Molto probabilmente gli studi Pixar sono in questo momento la compagnia produttiva più innovativa che operi nel cinema americano. E non solo sul piano delle tecnologie, con la sua straordinaria perfezione nel disegno animato digitale, ma soprattutto per la capacità di riflettere sulla società americana e coglierne gli aspetti più critici, utilizzando la commozione o l'umorismo come misura di uno spirito di tolleranza (Monsters & Co.) e di solidarietà (Alla ricerca di Nemo) che sfocia nell'esigenza di un'umanità responsabile e adulta. Pur raccontando storie che si vogliono destinate in primo luogo a un pubblico infantile. L'ultimo film prodotto, Gli incredibili? Una "normale" famiglia di supereroi, sembra una risposta all'affermazione warholiana per cui in questa società ognuno avrebbe diritto a 15 minuti di popolarità. Proprio questa illusione scatena la follia distruttrice di un fan di Mister Incredibile, il supereroe che nella seconda parte del film si sobbarcherà il compito (con moglie e figli altrettanto supereroi) di salvare New York dalla distruzione. Dopo aver subito, nella prima parte del film, l'isterismo (e l'ostracismo) di una popolazione così abituata ai suoi interventi di salvataggio da non essere neppure più capace di riconoscerne il valore. Come si vede i temi che si intrecciano lungo il film toccano alcuni dei punti nevralgici della nostra cultura (l'illusione della popolarità mediatica, l'invidia, la riconoscenza, il dovere della solidarietà) che la storia, scritta dallo stesso regista, autore nel 1999 di un sottovalutato Il gigante di ferro, elabora con un ritmo finalmente disteso, senza preoccuparsi di infarcire una gag ogni venti secondi, ma rimasticando tutto un universo culturale che va dai fumetti al cinema, scenografie "ellittiche" alla Ken Adam comprese. Confermando ancora una volta l'idea che produrre "un film per bambini" non vuol dire fare un film semplicistico o, peggio, bambinesco.

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