naturalmente, il bizzarro personaggio resterà perfettamente integrato in quella famiglia di emarginati.
Saremmo troppo generosi se non riconoscessimo a Fratello di un altro pianeta, specie nei motivi antirazziali, qualche ingenuità e semplicismo Ma la vitalità del racconto risiede nella carica irresistibile di humour, nella piacevolezza dei dialoghi (ovvero dei monologhi col muto interlocutore), nella varietà degli ambienti (tutte le riprese, in esterni e interni, sono state effettuate ad Harlem) e nell’eccezionale interpretazione del protagonista Joe Morton, esclusivamente affidata alla mimica gestuale e all’espressività degli sguardi come specchio di sensazioni e di sentimenti.
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