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Fraser va a caccia di sogni. Ma alle favole deve credere anche il regista


di Paolo Mereghetti


Alle favole bisogna crederci. Ed essere disposti ad affidare la propria fiducia a un universo dichiaratamente irreale, sospendendo per un po' l’esercizio della razionalità. È la condizione sine qua non, che i bambini sono spesso disposti ad accettare e gli adulti molto meno, finendo così per privarsi di un'esperienza che può essere davvero esaltante.

I problemi nascono quando sono i produttori e i registi che dimostrano di non credere fino in fondo alla favola che stanno portando al cinema, finendo così per cercare una «via di mezzo» che finisce per sminuire le possibilità fantastiche di una storia e inseguire una «razionalizzazione» che rischia di trasformarsi più semplicemente in una banalizzazione.

È un po' il rischio anche di questo Inkheart, curiosa favola meta-realistica (tratta dall'omonimo romanzo di Cornelia Funke pubblicato in Italia da Mondadori) che racconta di un restauratore di libri «Mo» Folchart (Brendan Fraser) dotato di uno straordinario potere: se legge a voce alta un libro è capace di dar vita ai personaggi e «rapirli» dalla pagina scritta per farli vivere nella realtà. Con una conseguenza però non sempre controllabile: che ogni passaggio dal mondo della fantasia a quello di tutti i giorni dev'essere «compensato» da un passaggio inverso: E così «Mo» si trova senza moglie e la figlia Meggie (Eliza Hope Bennett) senza madre, mentre il favolistico Dita di polvere (Paul Bettany) si ritrova senza storia e catapultato in un mondo che lo spaventa.

Tutto sarebbe facilmente risolvibile se «Mo» ritrovasse il libro che aveva innescato quello scambio: rileggendolo a voce alta, potrebbe re-innescare il processo al contrario (riportando ognuno nel mondo di competenza). Ma le copie di Inkheart sembrano introvabili e nemmeno l'autore (Jim Broadbent), che i protagonisti raggiungono, insieme alla zia bibliofila Elinor (Helen Mirren), nel suo eremo italiano - vive ad Alassio! - sembra averne conservato un esemplare. Senza dimenticare che scopriamo molti altri personaggi del racconto catapultati nel mondo reale, a cominciare dal temibile Capricorn (Andy Serkis) e dal suo esercito di feroci scherani, che cominciano a mettere consistenti bastoni tra le ruote al rilegatore-lettore e ai suoi amici. Ogni tanto il vertiginoso gioco tra mondi diversi si complica e si ingarbuglia (anche se qualche volta sembra manchino tutti i passaggi logici, come quello che riguarda uno dei quaranta ladroni prelevato direttamente dalla caverna dei tesori), ma più che la logica del racconto sembra far difetto in Inkheart il coraggio di portare fino alle estreme conseguenze l'intreccio tra realtà e fantasia, tra personaggi nati dai libri e quelli usciti dal mondo quotidiano. Il gioco poteva essere ben più vertiginoso e coinvolgente (basta pensare al recente Stardust, con De Niro pirata intergalattico) e invece un cast altalenante, a cominciare da un Brendan Fraser che porta eternamente scolpito in faccia un sorrisino inespressivo, e una regia solo scolastica stentano a far decollare il film.

Ci provano alcuni indovinati effetti speciali -l'ombra finale è decisamente riuscita - e l'idea che i personaggi dei racconti possano diventare così «veri» per i loro lettori da trasformarsi in esseri di carne ed ossa. A volte succede anche al cinema, ma bisognerebbe che il regista credesse a quello che filma come i migliori scrittori fanno con quello che scrivono.






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