La macabra notte di Ken Russell
di Leonardo Autera
È arrivato fresco dal Festival di Londra il film più atteso di questi incontri con il cinema inglese, il solo del programma che portasse una firma a tutti familiare, tanto da richiamare l'altra sera un folto pubblico nella grande sala del Sorrento Palace. Nessuna vera sorpresa, tuttavia, da Gothic di Ken Russell, il quale non si smentisce trovando ancora una volta materia per sfogare tutto il suo "kitsch" e il suo delirante talento visionario. Gliel'ha offerta uno spunto, elaborato dallo sceneggiatore Stephen Votk che per certi versi meglio non poteva mandarlo a nozze con le sue torbide ossessioni per una nuova sarabanda allucinata.
Basti tener presente che il regista, la cui straripante personalità, nel bene e nel male, si impose nei decenni passati con una lunga serie di estrosi quanto impietosi ritratti biografici di musicisti (da Debussy a Prokofìev, da Bartók a Richard Strauss) realizzati per la Tv prima di estenderli al cinema con i film dedicati a Ciaikovski (il bellissimo L'altra faccia dell'amore) a Mahler e a Liszt, questa volta passando in campo letterario, ha potuto prendersela in un sol colpo con due campioni di genio e sregolatezza quali George Byron (1788-1824) e Percy Shelley (1792-1822). E poco importa, al gusto dissacratorio di Russell, se furono anche i due più brillanti poeti del romanticismo inglese.
È noto il loro incontro del giugno 1816 nella villa Diodati sul Lago di Ginevra, dove lord Byron si era rifugiato dopo lo scandalo con la sorellastra Augusta, da lui lasciata incinta, e l'abbandono della moglie. Vennero a trovarlo il giovane Shelley assieme alla compagna e futura moglie Mary Godwin e alla sorellastra di costei, Claire, infatuata del poeta in esilio. E il film ci racconta le cose da tregenda che nella stessa notte del 16 giugno sarebbero avvenute tra gli ospiti della dimora (compreso il dottor Polidori che già teneva un rapporto omosessuale con l'errabondo poeta) sotto la diabolica influenza di Byron.
Mentre fuori infuria una tempesta (fulmini e saette come quelle che sarebbero serviti al dottor Frankenstein per dare vita alla sua creatura), con la piena adesione di Shelley che assieme alla sua avversione per il cristianesimo nutriva la passione per le pratiche occulte, Byron decide di evocare in seduta spiritica i più orridi fantasmi che ciascuno dei presenti possa immaginare.
Ciò che di conseguenza si scatena, con Claire in funzione di medium, è una sinfonia di orrori in crescendo che non è il caso di enumerare.
I momenti osceni (un manichino meccanico femminile che si denuda in movenze volgari, due occhi bramosi che spuntano dai capezzoli di Claire) si alternano a colpi sempre più bassi allo stomaco degli spettatori: Shelley che assapora nelle stalle "l'odore della tomba", si imbatte in liquami da ectoplasma e nella testa mozza del dottor Polidori che si trasforma in quella di un maiale; Byron dal piede caprino che, più a suo agio nel subire "il fascino irresistibile del terrore", vampirizza Claire che pure è incinta di lui ed è sedotto dalla bellezza di Shelley.
Se è vero che le allucinazioni dei due poeti possono essere dovute in gran parte al loro largo uso di oppio e laudano, differente è la sfera sovrannaturale toccata dalla diciannovenne Mary, ossessionata dall'aborto subito l’anno prima e tentata dall'autodistruzione dopo essersi sentita chiamare "mamma" dal bambino che non ha avuto e che vede composto in una bara, in definitiva, dopo che l'orrido incantesimo si placa con una seconda seduta in una cripta per spazzare via i fantasmi, si avverte che il racconto è stabilito soprattutto in funzione di colei che stava per divenire la signora Mary Shelley e che proprio dall'esperienza di quella notte avrebbe tratto ispirazione per il suo celebre romanzo "Frankenstein" del 1817.
Non a caso è questo personaggio il solo tratteggiato con qualche sfumatura e reso con sufficiente proprietà dall'attrice Natasha Richardson, figlia d'arte del regista Tony Richardson e di Vanessa Redgrave. Al contrario di Gabriel Byrne (il "Colombo" televisivo) e Julian Sands, freddamente stilizzati nei rispettivi ruoli di Byron e Shelley.
Tornando alla regia di Russell, essa va presa per una torrenziale esasperazione del campionario più schizoide del suo cinema: un concentrato di effetti che, volendo assommare tutto il possibile del genere "gotico", ma spogliato della necessaria ironia, troppo spesso si risolvono in semplici effettacci da Grand Guignol.
Ci è sembrato tuttavia di avvertire una marcata influenza delle recenti pratiche "artistiche" del regista nel campo del video musicale e della lirica. Riguardo a quest'ultima, c'è indubbiamente qualcosa, nella concitazione del dramma in stretta aderenza con le note alte e i ritmi della musica composta da Thomas Dolby, che apparenta il film con le elaborate scenografie, all'opera da palcoscenico.
Causa la notorietà di Ken Russell, il discorso su Ghotic ci ha preso un po' la mano, tanto da farci trascurare, oltre ad un consuntivo della manifestazione sorrentina, almeno un paio di altri film in rassegna certamente più meritevoli di questo. Sarà il caso di rinviarne la considerazione dopo la chiusura degli «Incontri», questa sera, al Teatro San Carlo di Napoli, per la cerimonia di consegna dei tradizionali premi "De Sica".
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