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Godzilla: in quel mostro incompreso le paure della nostra società


di Tullio Kezich


Caro «Godzilla», questa è una lettera d'amore. Esordisco così perché pare che stia diventando una moda; dopo che una gentile collega ha indirizzato dalla Croisette una pubblica dichiarazione a Benigni, ma temo che il ruggente oriundo giapponese di simili attestazioni ne riceverà poche.

C'è anche il rischio che si arrabbi leggendo le stroncature e zompi fuori dalle acque del porto per distruggere i santuari del festival. Sicché quelli della Tristar forse si pentiranno di aver concesso il loro kolossal per la serata di chiusura: collocazione infelice, quando molta gente è andata via e il pubblico residuo pensa solo ai premi. Figuriamoci poi se c'è.in ballo un titolo facile da liquidare come baracconata.

E invece "Godzilla" è un monumentale esempio della produzione Pmt (Pre Millennim Terror) che, senza badare a spese, mette in scena nei modi allucinanti del grande spettacolo le paure profonde della nostra società.

Qui il tedesco Roland Emmerich, del già notevole «Independence day», si rifà a una tradizione del cinema nipponico che risale al Godzilla del '54, progenitore di una dinastia, ovvero la leggenda moderna del dinosauro all'attacco del nostro mondo dopo essere stato risvegliato dagli esperimenti atomici.

Il capostipite di Ishiro Honda era motivato da una vena antiamericana, sulla ferita non rimarginata di Hiroshima: e ora Emmerich aggiorna l'intrigo ai deplorevoli esperimenti nucleari in Polinesia, facendo proprio di un francese, Jean Reno, l'eroe della resistenza planetaria. Lo affiancano il ricercatore Matthew Broderick; il teleoperatore Hank Azaria, che va fra le gambe al lucertolone e l'ambigua giornalista Maria Pitillo. Ma il nome chiave è quello di Patrick Tatopoulos; che ha disegnato Godzilla e l'ha pilotato a devastare strade e grattacieli di una Gotham City reinventata sull'evidente modello «nero» del «Batman» di Tim Burton. Finché la caccia al mostro ci porta dentro il Madison Square Garden, dove Godzilla ha deposto duecento uova. L'ultima immagine, dopo che il dinosauro è stato annientato sul ponte di Brooklyn, è pessimista: il 201° uovo si schiude contraddicendo i trionfalismi e aprendo la strada a «Godzilla 2».

Nonostante i suoi meriti, Emmerich non si fa prendere sul serio per aver sottovalutato le trappole connaturate a questo tipo di film. Mi riferisco alle battutine di alleggerimento, che esagerano nello scaricare la tensione, all'inutile bacetto di rito fra lui e lei e soprattutto al controproducente "galop" degli effetti speciali nell'ultimo quarto d'ora. Però, caro «Godzilla», non te la prendere se a Cannes non ti avessero capito: l'appuntamento è a settembre per il derby con "Armageddon".






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