Il fantasma antimafia
di Maurizio Porro
Tra le otto milioni di storie che si svolgono quotidianamente a New York, Jerry Zucker, quel buontempone che con suo fratello David e Jim Abrahams ha sparato «pallottole spuntate» e ha pilotato gli «aerei più pazzi del mondo», ha scelto di raccontarci, viaggiando con le ali del paranormale nel cielo sopra Manhattan, quella di Sam, un giovane di belle speranze assassinato da un killer di passaggio venti minuti dopo i titoli.
Ma anche per lui il paradiso può attendere, secondo i comandamenti del cinema romantico post mortem: rimane infatti come invisibile spirito accanto alla sua bella, difendendola da pericoli mortali e parlandole attraverso una medium un po' cialtrona, con cui decolla, nato dalla costola di una love story, un appassionante e divertente thriller di mafia, computer e denaro sporco.
Vincendo il naturale scetticismo dei terrestri, Sam passa attraverso la città senza aprire porte o finestre, sosta in metropolitana a prender lezioni di materializzazione da un collega spirito, protegge la ragazza dal suo miglior amico, riuscendo anche a danzar con lei prima della resa dei conti che manderà all'inferno i colpevoli. Dire che il film è baciato dall'happy end, nonostante le apparenze, a dir poco, perché il nostro viene addirittura irradiato di luce e si avvia al Paradiso con effetti mistici speciali.
La promessa della vita eterna è uno dei segreti dell'incredibile successo (170 milioni di dollari in USA) di "Ghost" (Fantasma), un'opera multigenere che, dopo un lento avvio, diventa un racconto piacevolissimo, con un tocco di classe parapsicologica, fatto della pasta dei sogni cinematografici ma rispettando lo stop prima dell'incubo.
Il fantasma galante ha, nella storia del cinema, una sua tradizione da difendere, da René Clair passa per Warren Beatty e arriva fino ad "Always" di Spielberg, ma qui lo spirito esprime una solitudine metropolitana. Zucker ha solo il torto di aumentare a vista il dosaggio di sentimentalismo, ma è un peccato veniale che non toglie a "Ghost" il suo andamento sciolto, con gli attacchi di pianoforte al momento emotivo giusto (Maurice Jarre cura la colonna sonora) e i trucchi spiritici della pregiata ditta di George Lucas.
Se i due promessi sposi rimangono belli, in dieta e un po' assenti (sono Patrick Swayze, il ballerino erotico di "Dirty dancing", espressivo come un fantasma, e la graziosa Demi Moore) la medium truffaldina ha la vitalità e l'humour straordinari di Whoopi Goldberg, che entra nel mistero buffo facendolo diventare buffissimo. Ed è da citare anche l'inedito Tony Goldwyn, sguardo doppio, rampollo di una casata che ha un altare a Hollywood.
Forse si tratta di catechismo da alto intrattenimento, redatto con un'ingenuità tutta americana, soprattutto nella divisione tra angeli bianchi e angeli neri, come nelle canzoni di Marino Barreto, ma funziona a meraviglia.
Con qualche dissolvenza incrociata Zucker incastra l'al di qua e l'al di là con una furberia che ha del paranormale. E così sia.
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