C'è un mostro sull'autostrada
di Giovanni Grazzini
La mamma gliel'aveva detto: quando, di notte, guidi l'automobile in una zona deserta, non dare un passaggio a sconosciuti. Per non averle dato ascolto (come Rosaleen nel film In compagnia dei lupi, ed è curioso questo insistere nel richiamare all'ordine i giovani...), il ragazzo Jim si trova in grandissimi guai. L'uomo che gli ha chiesto di fermarsi durante il temporale sì rivela infatti un mostro dell'autostrada, il quale ricorre all'autostop per disporre d'un buon numero di vittime, e all'occorrenza fa stragi anche nelle stazioni di servizio, nei motel e nei posti di polizia. Jim riesce a sfuggirgli, ma ogni volta se lo ritrova alle calcagna, e la sua paura d'essere ucciso cresce d'ora in ora. Scambiato per l'inseguitore, finisce addirittura in prigione, e anche qui il mostro lo raggiunge, sicché al poverino non resta che sequestrare i poliziotti.
Con una ragazza unitasi a lui, Jim è ora tra due fuochi: crescono il terrore e la disperazione, le sparatorie non si contano più, e ai capotamenti acrobatici si alternano roghi spaventosi. Quando il mostro viene catturato, il tragico tocca la vetta dell'orrore. La ragazza muore squartata, e per farsi giustizia da sé Jim deve ancora ricorrere alla più cruda violenza.
Recentemente premiata a Cognac come miglior film poliziesco, The Hilcher (L'autostoppista) appartiene piuttosto al filone del cinema mozzafiato, del genere Duel, di cui è protagonista la Minaccia, esercitata su un innocente da una forza sarcastica e ubiqua che mentre semina il suo cammino di cadaveri aspetta al varco, senza mollarlo, chi ha preso di mira, contando anche sul proprio potere di fascinazione. E dunque è un film tutto giocato sull'ingigantirsi dell'assillo, sull'angoscia del vicolo cieco, sul sangue e le catastrofi, tanto più spettacolari quanto più si è lontani dai centri abitati, lungo quelle autostrade che attraversando i deserti sembrano favorire i miraggi ed essere i metafisici luoghi di scontro fra il Male e il Bene.
Memore di tanti illustri modelli, il giovane regista americano Robert Harmon ne assorbe i succhi migliori e dà al suo pubblico quanto gli chiede: un racconto senza pause di riflessione, che trasmette l'incubo dell'irrealtà e la morsa dell'assurdo, metafora delle sfide alle quali gli adolescenti dovranno rispondere, se vogliono salvarsi, con la stessa spietatezza degli adulti, gli uni e gli altri travolti in un mondo che ha smarrito la ragione. Per cui il filo conduttore dell'apologo viene ad essere non già l'azione efferata del mostro (come sarebbe stato se Harmon avesse insistito sulla truculenza) ma la follia del suo sarcastico sorriso, che trascina al delirio omicida anche quel mite ragazzo, colpevole soltanto d'aver compiuto, in una notte di tempesta, un gesto generoso.
La scelta degli interpreti è tutt'altro che estranea al successo del thriller. Il pazzo di turno è infatti Rutger Hauer, il più temibile fra i replicanti di Blade Runner, invulnerabile sino all'ultimo, e la sua vittima è Thomas Howell, uno dei ragazzi della 56ª strada di Coppola, che trascorrendo dallo stupore allo spavento e alla ferocia dà a Jim le vibrazioni opportune. Intorno al loro duello si muove, nel contrappunto fra i grandi silenzi del paesaggio e la concitazione delle fughe (con capriole automobilistiche di grande effetto), una piccola umanità fantasmatica, simbolizzata dal comportamento d'una polizia dissennata.
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