di Tullio Kezich

È passato un quarto di secolo da quando uscì Incontri ravvicinati del terzo tipo e, con mia grande delusione, gli extraterrestri non sono ancora qui. Nel 1977 volammo a Parigi in un gruppo di giornalisti per assistere alla prima del film e incontrare Spielberg che sembrava sul punto di rivelarci qualche segreto interplanetario. Fu il timore di rendermi ridicolo che mi trattenne dal chiedergli: «Insomma, secondo lei, quando arrivano?». Non so che impressione farà a voi vedere o rivedere questo film diverso da tutti (e da domani in offerta con il Corriere), ma ogni volta per me è come se anticipasse in chiave di fantasticheria qualcosa che fatalmente interverrà a cambiare il corso della storia umana.

Sullo schermo Richard Dreyfuss è un tecnico che vive con la famigliola in un borgo dell'Indiana. C'è un blackout, deve accorrere e durante l'intervento è sopraffatto da fenomeni inspiegabili: la terra trema, oggetti volanti gli passano sopra la testa ... da quel momento lo ossessiona l'immagine di una montagna che poi identifica con la Devil's Tower del Wyoming. È là che dovrà andare per capire cosa sta succedendo mentre l'esercito ha fatto sfollare la zona. Degli strani accadimenti si stanno preoccupando le alte sfere, dopo che uno scienziato francese (il regista François Truffaut) ha scoperto nel deserto di Sonora una squadriglia di aerei della seconda guerra considerati dispersi alle Bermuda ...

Del film scrisse Ray Bradbury: «È il più importante del nostro tempo». Per equità riferirò che il critico Molly Haskell decretò: «È la più stupida storia mai raccontata». In che posizione fra questi due estremi si collocherà il vostro giudizio? Per conto mio, sarei tentato di schierarmi con l'autore di Fahrenheit 451. Continuo a essere soggiogato dal racconto, tranne che non riesco a condividere l'ottimismo di Spielberg sulla docilità degli alieni. E se quelli che arriveranno da lassù anziché presentarsi buoni e tranquilli come da copione ci cadessero addosso portando guerra e sterminio? Il gioco di illusioni della pellicola culmina, al suono delle magiche «cinque note del compositore Szigeti, nella riapparizione del bambino rapito (Cary Guffey) e dei piloti della squadriglia fantasma arenata nel deserto.

A chi non piacerebbe assistere all'arrivo di un'astronave che ci riportasse i nostri cari estinti? Per esempio, tanto per restare nel film, il compianto Truffaut; e dietro a lui alcuni colleghi che parteciparono al viaggio a Parigi e abbiamo ahimè perduto per la strada.

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