Istambul bound
di Carlo Bordoni, "Nuove scritture" n. 13, ed. Tabula fati, 2007, 192 pagg. 10,00 €
Un romanzo marinaresco direi classico, che si rifà, cioè, alla tradizione del genere, nel quale gli elementi propriamente fantastici sembrano scarseggiare.
Un ragazzo, dopo la morte del padre, è costretto a lasciare la scuola per mantenere la madre, e sé stesso; dopo i soliti lavoretti saltuari, trova, però, da imbarcarsi.
Mozzo, su una nave che fa la rotta Marina di Carrara Istambul.
Il capitano, di quella nave, ha un sogno: trovare un’isola non segnata sulle mappe dove vaghi accenni in letture disordinate gli hanno detto ci sarebbero immensi tesori nascosti sotto il mare.
Un sogno che lo è, anche, letteralmente; ne ha uno ricorrente, sempre uguale, di un capitano di un’altra nave che, tentando di raggiungere quell’isola, vi si schianta disastrosamente. Di cui ha la sensazione che si tratti di una sua vita passata rivissuta, che sia lui stesso, quel capitano, insomma, in una sua vita precedente: "Aveva persino avvertito, con terrore, di aver già vissuto secoli prima quell’esperienza il cui ricordo era sepolto nell’inconscio. (…) Qualcosa a che fare con la metempsicosi. L’ipotesi che si potesse rinascere diverse volte, animale o essere umano." (pag. 115).
E, seguendo questo suo sogno, porterà l’intero equipaggio in un’avventura dall’esito tragico. O, forse, anche fantastico.
Quando il protagonista/narratore, sbalzato da un’onda gigantesca sull’isola mentre stavano cercando di sbarcarvi, trovatosi solo, bagnato e spaventato, vedrà il mare riingiottirsela, l’isola, vedrà una luce intensissima, che infine si farà suono, dolce.
In cui si ha la tipica sospensione della credulità: si può protendere per la spiegazione razionale, che sia la Morte, o per quella fantastica, di una sorta di trascendenza.
Penso non sia un caso se vi si citi il "Gordon Pym": "Gordon Pym, colto al volo da una biblioteca pubblica verso i quattordici anni, dapprima con ostilità e poi con sempre maggiore piacere, sulla scia dei racconti del terrore e del mistero." (pagg. 49-50). Il finale, di quello, è qualcosa di simile.
Di altro, di buono, vi ho trovato un dire del mito: "Tutti i miti nascono da qualcosa di vero, da un granello di realtà che poi è stato trasformato dalla fantasia popolare, ingigantito, tramandato come un racconto favoloso e poi entrato nell’immaginario di tutti, come un ricordo collettivo." (pag. 66), oltre a, vari, sulla vita di mare, dei quali il più significativo mi è sembrato questo: "Compivano gesti che mi sembravano inutili, con una lentezza esasperante, tipica di chi deve riempire il tempo d’attesa con qualche attività. Si muovevano piano, assecondando l’ondeggiare dello scafo come provetti equilibristi, senza muovere un muscolo del viso. Le facce dure non tradivano emozioni, né sforzi, ma neppure desideri o piaceri. Stare a bordo era una modalità d’esistenza, e così me l’ero immaginata la vita sul mare. Una condizione di vita, un modo di essere. Davvero una necessità irrinunciabile." (pagg. 85-86).
Il volume è completato da una "Presentazione", di Teodor Józef Korzeniowski (pagg. 5-8), e un "L'autore", pag. 189.
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