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L'horror a due dimensioni


di Lietta Tornabuoni


Ci sono due film, in "Gothika" di Mathieu Kassovitz, appartenenti a due sottogeneri differenti.

C'è l'horror realistico: due maturi grassoni amici, uno nero e uno bianco, portatori di autorità (dirigente del carcere femminile, sceriffo), criminali, sequestrano ragazze carine, le imprigionano, le seviziano, le uccidono, le seppelliscono. Con tutti i paraphernalia del caso: grande letto dalle lenzuola macchiare di sangue, catene per immobilizzare le vittime a gambe divaricate e telecamere per filmare le violenze, videocassette, sotterraneo polveroso dove il peggio si svolge, occasionali stupri perpetrati nelle celle sulle detenute.

Poi c'è l'horror sovrannaturale: fantasmi di ragazze fiammeggianti come torce accese, Halle Berry dottoressa che analizza la carcerata Penelope Cruz sicura di venir posseduta dal diavolo, vaniloqui satanici, le parole misteriose "Non solo" che compaiono sulle pareti scritte col sangue, visioni di tortura, bocche colme di fuoco, fenomeni paranormali di spostamento e aggressioni corporali, tatuaggi esoterici, sette demoniache. È una tendenza contemporanea interessante quella di sommare in un unico film generi diversi, un metodo nato dalla comicità e dalla parodia che è rapidamente passato alla serietà e al mercato, un espediente adottato nella speranza di raddoppiare anche gli spettatori: ma in "Gothika" la doppiezza è più estesa.

Doppia la protagonista Halle Berry, psichiatra carceraria che si ritrova incarcerata, studiosa di assassini accusata di assassinio del marito, razionalista travolta dall'irrazionale. Doppio l'atteggiamento del regista Mathieu Kassovitz, parigino, 37 anni, figlio di cineasti, amico di Vincent Cassell, attore, autore di film ("Métisse", "L'odio", "Assassin(s)") che lo fecero definire un giovane genio nichilista, poi passato con "I fiumi dei porpora" a un cinema più commerciale. Qui sembra dedicarsi con impegno al suo lavoro e insieme parodiarlo, irridere se stesso oppure vendicarsi delle eccessive pretese semplificatorie dei suoi produttori americani. Basta vedere la clamorosa banalità di certi momenti: quello del classico maltempo horror (pioggia, notte, tuoni fulmini e saette, diluvio, interruzioni stradale, solitudine), oppure quello della conclusione della storia ("È passato quasi un anno e ancora faccio brutti sogni. A volte mi sveglio urlando ... Ma ce l’abbiamo fatta").






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