Spielberg a tinte horror per combattere gli alieni
di Tullio Kezich
Oggi 29 giugno scoppia nel mondo La guerra dei mondi. Il film di Steven Spielberg, che invaderà le sale in 10mila copie di cui 650 in Italia, inizia con le stesse parole del romanzo fantascientifico di H. G. Wells (1898), solo trasferito al tempo presente. Non vi aspettate poi che l'attonito testimone in fuga dagli alieni sia un intellettuale, come nel libro. Tom Cruise è un portuale divorziato, che ha un rapporto conflittuale con i figli; l'adolescente Justin Chatwin e la bambina Dakota Fanning (una piccola attrice da Oscar). Su questo nodo famigliare il film intreccia una labile trama a supporto delle scene catastrofiche, imitando Wells che non si preoccupò di inventare un vero e proprio soggetto. Va ricordato, per inciso, che mai profezia sballata risultò più tragicamente giusta di quella che sulla soglia del Novecento lo scrittore inglese oppose in chiave antitetica al «trionfo della luce» del ballo Excelsior, preconizzando l'avvento del buio causa invasione di marziani.
Trascorso oltre un secolo, bisogna ammettere che di abitanti di Marte non se n'è visto neanche uno, ma in cambio Londra è stata davvero semidistrutta, proprio come nel libro, e sul pianeta si sono succedute stragi anche peggiori: due conflitti mondiali, l'Atomica, l'Olocausto, il Gulag, le purghe di Mao; e sconfinando ai giorni nostri, costretti a fare i conti con i «martiri» bombaroli di Bagdad e i bigotti nucleari di Teheran preferiremmo quasi veder atterrare gli extraterrestri. Che magari si rivelerebbero bravi e buoni, secondo la precedente visione di Spielberg in Incontri ravvicinati e E.T.
Per attingere alla massima credibilità Wells ambientò la sua opera intorno alla casa dove abitava, a Woking, e la prima brillante idea della famosa trasmissione di Orson Welles che il 30 ottobre 1938 mandò in tilt gli Usa fu di trasferire l'azione nel New Jersey. La seconda trovata consistè nel raccontare gli eventi come in un giornale radio, che fu scambiato per autentico con le note tragicomiche conseguenze. Furono geniali scelte che il produttore John Houseman suggerì allo sceneggiatore Howard Koch e di cui, arrivando al microfono ignaro di tutto, il furbacchione Orson si prese il merito (lo si legge nella biografia scritta da Simon Callow).
Tra i precedenti dell'attuale kolossal c'è poi un altro La guerra dei mondi, prodotto da George Pal nel 1953, un cult movie del quale Spielberg ha riesumato i protagonisti nei panni dei suoceri di Cruise. Uscito nel pieno di quella psicosi dei dischi volanti acutamente analizzata da C.G.Jung, il film strappò un Oscar per gli effetti speciali, inclusa un'atomica vanamente lanciata contro gli invasori.
La variante Pal si collocava a Los Angeles e dintorni, mentre Spielberg forse desideroso di coniugare Wells e Welles torna nel New Jersey da dove parte la ritirata di Cruise e figli verso Boston.
Sull'arco dei 116 minuti di La guerra dei mondi convivono due film. Nel primo, Spielberg, aggiornato al dopo 11 settembre, aggancia la metafora ai timori dell'epoca presente. Sicché assistiamo all'apocalittica messinscena con il brivido di chi sa che cose simili sono in qualche modo già successe e continuano a incombere.
Spielberg si ricorda di San Francisco (1936) per descrivere le strade che si spaccano in voragini, del Titanic per il tumultuoso naufragio del traghetto sull'Hudson, di Griffith e del Soldato Ryan per la battaglia sulla collina; e ci regala una sequenza memorabile quando all'improvviso Dakota vede scorrere il fiume pieno di cadaveri. Purtroppo dal momento in cui si scende nella cantina dov'è asserragliato Tim Robbins lo spettacolo prende le tinte dell'horror: e il rimpiattino con i serpentoni meccanici che cercano le prede da acchiappare e dissanguare, pur girato benissimo, assume un carattere pressoché consolatorio.
Ovvero ci ricorda che siamo al cinema, dove tutto è finto. Ed è un vero peccato: se The War of the Worlds fosse tutto come la prima metà sarebbe ricordato come il Gran Portale delle Paure del XXIesimo secolo.
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