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Cappuccetto rosso '85


di Giovanni Grazzini


Se avete una ragazza che attraversa l'età dello sviluppo, evitate di tenere in casa un cane lupo. Le sue fantasie, i suoi mal di pancia, possono prendere una brutta piega, come appunto accade alla giovane Rosaleen. Che smania nel suo lettino, assalita da incubi ai quali concorrono, secondo gli stereotipi, anche bambole e pupazzi, i giochi dell'infanzia cui sta per dare l'addio.

Per cominciare Rosaleen sogna di vivere nel primo Ottocento e di assistere ai funerali della sorella maggiore, sbranata da un ferocissimo lupo. Poi, guidata dai racconti della nonna che vuole educarla a diffidare dei maschi, entra in una catena di fiabe terrorizzanti.

In quella d'una contadina sposatasi un viandante che si rivelò un lupo, la prima notte di nozze scomparve nella foresta, e quando tornò fu decapita dal secondo marito della donna. In quella d'un'altra contadina che, messa incinta da un nobiluomo, andò a svergognarlo il giorno del matrimonio e trasformò in lupi gli invitati al banchetto.

Poi nella favola di se stessa, che indossata la mantellina di Capuccetto Rosso, mentre va a trovare la nonna incontra nel bosco un bel cacciatore il quale scommette di arrivare dalla cara vecchietta prima di lei, e vuole in cambio un bacio. Ancora una volta si tratta invece di un lupo, che decapita la donna con una zampata e la brucia nel caminetto, e aspetta, in sedia a dondolo, che la ragazzina bussi alla porta. Colpo di scena: Rosaleen entra nella capanna, capisce a volo che cosa è successo, e spara al cacciatore. Ma quando costui, ferito, si trasforma in lupo, lei n’ha compassione. Peggio, diviene a sua volta una lupa e lo segue nel bosco. A questo punto (siamo tornati ai nostri giorni) Rosaleen si sveglia urlando. Perché c'è davvero un cane lupo che dalla finestra le piomba in camera.

Tratto da un racconto di Angela Carter che lo ha sceneggiato insieme al regista, In compagnia dei lupi vuole essere una rilettura adulta delle favole, intesa a portarne a galla i motivi psicanalitici nel quadro della sessualità adolescenziale. Operazione ben nota, e non priva di qualche interesse, ma che qui sfocia curiosamente in una lezione moralistica, discesa da una sorta di pedagogia neo-vittoriana.

Mancando la benché minima ombra d'ironia, il film si risolve infatti in un monito ai giovani perché non deviino dal retto sentiero e obbediscano ai grandi, i quali ben sanno come uomini e donne possano avere natura lupesca. Ne dà testimonianza la Rosaleen della fiaba, che si lascia conquistare dal cacciatore diabolico, convinta ad averne pietà anche dal gesto di un prete che soccorse una ragazza-lupo.

Mettendo da parte i suoi saggi ammaestramenti, così in linea con la politica della signora Thatcher, il film ha invece il merito della messinscena, tanto meno dolciastra di quella di Legend. Chi ama il cinema delle metamorfosi avrà di che essere grato agli effetti speciali di Christopher Tucker. La trasfigurazione degli uomini in lupi infatti si compie con affascinanti trucchi visivi, tagliate di netto le teste volano con pittoresca parabola, e al momento giusto la neve si macchia di sangue. Aiutato dalle scenografie di Anton Furst (tutto è inventato in interni, anche le foreste) e da un inquietante bestiario, il regista irlandese Neil Jordan, anni 35, qui all'opera seconda. a suo modo si fa onore. Mentre la sua speranza di far concorrenza al fantastico di Hollywood riecheggiando Cocteau è da incoraggiare, mostra buona immaginazione, e anche una certa perizia nel racconto a cannocchiale. Sa insinuare il dubbio che la nonna di Cappuccetto Rosso abbia qualcosa di stregonesco, muove tutte le sequenze in costume in una gotica cornice notturna e nebbiosa, mischia l'horror e il thriller con già matura professionalità, e si giova di attori che si confanno a quell'universo di ululati, di musi pelosi e di zanne uscite da settecenteschi scarpini.

Rosaleen è un'esordiente, la tredicenne Sarah Patterson che spaurisce a dovere. La nonna è la sempre brava Angela Lansbury, il cacciatore è il ballerino Micha Bergese. Chi non appare è Charles Perrault, il papà del vero Cappuccetto Rosso. La nuova cultura l'ha messo alla porta.






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