Tra fantasy e horror diventa un caso il film con Kylie Minogue
di Valerio Cappelli
Il presidente della giuria Nanni Moretti ha detto di aspettarsi di rimanere sorpreso. In Holy Motors trova pane per i suoi denti. La follia visionaria del 52enne regista francese Leos Carax, in cui il protagonista e suo alter ego Denis Lavant interpreta «undici ruoli e mezzo», ha avuto i maggiori applausi dalla stampa, con diversi roboanti fischi nel mezzo.
Sulle strade di Parigi, dentro una limousine-camerino un uomo si cambia, trucco e parrucca, entra ed esce da una vita all'altra: capitano d'industria, fisarmonicista, assassino, vittima, padre di famiglia, zingara mendicante, creatura bestiale che esce dalle fogne e azzanna una fotografa attratta da nani e giganti; è la scena più «estrema» e dunque quella che fa vibrare gli amanti del paradosso con gli occhi pieni di troppe immagini: la statuaria Eva Mendes è in posa, muta, rapita da quella figura orrida al cimitero Père Lachaise (dove riposa Jim Morrison), i nomi sulle lapidi sostituiti da indirizzi web. Denis Lavant sembra esplorare i vari generi, fantasy, horror, dramma familiare, musical.
Qui appare la pop star Kylie Minogue nei panni dell'ex fiamma del protagonista, e canta con la sua voce rotonda prima dell'addio tragico. «Ho cominciato come attrice, per me è un ritorno alle origini. Essere a Cannes è un sogno». Kylie, l'icona gay che ha sconfitto il cancro, ama la semplicità ("il vero lusso è poter guardare senza essere guardata") e twitter ("a dispetto degli psicopatici che non ti mollano mai"). È simpatica quando risponde a chi le dice siamo sorpresi di vederla qui: "Ho sbagliato conferenza stampa?". Finito il tour, Lavant tornerà a casa, la divide con due scimmie, una di taglia forte: «La scena più complicata, avevo paura, dovevo prenderne in braccio una, nei suoi occhi c'era il lampo della pazzia».
Michel Piccoli ha un cameo in cui non è chiaro se sia «un produttore, un sinistro politico o un boss della mafia».
Parlando dei suoi personaggi che vivono senza rete, marginali per scelta o per obbligo in un mondo che non li prevede, il regista lascia ai suoi apostoli citazioni sulla molteplicità e la frantumazione dell' «io», Kafka, Borges, Bataille, Céline, Pìrandello, sottolineando ai suoi detrattori che non è un manierismo teorico o, peggio, una bufala d'autore: «Spesso vengo frainteso, il che è peggio dell'incomprensione». Quando si presentò a Cannes nel 1999 per Pola X, accolto da fischi e basta, gli chiesero: cosa ha fatto in tutti questi anni? «Sono andato al diavolo», rispose. Era riemerso otto anni dopo la bancarotta provocata da Gli amanti di Pont Neuf. Ora perlomeno non insulta più: "Io non faccio film per il pubblico, sono esperienze private. Ma invito tutti a vederle». Una giornalista inglese, popolo che va all'osso, si rivolge alla Minogue: «Lei vende milioni di dischi, è felice di aver partecipato a un film privato.?».
«No, non lo. sapevo, non mi ha dato troppe informazioni, ignoravo la sua visione del film».
«È la purezza in persona», dice Carax che la conosceva di nome. "Nessuno aveva la sceneggiatura, prendo solo qualche appunto per convincere i produttori". La scena finale si svolge nel garage in cui sì mettono a parlottare fra loro delle limousine bianche che rimandano al titolo.
"Così vistose e di cattivo gusto, le vedo nei matrimoni cinesi. Le macchine, come gli uomini e gli animali, segnano la fine di un'epoca, siamo tutti schiavi di un mondo virtuale».
Carax, il regista che gioca d'azzardo, lascia il dubbio: cala il pocker o b1uffa?
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