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Indiana Jones n. 2


di Giovanni Grazzini


E lasciatevi spaventare ... Se niente più vi diverte che provare ribrezzo e paura, e se conservate memoria degli incubi infantili, il film fa per voi, quale che sia la vostra età.

L’animosa polemica che divide i fans di Lucas & Spielberg dai loro detrattori, per cui secondo i punti di vista quella premiatissima ditta produce delizie fantastiche o colossali cretinate, e insomma di lana caprina. Come si possono nel contempo venerare Bach e i Beatles, Mozart e i Rolling Stones. non si vede perché si debba negare anche a professori, banchieri e magistrati il diritto di dare ascolto all'eterno fanciullo che - ce lo disse il poeta - è in tutti noi, sempre disposto alla meraviglia, al brivido e alla lacrima.

Lucas & Spielberg non chiedono a nessuno di entrare nello stesso capitolo della storia del cinema che già ospita Rossellini, Antonioni o Bergman.

Pretendono di piacere ai bambini e agli adulti che non si vergognano di tornare per due ore bambini, con le loro storie impossibili, iperboliche e paradossali, che i ragazzi bevono con gli occhi stringendosi alla mamma, e nelle quali i vecchietti leggono la parodia di mille racconti d'orrore e d’avventura. La pretesa di Lucas & Spielberg è fondata su buoni argomenti: su una fantasia che combina l'eco di interi filoni di narrativa popolare, sulla dovizia degli effetti speciali, sul ritmo frenetico delle immagini.

Poiché di Indiana Jones e il tempio maledetto è stato già scritto dalla recente mostra di Venezia, basti aggiungere che il film - il racconto e pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer - è sensibilmente diverso dal Predatori dell'arca perduta, e non soltanto perché preme di più il pedale del raccapriccio. Visto il grande successo di E.T., protagonisti ne sono ora gli stessi bambini ai quali si rivolge. Il "deus ex machina" che il più delle volte toglie Indiana Jones dai pasticci è Short Round il piccolo tassinaro di Shangai accompagnatosi all'eroe. Il suo antagonista e un maragià bambino, e soprattutto bambini innocenti sono le vittime dei Thugs, costretti a cercare nelle viscere della terra le pietre preziose che darebbero il potere del mondo ai seguaci della dea Kali.

Può essere vero che gli sceneggiatori Willard Huyck e Gloria Katz hanno minore fantasia di Lawrence Kasdan (lo sceneggiatore dell'Arca perduta), e che qua e là il racconto ristagna, ma quell'aver puntato sui ragazzini e stata una buona idea, per il patetico che ne deriva, innestato sul tronco antico dei prodigi.

Spunti assai allegri offre al film, a sua volta, la figura di Willie Scott, la cantante di cabaret che attraversa la giungla in scarpette di raso bianco.

La sua strizzata d'occhio al pubblico, nei titoli di testa in stile "follie di Broadway" (il film s'immagina ambientato nel 1935), è il marchio di fabbrica d'una serie di peripezie e di colpi di scena che hanno il loro controcanto ironico nelle battute della bambola bionda, inviperita perché si spezza un’unghia (e rischia di finire arrostita), perché odia sentirsi bagnata (e in India stà per cadere nelle fauci dei coccodrilli), perché nella giungla non trova un telefono, e quando chiede di mangiare qualcosa di più semplice che non scarafaggi giganti e cervello di scimmia semifreddo si vede portare una zuppa di occhi.

«Niente può scioccarmi, sono uno scienziato», dice Indiana Jones, ma gli strilli di lei che cammina su tappeti di bacherozzi, è coperta di insetti schifosi e sbatte contro gli scheletri, fanno più effetto della musica di John Williams.

Col passare del tempo a tutto ci si abitua (e aver letto Salgari è di grande conforto), però le invenzioni scenografiche, i trucchi usati per darci il voltastomaco, il sorriso con cui le sequenze del sacrifici umani sono introdotte da scene modellate sulla commedia brillante, e le vie pittoresche percorse da Spielberg per combattere il fanatismo, riempiono largamente il vuoto dei personaggi. Siamo nel giardino dell'innocenza, dove i più efferati e ghigni più satanici sano peregrinazioni nel mistero. Siamo nelle favole degli orchi, nelle magie dell’Oriente, dove può accade di tutto in una sarabanda di sciabole, frecce e fucilate. L’obbligo è di sbalordire. In un universo alla James Bond in cui i perfidi sono sempre pessimi tiratori, e Indy se la cava con una scalfittura alla mano destra, senza mai perdere il capello, Spielberg lo assolve come il suo pubblico gli chiede aiutato dal solito Harrison Ford, dalla nuova venuta Kate Capshaw e dal ragazzino vietnamita Ke Huy Quan.

Fingendo di non volersi prendere troppo sul serio, Spielberg ama ripetere che "il cinema è un diversivo". Un detersivo, piuttosto, che nel suo caso ci purga dei cerebralismi.

Tutto sta nel prenderlo a piccole dosi, e nel pesarsi dopo l’uso. Per misurare il tasso di puerilità che ci ha lasciato nel sangue.






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