Sangue per l'apprendista zombie
di Maurizio Porro
Prendetelo con filosofia, anche l'horror. Lo garantisce Clive Barker, il neo regista nato a Liverpool, laureato, trentacinquenne con l'effetto speciale del venticinquenne, che ha avuto la madre come consulente psicanalitica e crede fermamente che il fantastico sia l'unica verità e che i mostri ci appartengono perché sono accomodati dentro di noi.
Aiutato, nella promozione, dal celebre Stephen King, autore di «Shining» , che gli predice redditizi terrori sullo schermo dopo una fortunatissima carriera letteraria (i suoi libri hanno venduto cinque milioni di copie, da noi ci penserà Longanesi a colmare la lacuna) e teatrale (ha scritto una dozzina di commedie, tra cui una su Goya e una sulla vita privata dei cartoon), Barker - che a tempo perso fa anche il pittore - presenta ora in Italia questo suo Hellraiser (“Non ci sono limiti”, specifica il sottotitolo) che in America (il budget è sempre in dollari) è stato un campioncino di incassi.
Come già riferimmo da Cattolica, il fìlm, di cui si sta già girando il bis, ha una sua abilità di confezione, manovra i trucchi e gli effetti speciali di Bob Keen (Aliena, L'Impero colpisce ancora, Highlander), spinge in scena tutto il campionario degli orrori, appoggiandosi ancora una volta ai demoni e ai morti viventi ma, alla resa dei conti narrativa e psicologica, non si 'può dire che Barker getti luce nel futuro dei nostri spaventi.
È nostra convinzione (e il regista ci assicura che ora sta lavorando a una commedia) che Barker sia portato a vivisezionare gli interni e gli inferni di famiglia, dove nessuno, assicura, è mai innocente, piuttosto che a manipolare antiche leggende e riciclare i terrori del subconscio.
Ispirato sia da Buñuel sia dal cubo di Rubik (ma dietro, in fila, l'autore dice che ci stanno Poe, Lovecraft, Bosch, Dostoevskij, fino ad arrivare ai colleghi preferiti (Lynch e Cronenberg)), Barker, che ha tratto la materia dal suo racconto «The hellbound heart», immagina che il curioso Frank, entrando in possesso di una misteriosa e magica scatoletta, risvegli creature d'oltre tomba dalle quali riceve inenarrabili piaceri e torture mortali.
Cosicché quando nella casa che aveva abitato a Londra arriva il fratello con la moglie, da lui amata, e per caso un po' di sangue cade sul pavimento, per l'apprendista zombie è una pacchia succhiarlo e iniziare di nuovo il processo di iniziazione alla vita.
Prima solo pelle, bava e ossa, poi via via sempre più arterioso e presentabile, infine con la sua brava camicia bianca, il «mostro» in soffitta si presenta a Julia, puntando sull'antico amore e a lei chiede, come nella “Piccola bottega degli orrori”, di procurargli sangue fresco per portare a termine la sua metamorfosi.
La donna, turbata ma obbediente, si dà così a massacrare compagni occasionali, finché nella storia non si mette di mezzo la figliastra che, dopo che papà è stato tutto succhiato dal fratello e Frank ne ha preso le sembianze, entrerà in possesso della scatoletta dello zio, richiamerà in vita i démoni e saranno loro a dare una bella lezione a Frank.
Popolato di creature poco affidabili, di cui alcune con l'inconscio a nudo (ma Barker assicura di essere dalla parte di Jung più che di Freud) e da un gigante con una maschera di spilli e bagnato di sangue e altri liquami, Hellraiser, nonostante l'autore ci spieghi come ha ribaltato gli stereotipi del genere (il mostro è debole, ed è la donna che uccide uomini di mezza età e non viceversa) resta una fiera non così ben organizzata e in cui comunque preferiamo la prima parte più intima con cinica cronaca familiare.
Impreciso nei raccordi del racconto e fedele a una certa effettistica banalità Barker naturalmente utilizza il professionistico bagaglio del fantastico, chiude in soffitta le sue nevrosi, nasconde le implicazioni sessuali e da il tutto nelle mani di attori bravini e un po' anonimi.
Del resto il suo incubo è dover fare un giorno un film con Meryl Streep.
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