Freaks, l'orrore come oscura profezia
di Alberto Bevilacqua
Di Tod Browning, regista statunitense, morto nel '62, squisito narratore di vicende bizzarre e raccapriccianti, grande esperto della deformità psichica, evocatore di vampiri, complice di quel Chaney maestro di trucchi e spaventosi stravolgimenti, conoscevo varie cose - il Dracula del '35, ad esempio - ma non avevo mai visto Freaks, che è del '35. L'occasione di conoscere questo autentico capolavoro, da cui è evidente che hanno rubato in tanti, ci è stata data lunedì, da Raitre, per l'azzeccata serie Eccentriche visioni, a cura di Enrico Ghezzi, con la collaborazione di Maria Letizia Gambino.
La storia è presto detta: c'è un circo, dai contorni imprecisati, quasi privo di confini, come si addice a tutti i microcosmi simbolici, e al suo interno agiscono soltanto esseri deformi.
Le uniche eccezioni, una maliarda avida, corrotta, cinica, e un clown vanesio e mezzo imbroglione, sono in realtà le peggiori mostruosità, in quanto sghembe, ricurve e orripilanti nell'anima. Il cuore degli altri, invece, diffonde un disarmante candore. La serie degli infelici sfila, sotto gli occhi degli spettatori, in un incessante teoria che, lì per lì, rivolta lo stomaco, poi stempera la rivolta nella pietà, infine tocca, con il dolore della purezza, le corde più segrete. Ecco l'uomo senza gambe, che saltella come un ragno, un essere umano metà maschio e metà femmina (ma in senso vero, visivo, diciamo longitudinale), e via via nanetti, uno dei quali, il più ricco e agghindato come Peter Lorre nel Falcone maltese, perde la testa per la maliarda infida, e diventa un mini-Rath de L'Angelo Azzurro.
A fine visione, ero sconcertato. Nel '32, Browning aveva previsto tutto con una lungimiranza che lascia senza fiato. Erano già apparsi, ai suoi occhi, gli orrori dei lager e la figurata follia nazista; si era già insinuata, nella sua mente, la futura lezione del neorealismo italiano, perché il suo apparente espressionismo, le sue insistenti metafore, appaiono oggi delle schermature, dietro le quali l’analisi degli emarginati ha una modernità assoluta. In Freaks pare che la guerra sia già avvenuta; anzi, che sia già deflagrato un conflitto nucleare che abbia sconvolto i tratti di milioni di esseri, costretti a vivere da ragni e topi, venendo tuttavia da una coscienza, un'irrimediabile nostalgia della normalità perduta, un perduto paradiso terrestre. La cacciata di Adamo ed Eva si accoppia, con paradossale lucidità, alle scelleratezze del terrorismo, della droga trafficata ai danni dei giovani e giovanissimi. Mi si è fatta chiara, drammaticamente sintetizzata come nei graffiti di una società futura, la storia del nostro secolo, nonché l'accorata odissea di gran parte dell'umanità di oggi.
Mai un film ormai perduto negli anni, e non collocato nell'empireo delle opere geniali, mi aveva costretto, con turbamento, a tante concomitanti riflessioni sul tempo dell'attualità storica. Eppure, quel film, non ha tempo, ripeto, non ha confini. Né pretende, in apparenza, di dimostrare alcunché. Ma è la tenerezza che collega i poveri infelici, a toccare i vertici di una poesia irripetibile.
In ciascuno di noi esiste una parte, piccola o grande, che subisce le torture dell’emarginazione, le beffe delle donne, o degli uomini crudeli, la stupidità di chi si crede gigante, il corrosivo acido della derisione. Ebbene, Freaks ha questo potere, di proiettare, di fronte a noi, su un ideale superficie specchiante, quella nostra parte. Opera cristianissima, pervasa di uno straziante amore per i nostri simili, dovrebbe essere proiettata, a cicli, nelle scuole. È atroce ed educativa, Doveva saperne qualcosa Buñuel, che da Browning non può non aver preso piu di un motivo d'ispirazione.
Capolavoro, s'è detto: i capolavori contengono spazi infiniti, prismatici, che riflettono anzitempo infinite cose di là da venire.
Lo stile di Browning, per esempio! È televisivo, eccezionalmente televisivo; o, perlomeno, calza a pennello col video.
Esperienze del genere non capitano certo tutti i giorni. E Raitre va ringraziata. Un coniglio così dal cilindro, chi lo tira più fuori?
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